Antisemitismo e leggi italiane

La Bossi-Fini e le leggi razziali

un parallelismo solo parzialmente valido

Al congresso delle Comunità ebraiche tenutosi a Roma alla fine di giugno sono state mosse da più parti critiche alla legge Bossi-Fini, che sono state accostate alle leggi razziali del 1938.
Lo stesso portavoce della comunità romana Riccardo Pacifici, non certo esponente della sinistra (partecipò alla manifestazione contro la sede nazionale del PRC e giustificò almeno in parte l'aggressione ed espulsione dal ghetto di Vittorio Agnoletto), ha presentato una mozione (votata all'unanimità) che impegna gli ebrei a farsi prelevare le impronte digitali quando saranno rese obbligatorie per gli immigrati.
Una posizione che ricorda quella di vari settori del centro sinistra, ma che è interessante soprattutto perchè il rifiuto della legge è stato motivato associandola alla legislazione fascista del 1938.
In questo quadro sono aumentate le critiche alle aperture israeliane (ma anche di vari esponenti delle comunità italiane) nei confronti di Fini.

Così di quelle leggi infami si è riparlato un pò, anche se spesso con molta approssimazione. Infatti l'analogia è solo parzialmente valida.

Le caratteristiche dell'antisemitismo durante il fascismo

Prima di tutto le leggi razziali non erano - come oggi la Bossi Fini - una concessione a uno stato d'animo di ostilità (artificialmente creato oggi con una campagna sistematica sugli immigrati "criminali e stupratori", ma effettivamente esistente) di settori consistenti di opinione pubblica.
Le campagne razziste di settori rabbiosamente antisemiti, che precedettero le leggi, non fecero presa in un paese in cui gli ebrei erano pochi e scarsamente visibili, e anzi colpirono negativamente molti italiani (anche se ci furono gli zelanti che approfittarono di quella legislazione per fare fortuna con le delazioni e/o l'acquisto a buon mercato delle proprietà di cittadini di religione israelitica).

Di religione, sottolineiamo, perchè quelle leggi, pur motivate con una terminologia razzista, escludevano nella prima stesura i cittadini italiani nati da matrimoni misti e convertiti "ad altra religione" (cioè in pratica al cattolicesimo), nonchè quegli ebrei che potevano vantare meriti patriottici (decorazioni al valor militare, ecc.) o una adesione di lunga data al partito fascista.

Sotto il regime di Salò, che collaborò senza ritegno alle deportazioni, questa norma fu abolita, e comunque una serie di sentenze della Suprema Corte di Cassazione (sempre all'avanguardia nell'avallare norme reazionarie) avevano già in precedenza attribuito al solo Ministro degli Interni il potere di "discriminare" (cioè di decidere chi poteva essere considerato non ebreo).

Un problema delicatissimo era quello degli ebrei stranieri che avevano preso la cittadinanza italiana dopo il 1919, e che ne vennero privati automaticamente, equiparandoli ad "appartenenti" a "nazionalità nemica"; i loro beni potevano essere confiscati "a parziale recupero delle spese assunte per assistenza, sussidi e risarcimenti di danni di guerra ai sinistrati dalle incursioni aeree nemiche".
La loro condizione era dunque peggiore di quella dei veri stranieri appartenenti a nazioni in guerra con l 'Italia, protetti da varie norme del diritto internazionale (i beni di questi ultimi, ad esempio, potevano essere sequestrati temporaneamente ma non definitivamente confiscati).
Ma questa norma è del novembre 1943, quando il regime fascista era ormai totalmente subordinato ai nazisti).

L'assurdo è che per ovvie ragioni gli ebrei delle zone "irredente" annesse all'Italia, che in genere si sentivano italianissimi, avevano potuto formalizzare la richiesta di cittadinanza italiana solo dopo che era stato stipulato il trattato di Pace, e non erano pochi.
Soprattutto a Trieste e a Fiume, le comunità ebraiche erano numerose.

Le leggi razziali

Ma torniamo alle leggi. Il dato più singolare è che esse apparivano in netto contrasto con non poche dichiarazioni di Mussolini (che aveva avuto anche una lunga e importante relazione con un'ebrea, Margherita Sarfatti), e con la presenza di numerosi ebrei nelle file fasciste.
Ancora nel 1932 Mussolini aveva nominato ministro delle Finanze Guido Jung, con la motivazione - data in privato, ma attendibile - che "quello che ci voleva alle Finanze era un ebreo".
Giustamente Roberto Finzi aveva osservato che questa giustificazione della nomina rivelava la "apparente assenza e sotterranea presenza di un filone antisemita in questo gretto mondo intellettuale".

L'appoggio alle leggi venne soprattutto - come scrisse Guido Fubini - da alcuni settori della "piccola borghesia dell'amministrazione, del commercio minuto, delle professioni, degli impieghi", che approfittarono di esse per occupare i posti resisi vacanti (anche nelle scuole e nelle università, da cui furono esclusi molti ottimi docenti, a beneficio di squallidi arrampicatori).

