Provate a discutere, con amici e
compagni, di questa infausta
telenovela del ritorno dei
Savoia: scoprirete (come ha scoperto
la sottoscritta, con una erta sorpresa)
che sono molti a dichiarare
testualmente che “non gliene può
fregare di meno”, e che, insomma,
non ci si può opporre più di tanto al
diritto di due persone - non più di
due - a “calpestare il suolo della
patria”.
Dopo oltre cinquant'anni,
alla fin fine, non è l'ora di chiudere
questo capitolo che, comunque lo
si rigiri, ha perduto allo stesso tempo
di senso, interesse e pericolosità?
Provatevi, se ci riuscite, a non
fare la figura dell'attardato, del
“veterorepubblicano”, del fissato.
L'ha scritto - e giustamente - anche
Giorgio Bocca: con i chiari di luna
che si intravedono in questo Paese,
zeppo dei suoi previti, berlusconi e
dell'utri, che cosa volete che siano
un paio di reali che scorazzano tra
un party e l'altro? Per di più, due
principi che, con sommo scorno dei
loro sostenitori, hanno, più o meno,
giurato fedeltà alla Repubblica.
E
con un giovane rampollo che fa il
“morettiano” all'ennesima potenza,
sparando a zero (si fa per dire)
sull'aula sorda e grigia, e sull'intera
classe politica nazionale.
A dispetto di tutto questo buon
senso (e del disinteresse di massa
per la faccenda), noi continuiamo a
ritenere che questa decisione - a
cominciare dallo storico voto del
Senato di oggi - sia pessima.
Per una
ragione generale, per una più specifica,
e per una terza di carattere un
po'“fantapolitico”.
Un azzeramento storico
Intanto, non è proprio vero che si
tratti di una faccenda di ordinaria
routine: abrogare una norma costituzionale,
sia pure “transitoria”, è
P un atto politico rilevante, anzi eccezionale.
In qualche modo, cioé, la
nostra carta costizionale - già
ampiamente disattesa e messa in
discussione - ne esce modificata nel
suo equilibrio generale.
Al di là di
questo, è evidente che la questione
si è caricata di un significato assai
più vasto: ed è diventata un capitolo
simbolicamente importante del
clima attuale di riconciliazione,
perdonismo, cancellazione della
storia.
E' questo accento, consapevole
e dichiarato, di revisionismo
storico-ideologico che, nel corso di
questi anni, ha ritmato la campagna
pert la “fine dell'esilio” degli exmonarchi.
Ed è con questo spirito
che il Parlamento - il governo di
centrodestra come l'opposizione di
centrosinistra - si accingono a chiudere
il capitolo.
Il messaggio che ne risulterà, alla
fine, sarà proprio quello di un azzeramento
della memoria nazionale
repubblicana: quella nata in contrapposizione
all'8 settembre '43, al
tradimento e alla fuga del re.
Quella
cresciuta con la Costituzione e le
nuove istituzioni democratiche.
Quella che affondava le sue radici
profonde nella religione laica dell'antifascismo,
e nel sacrificio di
migliaia e migliaia di combattenti
partigiani.
D'ora in poi, questa
pagina è “relativizzata“ a uno dei
tanti episodi della storia nazionale:
consegnata al variegato, interclassista,
neutrale “mucchio” della storia
nazionale, andrà a far compagnia
ai ragazzi di Salò, ai rimpianti
per non aver vinto a El Alamein, al
luogo comune oggi più diffuso,
secondo il quale “i morti di tutte le
fedi meritano lo stesso rispetto”.
Già, come se tutte le ragioni e le cause
per le quali qualcuno - o molti -
sono caduti, avessero lo stesso valore
e meritassero l'identico, equanime
giudizio.