La liquidazione del patrimonio italiano nelle leggi di Berlusconi

Beni culturali svendonsi

Il declino culturale grave quanto quello produttivo e industriale

Fu l'Italia a imporre nel mondo un modello di conservazione nato dalle corti rinascimentali e approdato ad un insieme di norme, saperi e strutture che molti paesi hanno riprodotto. Oggi, siamo alla ritirata. Peggio, alla confisca da parte dello Stato stesso di tutti i propri beni, beni pubblici, compresi quelli demaniali e di rilevanza culturale, per costruire un bel catalogo pronto alla vendita. Il must è "fare cassa". E allora l'allarme è d'obbligo, perché il susseguirsi dei provvedimenti fin qui prodotti dal comitato di affari di questa compagine governativa rischiano di trasformare in un colabrodo quel museo a cielo aperto, unico al mondo, che è il nostro paese.

La "Patrimonio Spa"

Cominciamo da quella legge, che un autorevole e prestigioso storico, nonché consulente del ministro Urbani, Salvatore Settis, ha definito "eversiva": quella che istituisce la "Patrimonio Spa", al fine di dismettere in modo indiscriminato il patrimonio immobiliare pubblico comprensivo dei beni culturali.

«Un mostro giuridico di dubbia costituzionalità» l'hanno definita illustri giuristi come Giorgio Oppo, che conta un fondo immobiliare di un miliardo di euro messo già all'opera, visto che è stata da poco annunciata la creazione di una nuova società formata dalla Patrimonio Spa e dalla Dike Aedifica, che avrà il compito di finanziare la costruzione di nuove carceri mediante la dismissione di quelle storiche. Consigliere delegato della Dike è Vico Valassi, già presidente dell'associazione nazionale dei costruttori edili.

E proprio pochi giorni fa il ministro Urbani ha battezzato la nuova società Arcus, costituita dal Ministero dell'economia allo scopo di occuparsi di beni culturali (non è un paradosso), promuovendo e sostenendo gli investimenti per interventi di recupero e valorizzazione dei beni culturali o a favore della attività culturali e dello spettacolo. Per chiarirne il carattere e la gestione basti sapere che uno dei sette membri del consiglio di amministrazione è Mario Ciaccia, della direzione di Banca Intesa. Arcus sarà finanziata dal 3% degli stanziamenti riservati alle grandi opere. Contestualmente, le società costituite per la cartolarizzazione di immobili pubblici, le cosiddette Scip, si stanno divorando il bottino, con una operazione affaristica che rientra nella tipologia delle "trust funds", dagli aspetti legali tutt'altro che trasparenti, dato che sono state denunciate dall'organizzazione intergovernativa mondiale contro il riciclaggio di denaro. In questo caso, le Scip sono gestite da un amministratore unico, di cittadinanza britannica, con capitale proveniente da due società olandesi.

Dismissioni "urgenti"

Intanto, il 24 dicembre scorso, ultimo giorno di finanziaria, è stato approvato il decreto che ha introdotto la dismissione urgente degli immobili pubblici, mettendo in vendita in tre giorni centinaia di palazzi e strutture, senza consultare il ministero dei beni culturali. Fra questi la manifattura di Firenze, edificio monumentale vincolato dal ministero, destinato alla nuova cittadella della cultura. Un altro esempio è la Manifattura di Milano, già destinata alla scuola nazionale di cinema. Stesso acquirente, la Fintecna, società privata controllata dallo stesso ministero dell'Economia. La Finanziaria 2004 inoltre, con l'articolo 27, ha consegnato al ministro Tremonti gran parte del patrimonio culturale, imponendo la verifica dell'interesse artistico, storico, archeologico dei beni immobili ma anche mobili di proprietà pubblica entro il termine perentorio di 30 giorni. La verifica è consegnata alle nuove Sovrintendenze regionali, che non dispongono ancora degli inventari dei beni! La procedura approvata del silenzio-assenso prevede che la mancata risposta da parte delle Sovrintendenze equivale all'insussistenza dell'interesse culturale del bene. Palazzi, quadri, chiese, collezioni, non ancora classificati o saltati da un inventario diventano facilmente vendibili. Si capovolge dunque il vincolo dell'inalienabilità: ciò che non è in tempi rapidi definito di interesse culturale finisce nella cassa di Tremonti. E' il furto autorizzato di quel patrimonio maggiore e minore che informa complessivamente il sistema dei beni culturali e paesaggistici. L'ennesimo schiaffo alla Costituzione, ma soprattutto un vero e proprio assalto di mercanti d'arte, immobiliari e speculatori.