Una delle prime leggi, firmata da Vittorio Emanuele III il 5 settembre 1938, escludeva infatti dall'insegnamento, a partire dal 16 ottobre dello stesso anno, tutti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado, che vennero sospesi dal servizio, mentre veniva decretato anche che gli stessi "alunni di razza ebraica" non potevano più frequentare nessuna scuola "ai cui studi sia riconosciuto effetto legale". Quindi anche quelle private, tranne quelle istituite dalle comunità ebraiche.

L'articolo 6 della legge ("Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista"), precisava che "agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica".
Nelle norme di integrazione varate il 15 novembre dello stesso anno, si prevedeva che in deroga a quanto deciso in precedenza, potevano essere "ammessi in via transitoria a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica già iscritti nei passati anni accademici", mentre si precisava che "per l' insegnamento nelle scuole elementari e medie per alunni di razza ebraica saranno preferiti gli insegnanti dispensati dal servizio a cui dal ministro per l'interno siano state riconosciute le benemerenze individuali o familiari previste dalle disposizioni generali per la difesa della razza italiana" (cioè i "componenti delle famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola, e dei caduti per la causa fascista", i mutilati di guerra, i decorati almeno con una croce al merito di guerra, i legionari fiumani, nonchè gli iscritti al PNF negli anni tra il 1919 e il 1922, e nel secondo semestre del 1924, (cioè durante la crisi Matteotti).

Queste norme vennero poi, come abbiamo già accennato, ulteriormente peggiorate, cancellando le eccezioni previste, mentre venivano minuziosamente decise drastiche restrizioni al possesso di proprietà immobiliari e all'esercizio di moltissime attività professionali.
Sotto la Repubblica sociale, nel 1944, veniva imposta la denuncia di ogni debito contratto con ebrei e dichiarate nulle le cessioni o i trasferimenti di proprietà che "risultino fittizi e fatti al solo scopo di sottrarre i beni ai provvedimenti razziali".

Le nuove norme, che vietavano la proprietà o gestione di qualsiasi attività commerciale o industriale, e il possesso di titoli azionari, venivano estese a tutti "i cittadini italiani di razza ebraica o considerati tali, ancorchè abbiano ottenuto il provvedimento di discriminazione" (cioè l' eccezione per meriti fascisti, o patriottici, di cui abbiamo già parlato, prevista dalle prime leggi).
Questa è la differenza fondamentale tra le leggi razziali, che colpivano cittadini italiani da lunga data, a volte da molte generazioni, e la Bossi-Fini, che erige barriere contro gli ingressi e punta a rendere insicura e precaria la posizione di chi è già arrivato, per poterlo sfruttare meglio con la spada di Damocle di una possibile espulsione.

Il clima che la ha permessa senza una reazione adeguata è stato creato da anni di cedimenti e di vere e proprie complicità di settori della stessa sinistra - in qualche caso anche di amministrazioni di centro sinistra - con le campagne xenofobe e demonizzanti nei confronti dei diversi (rom o "marocchini" o "vù cumprà".) Occorre dunque una dura battaglia culturale, per far capire che queste norme illiberali creano le premesse per un ulteriore imbarbarimento della vita politica italiana, e potrebbero portare un domani a norme di "tutela" della presunta "razza padana", minacciata dai "terroni".

Scheda 1

Ma chi erano gli ebrei in Italia? In Italia la percentuale di matrimoni misti era elevatissima: raggiungeva a Trieste la percentuale del 93,15 % (rispetto ai "matrimoni puri").
Questo dato, forse il più alto in Europa, la dice lunga sul grado di assimilazione raggiunto dalle comunità ebraiche più recenti e composte in prevalenza da elementi di media e alta borghesia.
Vale anche per Milano, ad esempio, mentre a Roma, dove la maggior parte degli ebrei, almeno nel XIX secolo, appartenevano a categorie dal reddito modestissimo, la spinta ai matrimoni misti era minima: ancora nel 1928 solo il 4,28 % degli ebrei aveva contratto un matrimonio "misto".

Un aspetto ancora più complicato nasceva dalle conversioni, che in certi periodi erano state molto frequenti: ad esempio a Trieste, tra il 1869 e il 1922, 533 ebrei si erano convertiti ad altre religioni, mentre 463 persone si erano convertite all'ebraismo, probabilmente in seguito a un matrimonio misto.
Anche a Vienna, tra il 1886 e il 1890, Kautsky registra una media annua di 330 conversioni di ebrei ad altra religione, contro ben 359 in senso inverso.
Negli anni successivi la tendenza si rovescia, ma il fenomeno delle conversioni all'ebraismo, pur ridimensionato, non sparisce.

Questo è un aspetto poco noto, ed anzi deliberatamente occultato dagli apologeti del sionismo, dal momento che questo dato toglie credibilità alla mitologia del "ritorno nella terra dei padri".

