L'esposizione universale nel capoluogo lombardo è una grande occasione. Ma occhio a chi specula e alle truffe.

«L'Expo2015 per una Milano verde. Non per nutrire palazzinari e smog»

Andrea Savi, del comitato No Expo, e Vittorio Agnoletto, eurodeputato del Gue/Ngl, spiegano i loro dubbi sulla kermesse milanese

Expo: una manna dal Cielo

Vignetta diMolly Bezzinfo

Il dado è tratto: Milano ospiterà l'Esposizione Universale 2015. Ma quella che Letizia Moratti e compagnia stanno festeggiando come una grande vittoria costituisce, secondo comitati di cittadini, associazioni ambientaliste e molti altri soggetti della società civile, una minaccia per il capoluogo lombardo. Perché, sono convinti, propone un modello di sviluppo inquietante, soprattutto se il progetto non sarà negoziato con i cittadini e monitorato dal punto di vista del rispetto del territorio, dell'ambiente e delle persone.

Tra quelli che ne sono convinti ci sono senza dubbio Andrea Savi, del comitato No Expo, e Vittorio Agnoletto, eurodeputato del Gue/Ngl. A loro abbiamo chiesto di spiegare come il progetto potrà diventare una risorsa per Milano e cosa non li convince del progetto attuale.

Andrea Salvi è preoccupato perché nei programmi accompagnati all'Expo «si investe ancora sul trasporto su gomma, moltiplicando l'asfalto di strade e tangenziali» anziché puntare «sulla riduzione di traffico e smog» in una città già soffocata dal traffico, per «i rischi di nuove speculazioni edilizie», «perché già in altri casi il boom di impeghi promesso poi si è materializzato come lavoro in nero» e perché «non vorrei che il centro diventi una città vetrina da cui buttare fuori le fasce più deboli».

Vittorio Agnoletto critica poi anche il sistema decisionale: «tutto stabilito dall'alto sulla pelle di milioni di cittadini, come se i milanesi non avessero diritto a dire la loro sul futuro della città». L'eurodeputato eletto come indipendente nelle liste del Prc/Sinistra Europea definisce quindi «scandaloso» l'accordo siglato tra Ente Fiera, il Gruppo Cabassi e il Comune di Milano, che «una volta finita l'Expo trasformerà due milioni di metri quadrati attualmente agricoli in terreno edificabile, con unico viuncolo di non poter installare attività produttive insalubri». «Ma voglio essere ottimista», sottolinea Angoletto: «i milanesi sapranno capire quant'è importante vigilare sul progetto dell'Esposizione. E tornare ad essere agli occhi del mondo una capitale accogliente e non xenofoba, produttiva ma non dedita esclusivamente al dio denaro e al liberismo più sfrenato, culturalmente fertile. Insomma, una città in cui si torni a volere (e potere) abitare e vivere».

Qual è l'aspetto del progetto che più vi preoccupa?

(Savi) «Gli aspetti che ci preoccupano sono molti: dal punto di vista della mobilità la rete infrastrutturale che è stata progettata investe ancora una volta sul trasporto su gomma, allargando il cerchio della tangenziale intorno a Milano e moltiplicando le autostrade e le grosse arterie. Questa soluzione porterà ancora più traffico e inquinamento, mentre la disastrosa qualità dell'aria nella pianura padana meriterebbe un piano del trasporto pubblico serio e capillare. La cementificazione, il consumo di territorio e le speculazioni edilizie sono un altro grosso problema, perché manca un piano di edilizia popolare e si sono progettati invece mega grattacieli e quartieri esclusivi, che non rispondono ai bisogni della città. Anche i 70mila posti di lavoro promessi ci preoccupano: la Fiera di Rho Pero dalla sua costruzione ad oggi è stata il paradigma del lavoro nero e della precarietà, con un sistema di appalti e subappalti che rende quasi impossibili i controlli».

(Agnoletto) «Ad oggi è soprattutto il carattere non partecipativo, non inclusivo del percorso decisionale, l'elemento meno beneaugurante rispetto alla strada verso l'Expo del 2015. E' ancora una volta un progetto "calato dall'alto" sulle vite di milioni di cittadini, che non sono stati consultati rispetto ad un evento che stravolgerà in ogni caso il territorio in cui vivono. La mancata realizzazione di una democrazia partecipata, da parte delle istituzioni coinvolte ed in primis da parte della Giunta Moratti, è un segnale assolutamente negativo. Perché da qui al progetto definitivo dell'opera, che dovrà essere pronto nel 2010, il dialogo e il confronto con i milanesi dovrebbe essere la priorità per gli organizzatori della kermesse. Inoltre è particolarmente scandaloso l'accordo siglato tra Ente Fiera, il Gruppo Cabassi e il Comune di Milano in cui vengono definiti i termini per l'uso e la trasformazione del territorio: l'area è stata ceduta temporaneamente al Comune in cambio della variazione della destinazione d'uso. Una volta finita l'Expo due milioni di metri quadrati attualmente agricoli torneranno ai proprietari e saranno edificabili, con il solo vincolo di non poter installare attività produttive che nuociono alla salute».

Come si trasformerà secondo voi Milano da qui al 2015? E dopo, una volta conclusa l'esposizione?

