Il film sulla battaglia che cambiò il mondo
A Stalingrado

Per 180 giorni e 180 notti si prolungò la battaglia sulle vie d'accesso alla città, nei sobborghi e nei quartieri stessi, senza che mai tacessero il rombo dei cannoni, il fuoco delle mitragliatrici, le esplosioni, i lamenti dei feriti. La città arse, soffocata dal fumo e dalla polvere. Dalla cima del colle vedevamo solo gli scheletri degli edifici diroccati e mucchi di macerie.

Non resistettero le pietre, ma resistette la gente». A parlare è un testimone d'eccezione, il gen. Vasili Ivanovich Cujkov, il comandante di quella 62ª armata che per sei mesi ininterrotti difese Stalingrado, nella lotta senza quartiere che durò dal luglio 1942 al gennaio successivo. E' infatti il suo racconto in presa diretta della battaglia - “Stalingrado: la battaglia del secolo”, Edizioni Progress, Mosca, 1983 - la principale fonte del libro di William Craig cui si è ispirato il regista Jean-Jacques Annaud per il film sull'epica battaglia che è stato presentato a Berlino e la cui uscita in Italia è prevista il prossimo 7 marzo (con il titolo “Il nemico alle porte”).

Urss in ginocchio

Quando Cujkov viene chiamato, il 13 settembre, su quel drammatico fronte di Stalingrado, il momento è difficilissimo: von Paulus ha ormai ammassato la sua armata per il colpo finale verso il Volga. E quello che gli si para davanti è terribile: «Le strade della città erano morte. Tutto era morto tra le fiamme».

L'offensiva decisa da Hitler per l'annientamento della città, chiamata in codice operazione Azzurra, trova l'Urss - anche se Mosca e Leningrado sono scampate alla distruzione totale - praticamente in ginocchio.

«Nelle terribili battaglie di logoramento oltre 3 milioni di soldati erano stati fatti prigionieri e altri 3 erano stati uccisi. La potenza economica era scesa a una frazione dell'anno precedente; le forze armate tedesche occupavano le ricche aree ucraine - il granaio sovietico -, le razioni di pane e carne si dimezzarono; un terzo delle linee ferroviarie si trovavano dietro le linee nemiche; l'industria pesante si ridusse di tre quarti; i materiali necessari per gli armamenti moderni scesero di almeno due terzi. Inoltre erano stati uccisi o catturati milioni di operai specializzati». Con “operazione Azzurra” Hitler vuol chiudere definitivamente i conti con l'Urss. Il suo ordine, emanato il 5 aprile 1942, è preciso: «Spazzare via l'intero potenziale difensivo rimasto ai sovietici».

L'apparato bellico nazista è enorme

Dice Cujkov: «Hitler riuscì a concentrare per l'estate 1942 sul fronte-tedesco sovietico sei milioni di uomini, 43 mila tra cannoni e mortai, 3 mila carri armati e 3.500 aerei da combattimento». Per oltre 3 mesi il diario del generale è una angosciante, cruenta cronaca di accerchiamenti, ripiegamenti, battaglie furiosamente combattute e disperatamente perse dai soldati sovietici. Nell'inferno di ferro e fuoco, la pressione micidiale dei tedeschi sembra invincibile. Il mondo intero segue col fiato sospeso quell'apocalittico scontro.
L'Urss è sola nel suo bagno di sangue, il secondo fronte non c'è e Stalin ormai sa che gli aiuti promessi da Usa e Gran Bretagna sono praticamente «una goccia nel mare». Il segno del momento disperato lo dà quella ordinanza n. 227 del 28 luglio 1942 che porta la firma di Stalin medesimo e che viene letta a ogni ufficiale, a ogni soldato. Di fatto è un estremo appello all'intero popolo sovietico. «Il nostro Paese sta vivendo giorni terribili. Dobbiamo fermarci e poi respingere e distruggere il nemico. Non un passo indietro!».

E' la Grande Guerra per la Patria. Secondo gli ordini, von Paulus doveva prendere Stalingrado entro il 25 agosto. Scrive Cujkov: «Il 21 agosto gli hitleriani lanciarono su Stalingrado un'armata di bombardieri. In un solo giorno furono effettuate circa duemila incursioni. Mai nel corso della guerra era stata raggiunta una tale violenza. L'enorme città, estesa per cinquanta chilometri lungo il Volga, era in preda alle fiamme. Dolore e morte colpirono migliaia di famiglie». Le truppe dell'invasore si abbandonano ad ogni atrocità; insieme ai soldati ora si battono i cittadini, comunisti e no, gli operai dentro ogni fabbrica, si difende ogni metro di terra casa per casa, strada per strada. Con odio e furore, all'ultimo sangue.

«Ora lo sappiamo. I tedeschi non sono umani. Non fateci parlare. Non fateci indignare. Fateci uccidere», scrive su “Stella Rossa”, il giornale dell'esercito, lo scrittore Ilja Ehrenburg proprio in quell'agosto 1942.

