La morte di Alberto Sordi

L'eroe dell'Italia piccolo-borghese

Intervista al critico cinematografico Mino Argentieri

La «satira caustica», la «vis comica», il repertorio di «figure caratteristiche della piccola borghesia» hanno reso Alberto Sordi un interprete del cinema italiano «più efficace di quanto non potessero consentirgli i suoi limiti ideologici e culturali». E' proprio questa ambivalenza dell'attore e regista scomparso ieri a Roma che sottolinea Mino Argentieri, critico e storico del cinema. Sordi è stato capace di rielaborare in maniera corrosiva vizi e costumi della società del paese, ma sempre all'interno di una coscienza filtrata attraverso le lenti di personaggi piccolo-borghesi. Le sue maschere sono penetrate nel pubblico di massa, creando una galleria di figure universali - a uso e consumo di tutti - proprio perché privi di caratterizzazioni politiche e sociologiche. Mino Argentieri - docente di storia del cinema all'Istituto universitario orientale di Napoli e direttore della rivista "Cinema Sessanta" - ricostruisce questo rapporto tra la vis comica e interpretativa di Sordi, da un lato, e la sua moderazione politica, dall'altra.

Sordi ha interpretato nella stragrande maggioranza dei suoi personaggi i tratti della romanità, eppure i suoi film hanno anche un valore nazional-popolare. Molte sue figure sono lo specchio di un'Italia ricostruita a suo modo. Ma nonostante questa ambivalenza, a giudizio di alcuni, rimane un attore locale, romano. Qual è la sua opinione?

Sordi mette l'accento sulla romanità, non c'è dubbio che la figura di Sordi nasca in un contesto come la città di Roma. Però va anche oltre questo scenario, perché riesce a cogliere i vizi di un certo tipo di italiano, cioè dell'italiano cialtrone, opportunista. Ecco io parlerei più del piccolo borghese. Roma è una cornice ma in realtà non è che i vizi che lui rappresenta, addita, raffigura, appartengano a una realtà circoscritta, a Roma, alla capitale, al Lazio, alla sede del governo. E' qualcosa che va al fondo dell'organismo italiano, piccolo-borghese. I tratti romaneschi sono assolutamente marginali, tinte esterne.

Tra l'altro, Sordi rappresenta una romanità ricostruita, inesistente nella realtà concreta. In molti casi è la celebrazione di una romanità del passato, idealizzata, come nel "Marchese del Grillo", ad esempio. E' così?

Tutto sommato penso che quello sia il Sordi meno interessante. E' più interessante il Sordi che ha interpretato un certo mutamento culturale, psicologico, antropologico del nostro Paese, il Sordi che ha ritagliato delle figure che appartengono all'Italia del boom economico, delle mazzette, che ha una cattiva coscienza di sé e non muore mai. Direi anzi che gran parte dell'Italia rappresentata da Sordi - pensiamo a film come "Il medico della mutua", "L'arte di arrangiarsi" - assomiglia molto all'Italia di oggi di Berlusconi.

La capacità comica di Sordi ha messo a nudo molti vizi dell'Italia retta dai governi democristiani, eppure la sua propensione moderata in politica non è un mistero. Non è un paradosso?

Aveva una vera vis comica che lo portava alla satira, al di là delle frontiere del suo corredo culturale, politico e ideologico. Sordi era un uomo moderato che pur non dichiarandosi mai democristiano, non ha mai taciuto la sua inclinazione verso la Democrazia Cristiana e anche verso personaggi come Andreotti. Questa se vogliamo è una contraddizione che viene risolta però in modo positivo, che non impedisce una visione critica o non impedisce all'istinto comico di arrivare a colpire il bersaglio con una satira caustica, mordace. In questo è stato aiutato dallo sceneggiatore che lo ha accompagnato lungo l'intero arco della carriera, Rodolfo Sonigo, anche se Sordi, come ogni vero grande comico, ha dimostrato di avere quella forza intuitiva per travalicare i propri limiti politici e ideologici, culturali. Dobbiamo stare attenti ad attribuire a Sordi i meriti che gli spettano, non voglio dire che Sordi ha animato soltanto figure ideate, immaginate ed elaborate dal suo scrittore di fiducia, perché Sordi essendo un grande attore è anche un grande osservatore della realtà. Ma non dimentichiamo che dietro di lui c'è questo sceneggiatore, autore di tutti i copioni.