Scheda 2

Il fascismo prima del 1938 non era razzista? Uno dei luoghi comuni del revisionismo di casa nostra è la negazione del carattere razzista del fascismo italiano, facendo apparire le leggi razziali del 1938 come il frutto di un'imposizione nazista.
In realtà il fascismo è stato razzista fin dalla sua nascita, solo che il razzismo si concentrava sui neri e gli arabi, e non prendeva in considerazione gli ebrei, che erano e apparivano bene integrati, non avevano caratteristiche visibili, parlavano la stessa lingua, si dividevano tra loro in base a criteri di classe; in genere i dirigenti delle comunità, eletti dai membri "contribuenti", e quindi di estrazione borghese, guardarono al fascismo con simpatia.
Gli stessi intellettuali antifascisti come Carlo Levi, i fratelli Rosselli, Leone Ginsburg, ecc. venivano perseguitati per le opinioni politiche, non in quanto ebrei.

Alcuni degli argomenti usati da Mussolini hanno punti di contatto con i deliri attuali della Lega e di Alleanza Nazionale.
Ecco come un libro pubblicato nel 1934 -4 anni prima delle leggi razziali - (Ferdinando De Napoli, Da Malthus a Mussolini, Cappelli, Bologna) chiosava il pensiero del Duce: "Se la denatalità europea progredirà e continuerà la rivalità tra i popoli di razza bianca, questa, fra poco più di cinquanta anni, perderà il suo primato.
E non varranno l'intelligenza ed i progressi della scienza a salvare l'Europa occidentale dalle invasioni di razze, le quali, se pure inferiori, sono più numerose perchè più prolifiche".
Il De Napoli, esaltando Mussolini per aver fatto "squillare da un pezzo la sua campana, rilevando la fecondità dei negri dell'America, dei cinesi e dei russi" concludeva: "è da augurarsi, quindi, che la classe dei ricchi si lavi dell' onta di vigliaccheria morale .
e trovi una maggiore comprensione della necessità demografica, che oggi si impone a tutti gli uomini di razza bianca.
Altrimenti sarà fatale la decadenza, il regresso della civiltà e la morte, dando il predominio a razze poco evolute".

Scheda 3

A proposito delle "impronte digitali per tutti" Prima di cominciare ad attuare la "soluzione finale del problema ebraico", il nazismo aveva cominciato ad occuparsi degli zingari, di cui si presumeva che potessero nutrire intenzioni ostili all'ordinamento gerarchico.
Già nel 1936 una circolare sulla "lotta contro gli zingari e i mendicanti" ordinava di iniziarne la deportazione a Dachau.
Ma nel 1938 in un testo sulla "soluzione nazionalista della questione tzigana" si proponeva la loro sterilizzazione, e si cercava di rispondere alle obiezioni in questo modo, che ci ricorda qualcosa di quel che è emerso di recente nel dibattito politico italiano: "Gli argomenti in favore della sterilizzazione degli zingari possono in effetti essere tacitamente sviluppati sino al punto da arrivare, per mezzo della sola legge per la profilassi contro i progenitori affetti da malattie ereditarie, ad una lotta efficace contro l'accrescimento della popolazione zingara.
Dobbiamo servirci arditamente e senza reticenze di tale legge.
Tanto più che in questa maniera non si offrirà occasione alla stampa straniera di uscire in alti lamenti dal momento che si potrà sempre sostenere con pieno diritto che questa legge profilattica è valida anche per i cittadini del Reich tedesco.
Allo stesso modo il principio democratico secondo cui i cittadini devono essere uguali di fronte alla legge, risulta pienamente rispettato.
Conformemente al principio che in uno Stato di elevati costumi, e in particolare nel terzo Reich, può vivere solo chi lavora e produce, gli zingari dovranno essere sottoposti a un lavoro obbligatorio continuo e conforme alla loro natura".

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

La maggior parte dei dati sono tratti da Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1972, e soprattutto dal saggio di RobeRto Finzi, Gli ebrei nella società italiana dall'unità al fascismo, apparso nel fascicolo speciale La difesa della razza, "il Ponte", Anno XXXIV, nn. 11-12, novembre dicembre 1978, che contiene anche un importante articolo di Guido Fubini, La legislazione razzale.
Orientamenti giurisprudenziali e dottrina giuridica.
In appendice anche Il manifesto della razza, e un'ampia selezione della Legislazione razziale fascista (1938-1944).
I provvedimenti dal 1938 al 1943 portano tutti la firma di Vittorio Emanuele III, e andrebbero fatti leggere agli imbecilli del centro sinistra che votano per l'eliminazione delle restrizioni al ritormo in Italia dei membri di casa Savoja! Le schede sono ricavate dal saggio di Guido Valabrega, Reazione sociale, razzismo e antifascismo: spunti di ricerca e discussione, in Gli ebrei in Italia durante il fascismo,"Quaderni del Centro di documentazione ebraica contemporanea", n. 3, novembre 1963.

Antonio Moscato
Foggia, 27 luglio 2002
da "Rivoluzioni"