E' vero, la formidabile controffensiva russa, quella che doveva ribaltare la sorte della battaglia, era già in cantiere, accuratamente preparata da Zukov, il quale proprio per questo era stato richiamato da Stalin dal suo posto di comando sul fronte occidentale, schierato a difesa di Mosca. Il piano di contrattacco, nome in codice operazione Urano, aveva però un punto estremamente critico: i difensori di Stalingrado dovevano resistere per i 45 giorni richiesti dal maresciallo per la preparazione della campagna.

Ebbene, quei 45 incredibili giorni di resistenza ci furono. «Le battaglie di settembre avevano spinto l'Armata Rossa ai limiti della resistenza umana e del Volga - scrive Richard Overy (“La Russia in guerra. 1941-1945”, il Saggiatore, Milano, 2000) - In tre giorni di aspri combattimenti, iniziati il 13 settembre, le forze tedesche si fecero strada attraverso le macerie e le rovine, fino alla stazione ferroviaria centrale e alle pendici del Kurgan di Mamajev. La stazione cambiò padrone quindici volte. Piccoli distaccamenti di soldati sovietici attaccavano di notte per riconquistare quello che i tedeschi avevano preso di giorno. La sommità di Mamajev fu conquistata prima da una parte, poi dall'altra. La collina si trasformò in un paesaggio lunare cosparso di crateri e di cenere grigia.

Di fronte a forze tanto superiori, le truppe esauste di Cujkov si ritiravano casa per casa, isolato per isolato, in gruppi formati dai superstiti di quelle che un tempo erano state delle intere divisioni.... Le loro perdite raggiunsero quasi il cento per cento, ma ottennero il risultato voluto: la 62a armata tenne la sua sottile striscia di riva occidentale del Volga, e la città fu salva».

La fatale battaglia fu vinta proprio così, con centinaia e centinaia di questi combattimenti corpo a corpo, e una resistenza che coinvolse ogni singolo uomo. I giganteschi supermercati Univermag furono difesi fino alla morte dai soldati sovietici asseragliati nelle cantine dei negozi. Paulus vi stabilì il suo quartier generale. «A sud un enorme silos per cereali divenne teatro di un assedio durato 58 giorni, durante i quali la guarnigione sovietica resistette piano dopo piano, mentre i carri armati e i cannoni tedeschi riducevano la struttura a un guscio contorto».

Fu soprattutto una guerra indomita di piccoli distaccamenti, di gruppi d'assalto. «In breve tempo Cujkov divenne un maestro del combattimento urbano», scrive sempre Richard Overy, un autore tutt'altro che incline all'enfasi pro Urss, il quale annota: «La sopravvivenza dell'Armata Rossa a Stalingrado sfida qualsiasi spiegazione di tipo militare».

Paulus accerchiato

La controffensiva scatta tra il 19 e il 20 novembre, preparata nei minini dettagli ed ha successo al di là di ogni prospettiva. Il 21 crolla la 3a armata (formata in gran parte da rumeni), 27 mila uomini si danno prigionieri; le veloci colonne corazzate sovietiche, lanciate sulla steppa ormai gelata, seminano il panico; crolla l'armata italiana; rapidamente l'intero fronte meridionale tedesco è sconvolto, «uomini, cavalli e cannoni giacevano in cumuli grotteschi e gelati là dove erano caduti.

L'Armata Rossa ripulì la steppa tutt'intorno, fino ad aprire un corridoio largo oltre 150 chilometri tra il fronte tedesco e Paulus». Irrimediabilmente accerchiato, il feldmaresciallo era intrappolato senza scampo, coi suoi 330.000 uomini, dentro una morsa implacabile, un “Anello” di ferro e fuoco formato da 60 divisioni e mille carri armati sovietici. Fallisce “Tormenta invernale”, l'offensiva che Hitler scatena il 12 dicembre allo scopo di rompere l'accerchiamento di Paulus e della sua 6a armata. Occorreranno tre cruentissime settimane per costringere i tedeschi alla resa. «Il 22 gennaio le forze sovietiche si unirono per l'assalto finale... Si seppe che Paulus si trovava nell'edificio dell'Univermag. L'edificio fu bombardato e si fecero arrivare i lanciafiamme». Era il 31 gennaio 1943. Scrive Cujkov: «Quei generali hitleriani - Paulus e tutto il suo Stato Maggiore - vennero fatti prigionieri da tre soldati della 62a armata guidati dal diciottenne del Komsomol di un reggimento di collegamento, Mikhail Porter». Il destino del nazismo, e soprattutto il destino del mondo, cambiarono qui, davanti a Stalingrado. Morirono un milione di sovietici.
Maria Rosa Calderoni
Roma, 16 febbraio 2001
da "Liberazione"