Un aspetto della tragedia della Shoah a Milano ed in Brianza

Scuola, leggi razziali, Auschwitz

Storia - tra Milano e Seregno - di un gruppo di studenti ebrei milanesi.

Due professori e un gruppo di studenti scoprono tra le vecchie carte dell'archivio del loro antico liceo - il liceo Manzoni di Milano - il provvedimento di eliminazione dalla scuola degli studenti di cultura e religione ebraica, all'indomani delle leggi sulla razza, nel settembre 1938.
Da lì, attraverso documenti e testimonianze, risalgono l'intera vicenda della discriminazione, diaspora e repressione degli ebrei in Italia, sino alla deportazione. Intanto, a pochi chilometri da Milano, uno storico ha studiato e documentato gli ultimi giorni di Regina Gani, ex-studentessa ebrea del Manzoni. La storia di Regina, comincia quando bambina viene espulsa dalla scuola nel 1938 e si conclude con l'arresto suo e della famiglia nel 1944 a Seregno. Poi Auschwitz.

A duecento metri dalla basilica romanica di Sant'Ambrogio, dentro il cuore del teatro manzoniano della Storia della colonna in fame - qui vicino era aperta la bottega da barbiere del povero Mora, qui vicino fu eretta la colonna infame - il liceo classico "Manzoni" è il terzo liceo della città dopo il "Beccaria" e il "Panni". È stato fondato con il regio decreto n. 2841 nel febbraio del 1884, e oggi, gli studenti, divisi nei cinque anni di corso, sono circa ottocento.

Ca' Bianca

Da tempo la scuola italiana occupa cronache fisse. Tutti conoscono e deprecano le condizioni e i livelli di studio, tutti conoscono e compiangono le condizioni di insegnamento e la remunerazione professionale degli insegnanti e del personale non insegnante, tutti percepiscono che la riforma del ministro della pubblica istruzione, signora Moratti, altri non è che una navigazione a vista di nessuna prospettiva, tutti sanno che gli insegnanti tentano invano di rinnovare il contratto di lavoro scaduto da un anno e mezzo.

L'idea che ci si è fatti della scuola è qualcosa che somiglia ad un immodificabile santuario dell'inutile, ad un necessario purgatorio temporale che contiene i giovani e li risparmia rispetto ad un mercato del lavoro sempre più informe. I giovani, poi, in una società dominata dagli anziani, incapace di riprodursi e ampliarsi, contano sempre meno, somigliano sempre di più ad una specie protetta. La scuola, tuttavia, è un rito sociale che si ripete. Inesorabile, istituzionale, con cadenze secolari, soprattutto se questa scuola è un liceo classico. Stessa luce nei corridoi, stesse stagioni, eguali ansie, analoghi turbamenti generazionali. Ci sono stati i padri, ci tornano i figli. I padri che non sono riusciti ad andarci, ci mandano orgogliosamente i figli.

Il "classico" è l'ultimo baluardo di un tempo impossibile. È il luogo del pensiero umanista, della razionalità con al centro l'uomo, l'ambito dell'antitecnica, lo spazio dove si studia il pensiero umano nella sua evoluzione e comparazione. La scuola dell'attività umana più alta e più disprezzata dal mercato liblab che domina lo scambio ineguale tra individui e tra genti.

A questo pensiero e a questi luoghi ci si rivolge quando la specie si sente in pericolo, come oggi in tempo di guerra. Ai filosofi di cui si dibatte in queste aule, ai lirici greci che si studiano e imparano a memoria qui, si chiede ragione del mondo quando la luce sul mondo tende all'eclisse.

UN VERBALE POLVEROSO

La storia - se ne è occupato prima di tutto il Corriere della sera (28,29 gennaio; 3 febbraio) comincia da un verbale polveroso di un consiglio dei professori del liceo Manzoni del 15 settembre 1938. Il preside di quei giorni, Giuseppe Pochettino, dichiara l'applicazione dell'appena emanato regio decreto sulla razza. Il capo dell'istituto annuncia la "eliminazione" di cinquanta studenti ebrei che frequentano la scuola. La scuola allora comprendeva il ginnasio inferiore - scuola media di allora - quello superiore, le tre classi di liceo. Non vi è traccia di dibattito. In un verbale successivo, il 3 dicembre, il preside si compiace di fronte agli insegnanti, del fatto che, nonostante la "eliminazione" di cinquanta studenti ebrei, la popolazione scolastica sia cresciuta. Non vi è traccia di dibattito.

I polverosi reperti, sepolti tra le carte della scuola, capitano tra le mani della prof.ssa Zelia Grosselli e delprof. Gianguido Piazza, insegnanti di italiano - latino e storia - filosofia. La prof.ssa Grosselli è, tra l'altro, una specialista della ricerca archivistica. Le carte vengono proposte durante una occupazione della scuola ad alcuni studenti e nasce un gruppo di ricerca.

Studenti e insegnanti incontreranno nomi e storie, scopriranno che gli studenti epurati alla fine sono 65 e che il Manzoni era scuola di riferimento della comunità ebraica. Incontreranno pezzi della società milanese, piccola e media borghesia, commercianti e liberi professionisti. Incontreranno una società normale, operosa, produttiva condannata via via alla umiliazione e alla diaspora. Studenti e insegnanti di oggi del liceo Manzoni incontreranno omertà e silenzio intorno alla vicenda dei cittadini discriminati di religione e cultura ebraica. Discriminazione, omertà, silenzio, anni di repressione, e carcere, fitti di infamie che finiscono sui binari dei treni che portano ad Auschwitz.

