Il Progetto di Legge regionale n. 0031 ripropone integralmente (salvo alcune modifiche ed aggiunte) il testo della L.R. 139 del 16 febbraio 2000 bocciata dal Commissario di Governo per l'illegittimità di alcuni passaggi:
La maggioranza che governa la Regione, adducendo come motivazione il fatto che analoghe leggi sono state approvate in regioni a conduzione del centrosinistra - Toscana ed Emilia Romagna - e non hanno subito alcun rilievo da parte del Commissario di Governo, ha deciso di andare allo scontro politico col governo nazionale, anche alla luce dell'avvicinarsi delle elezioni politiche e della votazione del Consiglio regionale per l'indizione del referendum sulla devolution.
Il PdL 0031 tratta questioni molto delicate dal punto di vista urbanistico e della pianificazione urbanistica comunale: i mutamenti delle destinazioni d'uso, le ristrutturazioni edilizie degli edifici esistenti in aree agricole, le norme per gli interventi nei centri storici, le norme per la determinazione della capacità insediativi e per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico, l'introduzione del Piano dei Servizi, l'adeguamento di alcune leggi e norme.
Il PdL , in attuazione dell'art. 25 della legge 47/95 , definisce gli atti necessari per il cabio
della destinazione d'uso di immobili, con o senza l'esecuzione di opere edilizie.
I mutamenti vengono suddivisi in due casistiche: con o senza opere edilizie.
Nel primo caso le modalità sono quelle delle leggi vigenti ed i mutamenti comportano il reperimento
di standard aggiuntivi (una convenzione disciplinerà le modalità di reperimento dello
standard che potrà anche essere monetizzato)
. Per il secondo caso basterà una semplice comunicazione e per superfici inferiori ai 150
mq viene meno anche questa prescrizione.
In questo caso tutte le micro trasformazioni delle città (si pensi agli uffici dei professionisti
- avvocati, architetti, consulenti,ecc. che a Milano hanno sostituito residenze svuotando ed invecchiando
la città) non solo non saranno contrastate o, almeno, normate, ma addirittura avverranno senza
alcun controllo e pianificazione. Non solo, ma esistono gli spazi per i trucchi urbanistici: possono
essere realizzatiedifici nominalmente industriali, pagando oneri e reperendo i relativi standards
in quantità inferiori rispetto alla destinazione terziario , dopo di che, senza opere,
si possono utilizzare detti edifici per uffici, o per esercizi commerciali di piccole dimensione
(< 150 mq), risparmiando oneri e standards. I Comuni di fronte a ciò sono impotenti e sono
senza strumenti di prevenzione.
La possibilità di convenzionare il reperimento o la monetizzazione degli standard sembra inoltre
fatta apposta per i grandi interessi che gravitano attorno alle aree dimesse. Venendo a mancare l'obbligatorietà di
reperire lo standard in loco, non solo si pregiudica la qualità degli interventi (verde, attrezzature,
ecc.) ma si concede ampia libertà di sfruttamento volumetrico delle aree interessate da interventi
di ristrutturazione urbanistica (unica possibilità da parte delle amministrazioni comunali
di introiettare risorse per la realizzazione degli standard o urbanizzazioni ancora da completare)
senza alcun limite di rapporto demolito/ricostruito. Una Legge a misura della Milano da bere.
L'articolo che riguarda le ristrutturazioni edilizie degli edifici esistenti in aree agricole amplia
anche ai soggetti diversi dagli agricoltori (!) la possibilità di operare interventi di recupero
edilizio.
In commissione V l'art. è stato stralciato per essere modificato in accoglimento delle osservazioni
dell'associazione degli agricoltori e verrà presentato prima che il PdL approdi in aula.
Viene completamente modificato l'art. 15 della L.R. 51/75. Al PRG dei Comuni è assegnato
il compito di verificare lo stato di conservazione degli immobili, quello igienico-sanitario e le
destinazioni d'uso, la rete della mobilità, le zone di recupero e gli edifici di valore monumentale,
ambientale ed artistico.
Il PRG può inoltre definire la disciplina degli interventi evitando il ricorso a piani attuativi
(solitamente più approfonditi e seguenti all'approvazione dei PRG). Interventi di ristrutturazione
urbanistica e di nuova edificazione sono soggetti a concessione edilizia convenzionata e, laddove è espressamente
previsto, a piani attuativi.
