Approvato dal Consiglio Regionale una nuova legge sulla "Disciplina dei mutamenti di destinazione d'uso di immobili e norme per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche di uso pubblico"

La Lombardia: un territorio a misura degli interessi dell'economia e del mercato.

la strada all'urbanistica liberista è ormai spianata.

Col PdL 0031 si completa il percorso intrapreso nella passata legislatura regionale che ha visto l'introduzione di una lunga serie di leggi specifiche e di settore e la svalutazione dello strumento principale per la pianificazione territoriale comunale: il Piano Regolatore Generale.
Queste leggi hanno liberato ampie aree agli interventi speculativi e hanno relegato i destini delle nostre città e dei nostri paesi agli interessi del libero mercato e dell'economia.
Diverse sono state le leggi promulgate dalla Regione Lombardia nell'ultima legislatura, dall'accelerazione del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici (L.R. 23.6.1997 n. 23) alle "norme urbanistiche straordinarie per la tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico" (L.R. 20.12.1999 n.26), dalla L. R. sui Piani Integrati di Intervento alla legge sul "recupero di immobili e nuovi parcheggi" (L.R. 19.11.1999, n.22). Diverse di queste, a dispetto del loro titolo, introducono contenuti urbanistici che richiedevano ben altra trattazione.
Abbiamo da sempre sostenuto la necessità di una legge quadro sull'urbanistica, a livello regionale così come a livello nazionale, e, comunque, prima di ogni discussione settoriale. Sarebbe stato utile definire un testo unico in modo da garantire un carattere di unitarietà alla disciplina e, allo stesso momento, di efficacia agli strumenti urbanistici.
Così non è stato in Lombardia. Si è preferito svendere il territorio con leggi ad hoc! Ci fa sorridere l'obiettivo dell'Ass. Moneta inserito nel Programma Regionale di Sviluppo, la definizione di una legge quadro dopo avere fatto leggi e leggine i cui effetti non ci sono ancora noti. Sarà la solita torta da affidare ai "superesperti del settore, il percorso finora fatto vincolerà l'esito di tale lavoro. Sarà esclusivamente un collage di una miriadi di pezzi, costituiti dalle leggi e dalle leggine approvate con tanta fretta dalla passata amministrazione.
Sarebbe invece utile avviare un serio confronto politico e culturale per far fronte alla crisi dell'urbanistica e dei suoi strumenti di programmazione e pianificazione.
Abbiamo conosciuto in questi decenni trasformazioni socioeconomiche che hanno determinato anche stravolgimenti territoriali dovuti alla rilocalizzazione dei luoghi della produzione e della riproduzione. Tutto ciò ha portato al manifestarsi di grandi contraddizioni dovuta alla parcellizzazione dello spazio e del tempo di vita (lavorare/risiedere/vivere il tempo libero/ecc.). Fisicamente queste contraddizioni le misuriamo ad esempio con la perdita di residenzialità delle nostre città, con la disseminata presenza di aree dimesse, con l'alta congestione delle aree urbane.
Registriamo inoltre, come già detto, della crisi dell'urbanistica sia in termini culturali che di strumenti per affrontare la nuova realtà.
E' indubbia la necessità di contestualizzare i contenuti e l'efficacia degli strumenti urbanistici. Affermare ciò è comunque profondamente diverso dallo svuotare lo strumento del Piano Regolatore Generale dei Comuni di contenuti e di valenze temporali.
Al PRG vengono tolte parti consistenti di territorio, su cui agiscono nuove e specifiche leggi e leggine.
Al PRG viene tolto il medio-lungo termine come durata temporale a cui riferire la programmazione e la pianificazione territoriale.
Al PRG vengono sottratti e si stralciano settori di programmazione che si rimandano a successive definizioni.
L'attuazione del PRG come processo pianificato e coordinato non esiste più.
Siamo in presenza di un PRG gruviera.
Si agisce ormai su pezzi limitati e si abusa delle nuove leggi, soprattutto la L.R. 23/97.
Sappiamo che molti Comuni hanno agito con questa legge, non siamo ancora a conoscenza degli effetti e dei risultati conseguiti. L'efficacia di una legge non la si misura sul suo utilizzo ma sui benefici che essa comporta alla collettività e, nel caso specifico, alla tutela del territorio e dei beni ambientali.
E la bontà delle nuove leggi è tutt'altro che dimostrata.

Il PdL 0031: La riproposizione di uno scontro politico.