(Savi) «Da qui al 2015 vivremo la "Milano da mangiare", un enorme cantiere su tutta la città, in cui sarà quasi impossibile arginare gli appetiti dei costruttori e i fenomeni di lavoro nero e caporalato che in edilizia sono all'ordine del giorno. Il grosso rischio è che Milano diventi la città-vetrina, che vi sia un'espulsione delle fasce sociali più deboli nelle periferie andando a "colonizzare" altro territorio ora verde, oltre le tangenziali attuali. Nuovi quartieri per ceti abbienti e faraonici grattacieli non risponderanno ai bisogni della città, ma al contrario aumenteranno i problemi e le contraddizioni».

(Agnoletto) «Il timore è certamente quello di uno skyline totalmente cementificato, a riempire ulteriormente le tasche degli speculatori immobiliari che a Milano hanno praticamente avuto mano libera nel modificare l'urbanistica della città. Una Milano senza parchi, con le periferie sempre più degradate e marginalizzate da una parte, e la Fiera dorata dall'altra. Ma voglio essere ottimista: i milanesi sapranno capire quant'è importante vigilare sul progetto dell'Esposizione. E tornare ad essere agli occhi del mondo una capitale accogliente e non xenofoba, produttiva ma non dedita esclusivamente al dio denaro e al liberismo più sfrenato, culturalmente fertile. Insomma, una città in cui si torni a volere (e potere) abitare e vivere».

Che cosa chiedete oggi agli amministratori che hanno voluto l'Expo a Milano?

(Savi) «Ora per noi diventa centrale la questione del sito su cui si realizzerà l'Expo, l'area agricola di proprietà della Fiera e di Cabassi (il cui valore è andato alle stelle), su cui sorgeranno i capannoni dell'esposizione universale e una volta conclusa l'evento verranno abbattuti. Abbiamo lanciato una petizione perché non ci sia consumo di territorio agricolo e per l'Expo vengano utilizzati invece i capannoni della Fiera, inaugurati nel 2005, evitando così di sovrapporre le manifestazioni fieristiche all'esposizione universale. Ma anche su altre questioni faremo vertenza, entrando nel merito delle singole opere e proponendo alternative concrete».

(Agnoletto) «Credo sia giusto chiedere, non finirò di ripeterlo, che in primo luogo vengano consultate le popolazioni. Il caso della Val Susa è emblematico di come sia controproducente progettare grandi opere sulla pelle dei cittadini, senza ascoltare il loro parere e le loro proposte alternative. Dopo di che, possiamo discutere di un modello altro di città. Milano è una delle città più inquinate d'Europa e fa quasi sorridere il fatto che Al Gore pensi invece che sia un esempio virtuoso. Per questo l'Expo sarà un'opportunità se e solo se verrà effettivamente realizzata ad impatto ambientale zero e soprattutto se le infrastrutture che porterà saranno non altre autostrade, tangenziali, terze piste a Malpensa, ma mezzi pubblici ecologici, piste ciclabili e investimenti concreti sulla mobilità sostenibile».

Che riscontro avete avuto fino ad ora nel comunicare i vostri timori agli organizzatori e promotori dell'Expo milanese?

(Savi) «Nell'incontro che abbiamo avuto a febbraio 2008 con il Segretario Generale del Bie, abbiamo esposto tutte le nostre critiche, trovando riscontro in particolare sul problema del sito già oggi difficilmente accessibile in occasione di grosse Fiere (code chilometriche di auto), che è un problema dei cittadini del territorio Rhodense, ma anche di chi gestisce le manifestazioni e che va dunque affrontato seriamente da tutti, pensando ad un notevole potenziamento del trasporto pubblico. Il Segretario del Bie in proposito ha sottolineato come tutte esperienze passate in cui l'Expò si è tenuta in prossimità di una Fiera abbiano evidenziato notevoli problemi gestionali».

Cosa faranno ora i comitati? E la società civile nel suo complesso?

(Savi) «L'approccio più adeguato è quello conflittuale, mantenendo un rapporto stretto con gli abitanti dei quartieri e dei territori toccati da grandi opere e speculazioni edilizie. I canali "istituzionali" di partecipazione non ci convincono, preferiamo continuare a dire la nostra con petizioni, assemblee, presidi, manifestazioni. Il grosso lavoro da fare è di costruire una rete tra la miriade di realtà che nei territori producono conflitti e che isolate non hanno grosse speranze di incidere, ma che se sanno connettersi tra loro possono arrivare a progettare l'altra Milano possibile, portando ciascuna il proprio contributo.
Intanto il 19 aprile, nella prima data utile dopo le elezioni, lanciamo una manifestazione contro il modello lombardo, fatto di speculazioni e grandi opere inutili, che è sostenuto trasversalmente dalle forze politiche che si candidano a governare il Paese.

(Agnoletto) «Gli organizzatori hanno voluto intitolare la manifestazione ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita'. Ma i fatti sono molto diversi da questo slogan: saranno infatti invitate aziende biotech, produttori di Ogm e nessuno dei promotori si è mai sognato di mettere in discussione le sovvenzioni europee e nordamericane alle multinazionali alimentari, che affamano letteralmente il Sud del mondo. Abbiamo per concludere troppi fondati timori: dobbiamo impedire che queste minacce diventino realtà».

Barbara Battaglia
Milano, 5 aprile 2008
da “Liberazione”