Un aspetto della tragedia della Shoah a Milano ed in Brianza

Una famiglia di braccianti

Storia - tra Milano e Seregno - di un gruppo di studenti ebrei milanesi.

Fernanda Casati Ho 79 anni. La mia famiglia era di operai agricoli, mio padre era bracciante, lavorava sulla terra degli altri. Abitavamo alla Ca' Bianca. Era una cascina e c'era la stalla con su le bestie, noi avevamo la stalla con dentro il cavallo, la mucca, le pecore. La mucca faceva latte e lo davamo a tutti per niente. Gli anni della guerra erano anni schifosi, sì, io ho sofferto, ma hanno sofferto tutti, quando si sentiva l'allarme mettevamo sotto il cavallo e il carrettino e via in campagna, proprio dove seminava i frutti mio papà. Bombardavano le case. Il cavallo era sempre pronto. Quando bombardavano scappava tutto il cortile meno un uomo che era zoppo e non riusciva a correre e rimane va lì sul portone a fare a guardia. Il cavallo si chiamava Piero. Sul calesse ci andava io e tutta la Ca' Bianca. Ma il cavallo lo portavo io. La mia famiglia allora era composta da papà e mamma e i fratelli. I Casati abitava no nel secondo cortile rispetto alla strada, perché lì c'erano quelli che lavoravano la terra, i braccianti.

Ospitavamo la famiglia Gani. A casa mia c'era la mamma, le due figlie e un figlio. La nostra casa era una casa povera, si mangiava lo stesso. C'era la mamma, il papà, i fratelli, due sorelle, i tre bambini Gani, la mamma Gani - due sorelle e il maschio. Mangiava mo minestra e verdure. A un certo punto i Gani non hanno più niente e noi sempre a dargli da mangiare. Sempre, sempre. Mi ri cordo il papà di Regina. Il papà lui non abitava con loro, abitava dalla Ambrogina in un'altra via, perché non ci stavamo. La casa era piccola. Mi ricordo Regina, era una bella donna, una bella ragazza. Tutti belli erano, ma buoni, buoni, buoni... Mi ricordo tutto bene, una tavolata, anche loro mangiavano con noi.

Studiavano. Noi si lavorava, chi ci aveva voglia di studiare? Mio padre voleva bene da morire a questa povera gente. Odiava i fascisti. I fascisti noi non li potevamo vedere.

Sono arrivati i fascisti. Poi sono arrivati i tedeschi, Loro come li hanno visti si sono messi a gridare e a piangere perché lo sapevano che li portavano via. Cercavamo di nasconderli, sotto i letti, in qualche posto.

Si vede che li curavano. Li curavano sì. Perché a me hanno detto "ohi della Ca' Bianca! Lo sai che quelli che hanno gli ebrei vanno a finire male". Mi hanno minacciato anche me, i fascisti, mentre andavo in campagna a portare a mangiare a mio padre. Mi hanno fermato bruscamente e mi hanno detto "te fermati, fa vedere cosa hai nella borsa". Avevo dentro un po' di stufato con la polenta fredda, gliela portavo a mio papà, perché lui non veniva a casa a mezzogiorno. Poi la sera sono venuti i fascisti e ci hanno portati via. Anche a noi. Ci hanno portato nelle sue camere. Noi eravamo in cinque, allora tutti là nelle camere ad aspettare che veniva una risposta del papà Gani, che era riuscito a fuggire.

I fascisti sono rimasti gli stessi. Ce ne è proprio uno qui vicino a me di casa. Anche dopo la guerra una volta che mi ha visto m'ha sputato per terra "Oh per quelli là, chi sono quelli là, hanno fatto bene a prenderli".

Fernanda Casati
Seregno, 1 maggio 2003
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