Il Progetto di Legge regionale n. 0031 ripropone integralmente (salvo alcune modifiche ed aggiunte) il testo della L.R. 139 del 16 febbraio 2000 bocciata dal Commissario di Governo per l'illegittimità di alcuni passaggi:

  1. la violazione per ciò che concerne gli standards urbanistici per i centri storici del Decreto Ministriale 1444/68
  2. il contrasto con la L. 1150/42 per ciò che riguarda il meccanismo di conteggio delle attrezzature pubbliche
  3. la violazione della legge 142/90 nel punto che prevede il passaggio in Consiglio Comunale dei piani urbanistici attuativi. Il PdL prevede che sia la Giunta Comunale, e non il Consiglio Comunale, ad adottare e ad approvare i piani attuativi.

La maggioranza che governa la Regione, adducendo come motivazione il fatto che analoghe leggi sono state approvate in regioni a conduzione del centrosinistra - Toscana ed Emilia Romagna - e non hanno subito alcun rilievo da parte del Commissario di Governo, ha deciso di andare allo scontro politico col governo nazionale, anche alla luce dell'avvicinarsi delle elezioni politiche e della votazione del Consiglio regionale per l'indizione del referendum sulla devolution.

Il PdL 0031 tratta questioni molto delicate dal punto di vista urbanistico e della pianificazione urbanistica comunale: i mutamenti delle destinazioni d'uso, le ristrutturazioni edilizie degli edifici esistenti in aree agricole, le norme per gli interventi nei centri storici, le norme per la determinazione della capacità insediativi e per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico, l'introduzione del Piano dei Servizi, l'adeguamento di alcune leggi e norme.

I mutamenti delle destinazioni d'uso

Il PdL , in attuazione dell'art. 25 della legge 47/95 , definisce gli atti necessari per il cabio della destinazione d'uso di immobili, con o senza l'esecuzione di opere edilizie.
I mutamenti vengono suddivisi in due casistiche: con o senza opere edilizie.
Nel primo caso le modalità sono quelle delle leggi vigenti ed i mutamenti comportano il reperimento di standard aggiuntivi (una convenzione disciplinerà le modalità di reperimento dello standard che potrà anche essere monetizzato) . Per il secondo caso basterà una semplice comunicazione e per superfici inferiori ai 150 mq viene meno anche questa prescrizione.
In questo caso tutte le micro trasformazioni delle città (si pensi agli uffici dei professionisti - avvocati, architetti, consulenti,ecc. che a Milano hanno sostituito residenze svuotando ed invecchiando la città) non solo non saranno contrastate o, almeno, normate, ma addirittura avverranno senza alcun controllo e pianificazione. Non solo, ma esistono gli spazi per i trucchi urbanistici: possono essere realizzatiedifici nominalmente industriali, pagando oneri e reperendo i relativi standards in quantità inferiori rispetto alla destinazione terziario , dopo di che, senza opere, si possono utilizzare detti edifici per uffici, o per esercizi commerciali di piccole dimensione (< 150 mq), risparmiando oneri e standards. I Comuni di fronte a ciò sono impotenti e sono senza strumenti di prevenzione.
La possibilità di convenzionare il reperimento o la monetizzazione degli standard sembra inoltre fatta apposta per i grandi interessi che gravitano attorno alle aree dimesse. Venendo a mancare l'obbligatorietà di reperire lo standard in loco, non solo si pregiudica la qualità degli interventi (verde, attrezzature, ecc.) ma si concede ampia libertà di sfruttamento volumetrico delle aree interessate da interventi di ristrutturazione urbanistica (unica possibilità da parte delle amministrazioni comunali di introiettare risorse per la realizzazione degli standard o urbanizzazioni ancora da completare) senza alcun limite di rapporto demolito/ricostruito. Una Legge a misura della Milano da bere.
L'articolo che riguarda le ristrutturazioni edilizie degli edifici esistenti in aree agricole amplia anche ai soggetti diversi dagli agricoltori (!) la possibilità di operare interventi di recupero edilizio.
In commissione V l'art. è stato stralciato per essere modificato in accoglimento delle osservazioni dell'associazione degli agricoltori e verrà presentato prima che il PdL approdi in aula.

