Per ridurre il deficit di energia elettrica non serve solo costruire nuovi impianti, ma anche riconvertire e migliorare l'efficienza di quelli esistenti

Il metano dà una mano
Ma non basta

L'utilizzo del metano in centrali termoelettriche rappresenta una alternativa meno sporca (e non “più pulita”) rispetto agli altri combustibili fossili (olio combustibile, carbone, orimulsion, gasolio, etc).

Un minor impatto ambientale nella combustione del metano è conseguito in particolare ove siano applicate tecnologie a maggior rendimento rispetto ai tradizionali “cicli a vapore”: ad esempio le centrali a ciclo combinato e con cogenerazione (in cui i gas di scarico della prima combustione alimentano con il loro calore residuo una caldaia a recupero che produce ulteriore vapore, utilizzabile per teleriscaldamento, impieghi industriali ecc.).

In questo caso i rendimenti arrivano al 55-60%.

Un ulteriore passo sarà rappresentato dalla messa a punto industriale delle celle a combustibile, che possono raggiungere rendimenti globali (elettrici e termici) pari all'82% con emissioni nell'ambiente estremamente ridotte.

Con il meccanismo attivato in Italia della liberalizzazione del mercato dell'energia, si è assistito alla presentazione di numerosissime proposte di impianti termoelettrici a gas metano (per lo più cicli combinati e cogenerativi) che si aggiungerebbero agli esistenti.

centrale a turbogas
Schema di una centrale a turbina

Proviamo a indicare i principali fattori di impatto ambientale di una “tipica” centrale termoelettrica da 800 Mw termici (capace di produrre circa 400 Mw di elettricità) a ciclo combinato, alimentata a gas metano.

Le emissioni

Supponendo un funzionamento annuo dell'impianto per 8.000 ore, le emissioni principali sono costituite da ossido di azoto che possono essere stimate in circa 840.000 kg/anno, monossido di carbonio (200.000 kg/anno) e biossido di carbonio (il “gas serra” per definizione, 1.184.000 tonnellate/ anno, all'incirca un centesimo degli obiettivi nazionali di riduzione di questo gas che l'Italia si è impegnata a raggiungere con il “Protocollo di Kyoto”).

Anche se parliamo di gas metano vanno considerati - vista la taglia dell'impianto - anche inquinanti come le polveri e gli ossidi di zolfo (30.000 kg/anno di ossidi di zolfo e a 15.000 kg/anno nel caso delle polveri).

Si ' L tratta di valori elevati - anche se più bassi (eccetto gli ossidi di azoto) rispetto ad una equivalente centrale a combustibili fossili tradizionali - che peserebbero sull'area interessata. Per non dire degli aerosol o “drift” (goccioline di vapore acqueo) che nel nostro caso possono essere stimate in oltre 1 metro cubo all'ora, con un potenziale effetto peggiorativo (nebbie) sulla situazione della zona.

L'acqua

Di norma le centrali a ciclo combinato hanno sistemi di raffreddamento ad acqua. Ciò comporta, anche in presenza di un parziale riciclo dell'acqua utilizzata nell'impianto, elevati prelievi (intorno a 450 mc/h di acqua, l'equivalente del consumo medio di 31.000 abitanti di una metropoli del nord Italia).

In caso di adozione di sistemi di raffreddamento ad aria possono essere ridotti i consumi di acqua, ma si avrebbero problemi in relazione alla dissipazione del calore: la centrale funzionerebbe da enorme “termosifone”.

Inoltre sono prodotti scarichi idrici intorno ai 70 mc/h, i quali, anche se depurati, possono avere forti impatti ambientali, anche per l'elevata temperatura.

L'impatto acustico

Una centrale a turbogas come quella considerata ha macchine che producono un rumore elevato: in diversi progetti esaminati da chi scrive, si riscontrava il superamento dei limiti notturni fino a circa 200-300 metri dal confine della centrale, nel caso in cui i limiti delle aree circostanti fossero quelli previsti per aree agricole o residenziali.

Va segnalato che queste centrali tendono a condizionare il territorio ovvero a costituire il primo caposaldo di una nuova area industriale.

E, paradossalmente, questa problematica tende ad essere superata contestualmente alla modifica urbanistica necessaria per accogliere la centrale: il rumore non sopportabile dai cittadini rimane, ma i “limiti” sono formalmente rispettati.

Da ultimo vanno ricordati gli impatti “indotti”, da valutare in relazione alle condizioni della zona, cioè quelli connessi con la realizzazione di infrastrutture a servizio della centrale (strade, metanodotti, elettrodotti).

Come difendersi

Qualche mezzo di difesa è alla portata della popolazione, in particolare tramite la Valutazione di Impatto Ambientale.

Questa procedura, che è in primo luogo un diritto dei cittadini all'informazione e alla partecipazione alle decisioni, è obbligatoria per le centrali di potenzialità superiore a 300 Mw termici (in questo caso la procedura è presso il ministero dell'Ambiente) e per quelle superiori a 50 Mw termici (presso la regione interessata).

A tale proposito va segnalata la previsione del “decreto sbloccacentrali” approvato nell'ottobre scorso dal Consiglio dei ministri.

In questo provvedimento vi è un esplicito attacco ai poteri degli enti locali. E' previsto infatti che «il parere non favorevole, congruamente motivato, deve indicare, a pena di inammissibilità, le condizioni e le modifiche progettuali che si reputano necessarie per un parere favorevole».

Questa previsione, simile a quella prevista nell'art. 12 della legge del 2000 sulla “semplificazione amministrativa”, è finalizzato unicamente a ridurre i poteri degli enti locali e a piegare questi ultimi alle esigenze dei privati. Si tratta di una questione non puramente ambientale ma anche di democrazia.

Per chi scrive esiste la possibilità di un utilizzo del gas metano per produrre energia elettrica con un minore impatto ambientale ed in una fase di transizione rispetto all'utilizzo estensivo di fonti di energie rinnovabili che deve essere un obiettivo di tutti non certamente affidabile al “libero mercato”.

Studi effettuati per un utilizzo più efficiente del gas naturale nell'industria italiana introducendo tecnologie avanzate di cogenerazione hanno individuato vari “scenari” i cui effetti (in termini di maggiore produzione di energia elettrica, di riduzione di consumo di combustibili tradizionali, di effetto sulle emissioni di gas serra e di altri inquinanti) sarebbero, tra l'altro, di “svincolarci da gran parte delle importazioni di elettricità o di rinunciare alla costruzione di nuove centrali termoelettriche per un ammontare indicativo di oltre 6.000 Mw”, di raddoppiare l'energia elettrica generata dagli impianti cogenerativi potenziati, mentre si avrebbe “una generazione elettrica aggiuntiva di circa 11.290 GWh/a ottenuta a parità di consumo globale di gas naturale e con una riduzione significativa dei consumi di olio”.

In altri termini, la via della riduzione del deficit produttivo (al 1998 pari a 40.732 GWh) non è esclusivamente basata sulla realizzazione di nuove centrali termoelettriche ancorché basate su cicli cogenerativi a metano a minore impatto ambientale, ma ha nella riconversione, ripotenziamento e miglioramento dell'efficienza delle centrali esistenti una strada concreta rispettosa degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e nel contempo in grado di coprire in buona parte o del tutto l'attuale deficit di produzione di energia elettrica.

Marco Caldiroli
Medicina Democratica
Milano, 3 febbraio 2002
da "Liberazione"