Un fatto della Resistenza Romana oggetto di continue speculazioni.
Via Rasella fu un atto di guerra.

Prima di ogni altro cosa l'attentato di via Rasella fu un fatto militare e strategico di grande importanza: dopo la nostra azione infatti, la Wehrmacht e le SS furono costrette a variare i loro movimenti di truppe.

Non più dentro le mura della città, ma all'esterno, dove le colonne, oltre agli attacchi dei Gap, erano esposte al fuoco dei bombardamenti alleati". Roma, Sala stampa di Montecitorio: è Rosario Bentivegna - da gappista soprannominato "Paolo" - che parla. L'occasione è offerta da Diego Novelli, che a nome dell'Associazione l'Altritalia ha promosso (in collaborazione con il Manifesto, Avvenimenti, Liberazione, Rifondazione e Cominform ) una conferenza stampa per replicare a caldo alle polemiche che hanno fatto seguito alla richiesta del giudice Pacioni di un supplemento di indagine sulla strage di Via Rasella.

Sono presenti politici e giornalisti, per i Comunisti unitari c'è Walter Bielli. Bentivegna oggi è un tranquillo signore di settant'anni, fa il medico, ripete che tutto quello che aveva da dire sull'attentato lo ha scritto nei suoi libri. Non concede interviste ai giornali da decenni, non appare in televisione, ma dopo quello che è successo ha fatto una eccezione per questa conferenza stampa.

Accanto a lui siedono altri tre ex ragazzi che quel 24 marzo del 1944 eerano a via Rasella. Carla Capponi ("Elena"), Marisa Musu ("Rosa") e Pasquale Balsamo ("Pasquale"): il giorno dell'attentato Balsamo aveva appena diciannove anni, era travestito da netturbino e salvò la vita ad un gruppo di bambini che si erano accodati alla pattuglia dei tedeschi con un guizzo di genio e una buona dose di sangue freddo.

I bambini erano all'incrocio fra via Rasella e Piazza del Tritone, proprio dietro il drappello dell'SS Polizei regiment Bozen, quando "Pasquale" uscì allo scoperto e dando un calcione al pallone, gli urlò dietro: "A' regazzì! Ma ve ne volete annà via co sto' pallone!".

Fu ricoperto dagli insulti dei bambini che, correndo a recuperare la palla scamparono in questo modo alla bomba. Ricordi lontani.

Adesso Balsamo è un signore dai capelli argentei che tira fuori un foglietto dalla tasca e dice asciutto: "Leggerò otto righe e non dirò nulla di più perché altrimenti mi viene il magone". Le otto righe contengono solo cifre: le vittime civili e militari della seconda guerra mondiale.

All'appello non manca nessuno: "Di fronte a questi 40 milioni di morti - dice l'ex gappista con la voce che già si fa grossa di emozione - non potrò che continuare a esprimere il mio profondo e imperituro disprezzo nei confronti di chi ha voluto e causato quella guerra". Ma ancora la parola ritorna a Bentivegna, che in questi anni ha continuato a girare infaticabile le scuole, e che recentemente - per questa sua opera di memoria - è diventato oggetto della contestazione degli attivisti di Azione Giovani.

I "neogollisti" in erba lo chiamano "Assassino" e lui alza le spalle: "Degli insulti dei fascisti vado orgoglioso". E' meno imperturbabile Bencivegna quando deve contestare le accuse che anche in questa occasione sono piovute sul collo degli ex partigiani: "Dicono che Togliatti non era d'accordo con il progetto di attentato. Si tratta di un'affermazione ridicola! Se non altro - aggiunge - perché nel marzo del '44 non era ancora arrivato in Italia, ed era a metà strada fra Salermo e la Russia". "Forse - ironizza Armando Cossutta dalla platea - lo avevano chiamato sul telefonino...". "Già", ribatte Bentivegna concedendosi un sorriso, e la sala viene attraversata da una breve ondata di ilarità. "Tutti i processi che hanno avuto luogo dal '48 a oggi hanno confermato la nostra tesi: I tedeschi violavano sia la convenzione dell'Aja del 1907 sia quella di Ginevra del 1929.

E' in base a queste considerazioni che la cassazione nel '57 ha definito la nostra azione un legittimo atto di guerra". Interviene una giornalista dell'Ansa e Balsamo replica ancora alla sua domanda: "Mi perdoni la foga, ma le risposte che ci chiedete ci assillano da quarant'anni. Le dico io qual'é l'ultima questione che ancora non avete posto.

Volete sapere che cosa rispondiamo alla domanda su che cosa avremmo fatto se ci fosse stato chiesto di consegnarci? Prima preciso che questa richiesta non ci fu mai né poteva esserci". Perché? "Lo ha spiegato lo stesso Kappler. Con duemila persone in carcere, se si fosse diffusa la voce che alcuni di questi rischiavano vita per la rappresaglia i tedeschi si sarebbero trovati di fronte a una sommossa popolare di massa, sicuramente ingovernabile". Ma chiarito che l'appello a consegnarsi non ci fu l'ex gappista non si tira indietro e aggiunge ancora: "Ci saremmo consegnati? Ancora oggi non lo so. Non lo posso dire. Se ragiono secondo logica, devo pensare che non lo avremmo fatto.

Se avessimo saputo che si preparava il massacro delle fosse Ardeatine - dice Bentivegna - ci saremmo 'consegnati' in duemila alle porte di Regina Coeli... carichi di mitragliatrici e di tritolo". Carla Capponi, scuote il capo, rifiuta di fare ipotesi sulle convinzioni politiche del giudice Pacioni: "Non è fascista, semplicemente è pasticcione! Le prove sono inconsistenti, le motivazioni di supporto della sentenza rivelano l'incompletezza delle informazioni in suo possesso. Posso aggiungere soltanto questo. Siamo agguerriti e determinati a difenderci. Se verranno scritte menzogne su di noi faremo querele, e con quei soldi finanzieremo una fondazione per la memoria della Resistenza. Ciò che stupisce - aggiunge Carla - é la totale mancanza di prospettiva storica. Se noi eravamo illegittimi belligeranti, intorno a noi c'era una città di 'illegittimi complici'.

Ferdinando Vitagliano, sorpeso a letto dai fascisti ebbe un conflitto a fuoco con i fascisti, ne uccise due, uscì in strada in mutande, pieno di sangue. Si salvò miracolosamente, prima aiutato da una pattuglia della Pai, poi da una signora che gli aveva aperto la porta nonostante le sue condizioni.

Chi non conosce quella storia - conclude la Capponi - non ci può giudicare".

Le ultime parole spettano a Marisa Musu: perchè proprio ora alla tormentata vicenda del processo Priebke si somma questa richiesta del giudice Pacioni? Perché questo clima di revisionismo? "Nel momento in cui si tenta di fondare una seconda repubblica che mette alle spalle la costituzione antifascista - osserva la Musu - si vuole rimuovere il conflitto resistenziale, o addirittura cancellarlo".

A quanto pare la strada per la seconda repubblica passa anche per via Rasella.

Luca Telese
Roma, 27 novembre 2000
da "Cominform 79" settimanale dei Comunisti Unitari .