TV: cosa cambia realmente a Milano? Praticamente nulla

Nella rete del Nord

Voglia di occupazione di posti

Rai2 la Rete del Nord? Sembrerebbe così dalle decisioni del Cda Rai che hanno definitivamente creato un solco anche nelle file della maggioranza. Ma cosa realmente cambia o potrebbe cambiare alla Rai di corso Sempione a Milano?

Nel comunicato diramato dall'azienda si fa riferimento «allo spostamento della sede del direttore e gradualmente di alcune strutture della programmazione», il che non sarebbe un gran cambiamento. D'altronde il direttore Antonio Marano, leghista "atipico" (così si definisce) ha già aperto un ufficio a Milano e il lunedì lo si può trovare in sede. Ma dalle dichiarazioni politiche la partita è molto più grossa.

Si sa che la Lega ha fretta di portare a casa il risultato e tutte le postazioni possibili. In questa frenesia gli esponenti leghisti procedono con la retorica guerriera della "liberazione" e la maschera amministrativa del "decentramento".

In realtà, la gestione leghista si contraddistingue per una serie di poltrone occupate (ad esempio, Massimo Ferrario, leghista ex presidente della Provincia di Varese e imprenditore di "una piccola azienda informatica", è direttore del centro di produzione di Milano) e l'assunzione di diversi giornalisti fidati (il vicedirettore del Tg3 con delega all'edizione milanese delle 12 Romano Bracalini - rimosso da Di Bella qualche tempo fa -, Giuseppe Baiocchi, già direttore della Padania, come inviato speciale sul federalismo, Simonetta Faverio ex addetta stampa di Bossi, assunta come vicedirettore delle Tribune parlamentari e che da Roma produce la trasmissione Regionando e Max Parisi, direttore del Sole delle Alpi e conduttore di TelePadania, come giornalista con contratto di consulenza).

Non sfugge alla logica nemmeno lo stesso Albertoni che nonostante abbia dichiarato il 22 febbraio 2002 l'incompatibilità tra la carica di consigliere Rai e quella di assessore regionale alle Culture - "sarò dimissionario nel giro di qualche giorno" - è rimasto dov'era. E' lo stile della Lega. Mentre il presidente del Consiglio regionale Fontana sbeffeggia le opposizioni perché chiedono le dimissioni di Albertoni, il consigliere-assessore, tra un'inaugurazione e un convegno, rivendica la sua "produttività": è riuscito a spendere tutti i soldi del budget regionale (come ricorda Ezio Locatelli del gruppo regionale di Rifondazione Comunista per iniziative di matrice esclusivamente "particolaristica" come i corsi di lingue per reintrodurre nelle scuole "le lingue lombarde" o il carnevale celtico).

Gente seria, che lavora duro (anche con il doppio o triplo lavoro). Il trasferimento di Rai2? Ecco fatto: "Il 92% della struttura milanese sta già operando per la rete Due, si tratta ora di razionalizzare un sistema", erano trent'anni che se ne parlava, bastava una delibera (anche se in corso Sempione c'è chi ha riso alla lettura dell'affermazione del consigliere).

Gente concreta, che come dice Albertoni è distante dalla "politica dei politicanti", e non sopporta i "piagnistei" della redazione milanese che si è permessa di aprire un Tg con i morti sul lavoro (che si sa abbassano la produttività) e così l'ha richiamata all'ordine accusando i giornalisti di faziosità e di scarso radicamento sul territorio. Dalle colonne della Padania, Albertoni detta anche le linee editoriali del nuovo Tg culturale. Inarrestabile.

I giornalisti Rai di Milano, all'unanimità, non ne possono più e scrivono: "in questo periodo le interferenze politiche, da sempre presenti, a scapito dell'autonomia professionale, sono arrivate ad un punto mai visto". E domani scioperano per denunciare lo stato cronico di una redazione "impoverita e umiliata, privata del ruolo che le spetta nell'informazione del Paese".

Il "canale Rai del Nord" chiodo fisso di Bossi rischia di affondare nella crisi in cui versa l'azienda a Milano e nella occupazione militare della Lega.

Per spostare veramente Rai Due a Milano, secondo un delegato Usigrai, "bisognerebbe spostare a Milano produzioni, strutture e uomini. Fare a Milano una soap opera o un format acquistato altrove non darebbe alcun valore aggiunto". Perché la televisione (come la radio) a Milano si fa sempre di meno: esattamente si produce per il 50% delle potenzialità. Trasmissioni cancellate e trasferite, una programmazione settimanale delle redazioni giornalistiche di 140 minuti (esclusi i Tg), contro i 470 minuti degli ultimi anni. Un uso degli studi calato del 40%. Più che un centro di produzione, un distributore di prodotti voluti e gestiti da altri. Siamo alla completa terziarizzazione con un sistema di appalti che fornisce quasi esclusivamente prodotti chiavi in mano.

Non servirà a nulla "spostare 4 scrivanie" e forzare l'accento territoriale per rilanciare Milano, ma tanto chi vuole rilanciarla veramente?. "Magari ci fosse un progetto serio e credibile, mezzi e creatività, autonomia decisionale e progetti di rilancio. Qui sembra piuttosto di essere sul Titanic con i comandanti che lucidano i cristalli", afferma Maxia Zandonai giornalista e delegata del Cdr. Si perché Milano (e lo spostamento di Rai2) sembrano essere un po' il paradosso della gestione Rai attuale. L'azienda è in una crisi drammatica: perde ascolti (oltre al prime time ricordiamo che proprio la Rai2 di Marano è superata per la prima volta da Italia1 negli ascolti complessivi, una tragedia) e introiti pubblicitari. Ma si fa finta di niente, rilanciando di qua, spostando di là.

Stamani un centinaio di leghisti (con Max Parisi ad arringarli) ha brindato in Corso Sempione: "abbiamo vinto". Hanno delle certezze, finalmente una "Tv con l'accento del Nord" (sempre Albertoni).

Claudio Jampaglia
Milano, 23 febbraio 2003
da "Liberazione"