"La famiglia Gani è stata deportata e sterminata. La madre e il fratello minore vennero subito eliminati. Il padre, Regina e la sorella più piccola spariscono ne gli ultimi giorni, morti probabilmente in una delle marce di trasferimento dal campo di lavoro e sterminio".

Regina Gani - figlia di Giuseppe, commerciante, e di Speranza Zaccar, abitante in corso Vercelli n. 9 - frequenta il ginnasio inferiore Manzoni nell'anno 1937-38. Rimandata a settembre, studia e si prepara nella terribile estate del '38. Inutilmente, sarà comunque espulsa, sei anni dopo verrà arrestata e deportata con l'intera famiglia. A Regina Gani, con il titolo Oltre la memoria, è dedicata la ricerca dei manzoniani di oggi.

SCUOLA, SOCIETÀ E LEGGI RAZZIALI

Adrien Brody nel film Il pianista di Roman Polanski, scende sconvolto e disperato le scale del suo rifugio - un appartamento di fronte al comando tedesco e al ghetto di Varsavia. È ebreo, è in fuga. Una donna qualsiasi, una casalinga qualsiasi, lo affronta sulle scale, lo strattona, cerca di fermarlo e grida "è un ebreo, è un ebreo". Evoluta nelle sue conseguenze la ideologia razzista si rappresenta nella quotidianità. Da quando è stata aperta la caccia una persona qualsiasi ha potere di vita e di morte su un'altra persona.

Una scena quotidiana come tante. È questa quotidianità che è necessario ricostruire. La vita quotidiana quando operose le leggi razziali, quando funzionante il ghetto, il campo di concentramento, la prigionia, l'olocausto. Spie in cambio di favori sociali, delazioni che retribuiscono odi personali, confidenze retribuite da danaro. Commessi contro padroni perché poi gestiranno il negozio, banche contro correntisti perché poi godranno del loro danaro, concorrenti in commercio o impresa eliminati dalla denuncia, passatori contro profughi in fuga per derubarli dei pochi beni, studenti contro insegnanti per i pessimi voti, famiglie vissute sullo stesso pianerottolo per decenni che scoprono finalmente l'opportunità, la liceità alla violenza.

Anna Marcella Falco, studentessa del Manzoni sino all'anno scolastico 1937-38, parla di questa società "omologata". Una società che non reagisce alla leggi razziali, anzi le esegue. Lei ci parla di storie di ragazzine di 14-15 anni, di amicizie convinte che senza eccessive domande e curiosità, cadono da un giorno all'altro. L'amica del cuore è una ebrea, adesso lo sanno. E quei professori in silenzio? Quei docenti che stanno di fronte al preside Pochettino e non parlano mai? Docenti che avranno riempito di voce tonante lo spazio delle aule con le loro lezioni sul Foscolo, sul Risorgimento, sulla libertà. Silenti. Nessuno, neanche in privato, che esprima solidarietà. Sono loro che aprono la strada al peggio che verrà, sono loro corresponsabili della diaspora, della persecuzione, della Shoah.

La mano della spia che - nell'agosto del 44, sei anni dopo - firmerà il verbale di denuncia della famiglia ebrea Gani rifugiata da Milano a Seregno, prende le mosse da lontano. Dal silenzio di quell'estate del '38, dal silenzio di quei professori in consiglio che conteggiano gli "eliminati", di quegli studenti e studentesse che non avranno certo rinunciato - per qualche decina di scomparsi dalla loro scuola - alle loro festicciole di adolescenti diventate così più asciutte, meno inquinate, o ai sabati fascisti.

LA SCUOLA PENSA SE STESSA

Studenti a insegnanti del liceo Manzoni con la ricerca Oltre la memoria, hanno prima di tutto lavorato su se stessi. Le aule che loro frequentano ed animano sono le stesse del 1938. A partire dalle carte della scuola sono arrivati a parlare della storia infame di quegli anni che si consuma anche nella scuola. Hanno incontrato i testimoni di quel tempo e forse hanno cercato di tessere qualche analogia tra quelle vicende e certe di oggi tipo: "Un'intera classe rifiuta di stare in aula con un disabile", "Picchiato a scuola perché nero", "Rifiutati perché islamici". Il mondo è diventato uno e sulla scuola gravano nuove responsabilità. La bandiera della pace sventola sul pennone del Manzoni, sulla bella facciata dell'inizio secolo scorso. Gli studenti sono contro la guerra, dicono. Più di prima, certo più che in quegli anni bui su cui hanno aperto la specola crescente della loro ricerca, una nuova omologazione avanza. Li aiutino i loro filosofi e i loro lirici. L'ostinata ricerca portata a termine sul loro passato, su ciò che non è presentabile di una nobile e antica istituzione che oggi loro abitano, allena lo spirito critico che dovrebbe essere dell'umanista. Senza volerlo questi studenti propongono un'altra scuola e sollecitano quegli esercizi critici di cui il presente ha bisogno come dell'aria di cui si vive.

La foto si riferisce all'anno scolastico 1937 - 38. La classe è la IV C del Ginnasio - Liceo Manzoni. La terza da destra in prima fila è Anna Marcella Falco a fianco della prof.ssa Mayr

Piero Del Giudice
Milano, 1 maggio 2003
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