Le norme per gli interventi nei centri storici

Viene completamente modificato l'art. 15 della L.R. 51/75. Al PRG dei Comuni è assegnato il compito di verificare lo stato di conservazione degli immobili, quello igienico-sanitario e le destinazioni d'uso, la rete della mobilità, le zone di recupero e gli edifici di valore monumentale, ambientale ed artistico.
Il PRG può inoltre definire la disciplina degli interventi evitando il ricorso a piani attuativi (solitamente più approfonditi e seguenti all'approvazione dei PRG). Interventi di ristrutturazione urbanistica e di nuova edificazione sono soggetti a concessione edilizia convenzionata e, laddove è espressamente previsto, a piani attuativi.
Per le zone di recupero (aree estremamente importanti e strategiche)il PdL affossa ciò che è prescritto dall'art. 7, punto 1, del DM 1444/1968, superando i limiti per la demolizione e ricostruzione degli edifici che imponevano un indice di fabbricabilità non superiore al 50% di quello esistente. L'inserimento da parte del relatore della legge di un emendamento (l'applicazione del limite di densità edilizia di 5 mc/mq) non risolve i rilievi del commissario di governo e non riduce il grande favore alla speculazione e alla rendita: Se il limite di densità edilizia dei 5 mc/mq può essere sufficiente indicativo per le grandi città, nella miriade di Comuni che rappresentano la stragrande maggioranza del territorio lombardo, questo limite e non quello del 50% della volumetria preesistente rischia di vedere lo stravolgimento dei centri storici e della loro identità storico-culturale.

Le norme per la determinazione della capacità insediativi e per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico

E' una delle questioni più complesse in materia urbanistica che spesso ha fatto registrare accesi dibattiti nei Consigli Comunali in occasione delle approvazioni dei PRG. Parlare di calcolo della capacità insediativa, della popolazione teorica significa predeterminare quella che sarà la dotazione futura di standard e servizi, quella che saranno le aree destinate a verde.
Il PdL aumenta la dotazione di mc di cemento per abitante, passando da 100 a 150 mc. Ciò significa che a parità di volume costruito diminuisce il numero degli abitanti insediati e, quindi, di standard da reperire (25,6 mq/ab).
Il cemento sarà sempre meno compensato da verde, attrezzature e servizi.
Questa scelta è inoltre inadeguata a rappresentare e a governare le dinamiche riguardanti la nostra popolazione: la dimensione delle abitazioni a fronte della nuclearizzazione delle famiglie, la dotazione procapite di servizi, la vivibilità delle città, ecc.
Un secondo aspetto è l'assenza di qualsiasi impegno per introdurre riferimenti legislativi per affrontare tutti quei problemi generati dalla doppia vita delle città: la città di notte e la città di giorno.
Una città che di giorno raddoppia la sua popolazione (anche se non residente)e, proporzionalmente, i suoi fabbisogni di standards e di servizi.
All'art. 7 viene inoltre inserita una grande insidia per il computo degli standard e, ancor più grave, dal punto di vista ideologico e politico: il concetto di spazio pubblico e di attrezzature pubbliche, interesse pubblico o generale.
Il rischio è quello che si apra, attraverso l'indeterminatezza di tale definizione, la strada alla possibilità di computo di diverse aree e attività quali standards urbanistici attraverso l'equivoco che tutto è potenzialmente di "interesse generale": le attività economiche, le strade, edifici anche residenziali, ecc.

L'introduzione del Piano dei Servizi

Viene introdotto questo nuovo strumento di competenza comunale in cui quantificare il fabbisogno di strutture e servizi. Approvando il Piano dei Servizi possono essere derogati i limiti minimi di standards di 26,5 mq/ab. Per i Comuni sotto i 3000 abitanti e per quelli la cui superficie territoriale è vincolata per più del 50% da tutele ambientali e paesistiche, possono operare in deroga, anche senza il Piano dei Servizi, rispettando il minimo dei 18 mq/ab.
Per ciò che riguarda i criteri di equivalenza e l'adeguamento di alcune leggi e norme, il provvedimento più significativo è la reiterazione dell'approvazione dei piani attuativi da parte della Giunta Comunale, in palese contrasto con la L. 142/90 e diverse leggi in materia urbanistica.
Ma su questo punto la Giunta e la sua maggioranza hanno deciso di andare allo scontro col Governo nazionale.
La motivazione con la quale viene reiterato questo provvedimento (bocciato in precedenza dal Commissrio di Governo) e cioè che il piano attuativo è diretta conseguenza e costituisce una formalità tecnica rispetto gli indirizzi dati dal Consiglio Comunale in occasione dell'approvazione del P.R.G. non regge. Troppo spesso i PRG demandano a piani attuativi o a piani settoriali di successiva emanazione e quindi sottratti agli indirizzi del Consiglio.

Daniele Cassanmagnago
Monza, 19 ottobre 2000