Provincia di Milano: reti ed erogazione, distribuzione e servizio ai cittadini

Milano, storica decisione, l’acqua “torna” pubblica

Penati: “La gestione dei servizi non necessariamente sempre deve essere privata ”

Il primo atto di nascita dell’area metropolitana milanese si realizza sulla gestione pubblica dell’acqua: «Reti ed erogazione, distribuzione e servizio ai cittadini, saranno nella Provincia di Milano al 100% pubbliche, anche perché non c’è necessità industriale di un partner privato (le conoscenze sono già tutte interne alle aziende pubbliche) e non c’è necessità finanziaria» (in 10 anni sono previsti 800 milioni di investimenti coperti dalle bollette e da un finanziamento della Banca europea d’investimento, ndr); parola di Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano che ha tirato una riga pesante sulla liberalizzazione dei servizi pubblici, da sinistra. «Abbiamo aperto un dibattito su liberalizzazioni e privatizzazioni, e crediamo di aver fatto fare dei passi in avanti a tutto il centrosinistra, anche rivedendo l’idea che un privato ci debba essere sempre nella gestione di un servizio&#raquo;. Penati è dei Ds e non disdegna il mercato, il suo ragionamento è puramente economico.

A conti fatti, perché regalare ai privati una fonte di ricavi quando ci sono necessità pubbliche di gestione di un servizio e investimenti per rilanciarlo? Lo stesso ragiona- I mento lo ha fatto sulle autostrade acquistando la maggioranza della Serravalle che gestisce le tangenziali di Milano e la Milano-Genova.

In previsione una società pubblica di partecipazioni di infrastrutture e reti dedicata allo sviluppo del milanese.

Chi si occupa d’acqua sa che il ciclo integrato dell’acqua (dalla captazione, alla depurazione e riciclo) di cui si parla da vent’anni ha bisogno di dimensioni e investimenti pubblici.

Figurarsi per un bacino idrografico che va dall’Adda al Ticino e che comprende Milano, la futura provincia della Brianza, la provincia di Lodi e quella di Pavia. Sono più di 5 milioni di cittadini che verranno serviti, in futuro, da un solo ente. Ad esclusione della città di Milano che attualmente ha un suo proprio Ato separato da quello provinciale, gestito dal Comune (un caso unico di una metropoli che prende acque pulite e scarica acque sporche fuori dal suo ambito, possibile grazie a una normativa ad hoc della regione di centrodestra di cui Rifondazione chiede il ritiro). Un confine politico contro una realtà naturale. Ma torniamo alla provincia dove l’Unione, al governo da un anno e mezzo, eredita 33 aziende di servizi idrici per 188 comuni dove spesso i gestori sono tre: uno che dà l’acqua potabile, un altro che fa depurazione e le fognature in economia. Un bel casotto da coordinare, anche cambiare un tubo diventa complicato (di chi è la competenza, dove finisce l’uno e tocca all’altro?), figurarsi le sinergie.

Infatti, ci sono comuni che usano le bollette per migliorare la rete, altri che le spendono per altri servizi. E il centrodestra continua a privatizzare separando società di erogazione e di gestione e aziende di gestione miste (con minimo 40% di privati) per 30 anni di concessione.

Uno schema vecchio che non ha mai premiato gli investimenti ma solo l’aumento delle tariffe. Ma tant’è, piace anche a molto centrosinistra (è quello che vuole fare la provincia di Cremona, ad esempio).

La Provincia di Milano, invece, va in direzione opposta: fusione di società e competenze, piani industriali e strategici di lungo periodo. Una semplificazione ovvia: non si disperdono investimenti, si difende il patrimonio di conoscenze e lavoro, si bada al ciclo invece di risparmiare sul servizio. Almeno in teoria. Ora si potrà dimostrarlo senza dimenticare che la Provincia mette i bastoni nelle ruote alla regione privatizza- tutto di Roberto Formigoni.

«Per la prima volta sull’acqua si apre una questione politica e di partecipazione come non era mai successo», commenta Mario Agostinelli capogruppo di Rifondazione in Regione Lombardia, «e il tentativo orchestrato da Formigoni di usare la Regione per forzare la privatizzazione dell’acqua lombarda adesso può fallire». Il disegno del centrodestra lombardo era semplice: due società pubbliche della regione prestavano soldi e assistenza agli Ato in cambio di una privatizzazione delle aziende di gestione: il pubblico pagava i costi della privatizzazione.

«Siamo alla sopraffazione e al limite della legalità dell’uso del denaro pubblico – commenta Agostinelli – ma l’epoca dei trucchi con i soldi dei contribuenti è finita. Chiediamo risposte chiare e andremo fino in fondo». Intanto a Bergamo stanno pensando di ritornare alla gestione pubblica e a Cremona da più parti si chiede alla provincia l’apertura di una discussione con tutti i comuni e la cittadinanza.

Claudio Jampaglia
Milano, 16 dicembre 2005
da "Liberazione"