Ai siti sempre più spesso sanzioni impensabili per la carta stampata

Ma il web è discriminato

I pregiudizi dei pm Invece di procedere solo contro la pagina incriminata, la prassi è quella di bloccare l'intero server

Un piccolo manipolo di pubblici ministeri variamente sparpagliati per la penisola, e unificati dall'ignoranza delle tecnologie digitali, da tempo esercita il proprio potere contro la comunicazione. Il magistrato che sta chiedendo l'impossibile chiusura di Indymedia Italia è solo l'ultimo di questi. Succede dunque che di fronte a ipotesi di reato come la semplice diffamazione o il vilipendio, molti di loro non si limitino a procedere "per analogia", ma applichino alla rete provvedimenti estensivi che non esistono invece per la carta stampata o per altri media. Di fronte a una pagina "colpevole" (ma poi i magistrati giudicanti dovranno giudicare se è tale davvero), e volendo interrompere la prosecuzione del reato, non si limitano a ordinarne l'eliminazione o l'oscuramento, ma chiudono l'intero sito che la ospita. Spesso sequestrano tutto il server, ovvero il computer dove quei materiali sono depositati, il quale magari ospitava anche altre decine di siti, diversi e "innocenti". E' come se, a fronte di una vignetta vilipendiosa di Vauro - per citare un amico - un pm chiudesse insieme la tipografia, l'archivio storico e i furgoni che portano in edicola le copie del manifesto. In un server infatti tutte queste funzioni sono concentrate in un'unica macchina. Dunque mentre la rete dovrebbe teoricamente offrire maggiori spazi di libertà e dare voce a tutti, vengono inventate norme e procedure che non si applicano al resto del mondo reale. E' il caso per esempio della nuova definizione di pornografia infantile appena varata dalla Commissione Giustizia della Camera, la quale definizione d'ora in poi comprenderà non solo le foto vere di bambini veri, ma anche le immagini sintetiche, create al computer e diffuse via Internet.

In generale succede in sostanza questo: le leggi già ci sono e doverosamente sanzionano in maniera adeguata molti reati, tuttavia, quando c'è di mezzo l'Internet, molti legislatori e magistrati sentono l'irrefrenabile esigenza di fare di più e cioè di creare una legislazione ad hoc, quasi che la rete fosse un'aggravante. Questo atteggiamento in parte è dovuto a incultura del mezzo, anche se questo dopo dieci anni di web comincia a non essere più ammissibile. In parte invece è dovuto a un pregiudizio negativo largamente diffuso e non solo tra i magistrati. Persino i giornalisti, altra categoria storicamente refrattaria al nuovo, ormai hanno imparato a usarla, ad apprezzarla o comunque a valutarla.

Quanto alle polizie, hanno ormai alte capacità tecniche contro i crimini specifici della rete e conoscendo il mezzo sono spesso in grado di calibrare gli interventi senza comprimere altri valori protetti, quali la libertà di manifestazione del pensiero. Invece altri poteri ben costituiti (governanti e giudici) in rete vedono solo o prevalentemente minacce e pericoli. Talora saranno i "pirati del copyright", talaltra saranno le dure ma già note vignette contro il neo papa di Roma, talaltra persino un corsivo pesantemente ironico verso Johnny Dorelli (anche questo è successo).

Oltre a tutto tanto accanimento è quasi sempre inutile: per ogni sito chiuso scatta la solidarietà e soprattutto il mirroring da parte di altri siti amici che si fanno specchio (mirror) di quello colpito ingiustamente. Magari sono oltre frontiera e tutti ci ricordano praticamente che "Information must be free". Allora ci deve essere qualcosa di più: l'Internet non è certo rivoluzionaria, ma certo è destabilizzante rispetto alle modalità di comunicazione di ieri l'altro. E quando le persone e i gruppi prendono la parola e si fanno reporter dal mondo turbano e destabilizzano un flusso dei media che si credeva ormai regolato e controllabile. Indymedia è questo, anche quando usa toni gridati, esaltando la propria assoluta parzialità. Ma di parti dichiarate c'è sempre più bisogno, non fosse altro che per polemizzarci, se del caso. L'anonimato fa impazzire i potenti e infatti, come ricordava Foucault, è anche per combattere i libelli anonimi che in Francia venne introdotto il diritto d'autore: in tal modo gli avversari dell'ordine sarebbero stati costretti a rivelarsi. Lo facevano i sovrani, lo fanno i regimi autoritari, ma sempre più spesso lo fanno anche le democrazie che D'Alema sogna di esportare.

Franco Carlini
Roma, 5 maggio 2005
da "Il Manifesto"