Per le zone di recupero (aree estremamente importanti e strategiche)il PdL affossa ciò che è prescritto
dall'art. 7, punto 1, del DM 1444/1968, superando i limiti per la demolizione e ricostruzione degli
edifici che imponevano un indice di fabbricabilità non superiore al 50% di quello esistente.
L'inserimento da parte del relatore della legge di un emendamento (l'applicazione del limite di densità edilizia
di 5 mc/mq) non risolve i rilievi del commissario di governo e non riduce il grande favore alla speculazione
e alla rendita: Se il limite di densità edilizia dei 5 mc/mq può essere sufficiente
indicativo per le grandi città, nella miriade di Comuni che rappresentano la stragrande maggioranza
del territorio lombardo, questo limite e non quello del 50% della volumetria preesistente rischia
di vedere lo stravolgimento dei centri storici e della loro identità storico-culturale.
E' una delle questioni più complesse in materia urbanistica che spesso ha fatto registrare
accesi dibattiti nei Consigli Comunali in occasione delle approvazioni dei PRG. Parlare di calcolo
della capacità insediativa, della popolazione teorica significa predeterminare quella che
sarà la dotazione futura di standard e servizi, quella che saranno le aree destinate a verde.
Il PdL aumenta la dotazione di mc di cemento per abitante, passando da 100 a 150 mc. Ciò significa
che a parità di volume costruito diminuisce il numero degli abitanti insediati e, quindi,
di standard da reperire (25,6 mq/ab).
Il cemento sarà sempre meno compensato da verde, attrezzature e servizi.
Questa scelta è inoltre inadeguata a rappresentare e a governare le dinamiche riguardanti
la nostra popolazione: la dimensione delle abitazioni a fronte della nuclearizzazione delle famiglie,
la dotazione procapite di servizi, la vivibilità delle città, ecc.
Un secondo aspetto è l'assenza di qualsiasi impegno per introdurre riferimenti legislativi
per affrontare tutti quei problemi generati dalla doppia vita delle città: la città di
notte e la città di giorno.
Una città che di giorno raddoppia la sua popolazione (anche se non residente)e, proporzionalmente,
i suoi fabbisogni di standards e di servizi.
All'art. 7 viene inoltre inserita una grande insidia per il computo degli standard e, ancor più grave,
dal punto di vista ideologico e politico: il concetto di spazio pubblico e di attrezzature pubbliche,
interesse pubblico o generale.
Il rischio è quello che si apra, attraverso l'indeterminatezza di tale definizione, la strada
alla possibilità di computo di diverse aree e attività quali standards urbanistici
attraverso l'equivoco che tutto è potenzialmente di "interesse generale": le attività economiche,
le strade, edifici anche residenziali, ecc.
Viene introdotto questo nuovo strumento di competenza comunale in cui quantificare il fabbisogno
di strutture e servizi. Approvando il Piano dei Servizi possono essere derogati i limiti minimi di
standards di 26,5 mq/ab. Per i Comuni sotto i 3000 abitanti e per quelli la cui superficie territoriale è vincolata
per più del 50% da tutele ambientali e paesistiche, possono operare in deroga, anche senza
il Piano dei Servizi, rispettando il minimo dei 18 mq/ab.
Per ciò che riguarda i criteri di equivalenza e l'adeguamento di alcune leggi e norme, il
provvedimento più significativo è la reiterazione dell'approvazione dei piani attuativi
da parte della Giunta Comunale, in palese contrasto con la L. 142/90 e diverse leggi in materia urbanistica.
Ma su questo punto la Giunta e la sua maggioranza hanno deciso di andare allo scontro col Governo
nazionale.
La motivazione con la quale viene reiterato questo provvedimento (bocciato in precedenza dal Commissrio
di Governo) e cioè che il piano attuativo è diretta conseguenza e costituisce una formalità tecnica
rispetto gli indirizzi dati dal Consiglio Comunale in occasione dell'approvazione del P.R.G. non
regge. Troppo spesso i PRG demandano a piani attuativi o a piani settoriali di successiva emanazione
e quindi sottratti agli indirizzi del Consiglio.