Sono due aspetti contraddittori che si tengono assieme in Sordi: la capacità di cogliere criticamente tratti negativi dell'Italia del boom economico e, all'opposto, un cinema senza connotazioni politiche, lontana dal genere dell'impegno.

Non è che fosse necessaria una collocazione politica. Certo, ci può essere una scelta. Nel caso di Sordi, però, si è limitato con il suo cinema a studiare l'animale piccolo-borghese, che poi dietro questo non ci fosse un'intenzione politica poco conta. L'importante è il risultato.

Che differenza c'è tra il Sordi attore e il Sordi regista?

Sì, c'è una differenza. Penso che il Sordi più efficace sia il Sordi attore. Come regista è stato sempre molto elegante, formale, a posto, corretto. Ha avuto sempre una regia molto sorvegliata, governata, molto disciplinata. I suoi film da regista sono anche dignitosi, ma ho sempre preferito Sordi attore nei film diretti da altri, perché lì il gioco era meno complesso non doveva avere la preoccupazione di chi doveva stare dietro e avanti la macchina da presa. Non sto diminuendo i pregi registici di Sordi però io credo rimanga nella memoria di tutti noi soprattutto il Sordi degli anni Cinquanta e Sessanta, che ha lavorato per vari autori come Vitaliano Brancati che scrisse la sceneggiatura de "L'arte di arrangiarsi". Non voglio dimenticare poi il Sordi di "Fortunella" in cui fa una comparsa abbastanza rapida nella veste di un laido, merciaiolo, strozzino. Come ricordo l'apparizione ne "Il medico e lo stregone" dove fa la parte di un ex fidanzato di Marisa Merlini che torna dopo aver finto di essere andato in guerra, un cialtrone solo per farsi dare dei soldi. E' un pezzo breve ma di autentica bravura, da antologia.

Gli inizi della carriera cinematografica di Sordi non furono facili...

L'esordio fu difficile. Non lo voleva nessuno. Nel 1942, quando interpreta il protagonista de ''I tre aquilotti'' di Mario Mattoli, sembra destinato a una carriera diversa da quella che poi sarà. Inizialmente si proponeva come attore giovane e bello. Nel dopoguerra quando esordisce come attore comico in "Mamma mia, che impressione" di Roberto Savarese, avrà uno smacco tra i più grossi della sua carriera. Anche "Lo sceicco bianco" di Fellini non gli porterà fortuna, tant'è che Fellini quando lo volle ne "I vitelloni" - che segnerà per Sordi, finalmente, un incontro pieno con il pubblico - dovette fare una lotta con i distributori del film i quali non volevano che comparisse il nome di Sordi sui manifesti, ritenendolo controproducente.

Dopo gli esordi la sua carriera sarà caratterizzata da film che per oggetto hanno la storia italiana del '900. Basta ricordare "La grande guerra" e "Tutti a casa", due esempi di una coscienza storica rielaborata a uso e consumo del grande pubblico...

Senza dubbio. Ma come sempre, nei film ambientati in altre epoche, si parla del presente. Il Sordi della guerra del '15-'18 è ancora il Sordi dei giorni nostri. Il passato viene sempre rivissuto alla luce della sensibilità contemporanea. Però è vero che ha prodotto un'antologia in cui si ricostruiscono le tappe della storia del nostro costume attraverso i tanti film che ha realizzato, poi riproposti anche dalla televisione in tempi successivi.

Tonino Bucci
Roma, 26 febbraio 2003
da "Liberazione"