E poi, i condoni...

A ciò si aggiunge il devastante condono edilizio e il disegno di legge delega in materia ambientale, approvato ad ottobre, che all'articolo 32 introduce una pietra tombale sugli illeciti compiuti in materia paesaggistica. Siamo al saccheggio dell'ambiente e del paese, e non mi pare che si possa sostenere che siamo un presenza di una doppia verità in merito alle intenzioni del governo: da un lato l'ingordigia liberista di Tremonti, dall'altro i paletti salvaguardasti di Urbani? Niente affatto, le leggi approvate parlano chiaro, e non si può dire che il nuovo codice dei beni culturali ponga vincoli e tutele sufficienti a sottrarre il nostro patrimonio da questo saccheggio. Il codice sancisce in maniera perentoria la distinzione fra la tutela e la valorizzazione, dando così realizzazione alla riforma del titolo V del centrosinistra. Una distinzione pericolosa che comporterà una frammentazione del sistema delle responsabilità, delle azioni e del controllo, come fossero concetti separati e come attività che possono essere svolte da soggetti istituzionali diversi.

E lo Stato?

Il primato statale della tutela andrebbe affermato energicamente, rendendo omogenei e uniformi principi e prassi che interessano i beni culturali sull'intero territorio nazionale, considerata la deriva mercantile e privatistica. Ma il codice rimette in discussione aspetti decisivi del sistema. Come quello che riguarda la definizione stessa di "bene culturale" rendendola del tutto connessa al titolo di proprietà, pubblico o privato, attraverso un farraginoso meccanismo di verifica e di dichiarazione del carattere del bene culturale, che diventa asse costitutivo di questo carattere. Con ben altra complessità, il disegno di legge della Commissione Papaldo del 1970 stabiliva il concetto di bene culturale: «la qualità del bene culturale inerisce alla cosa per le caratteristiche che le sono proprie. Gli atti con i quali è accertata o dichiarata tale qualità producono solo l'effetto di renderne pubblica la conoscenza». Un altro principio capovolto a favore degli appetiti del mercato.

Sul demanio, basta il sì del ministro

Il codice abroga il regolamento del 2000 che disciplinava l'alienazione dei beni immobili del demanio storico e artistico, limitando le ipotesi di divieto e sopprimendo il sistema delle garanzie e delle prescrizioni che finalizzavano l'alienazione al conseguimento di obiettivi di tutela e valorizzazione. Il divieto permane per i soli beni di interesse archeologico e per quelli rarissimi conosciuti come monumenti nazionali, mentre l'alienazione del demanio culturale è generalmente ammessa previa autorizzazione del ministro per i beni culturali, alla condizione che non ne derivi danno alla conservazione del bene non ne sia menomato il godimento pubblico. Auguri!

Per non parlare dei peggioramenti introdotti sulla legge Galasso, strumento essenziale per la tutela delle aree di interesse ambientale, entrata in vigore dopo i condoni che negli anni '80 hanno devastato gran parte del Mezzogiorno.

Il quadro è drammatico e meriterebbe una attenzione e una mobilitazione maggiore. Rischiamo di trovarci in pochi anni in un paese espropriato del suo patrimonio.

Titti De Simone
Roma, 20 febbraio 2004
da "Liberazione"