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L'ombrello europeo del governo Berlusconi

Mentre il dibattito sul disegno di legge delega in materia previdenziale procede assai stancamente in Commissione lavoro, in vista di un approdo nell'aula della Camera dei deputati a fine mese, si moltiplicano le illazioni e le interpretazioni sulle reale volontà del governo Berlusconi.

Un trasferimento di responsabilità

Come è noto, il precedente governo del Cavaliere, quello del 1994, si bruciò le penne sul tema della controriforma pensionistica, meritandosi una delle più grandi manifestazioni sindacali che la storia ricordi (seconda solo, almeno stando agli ultimi tempi, a quella del 23 marzo 2002 contro l'abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori). E ancor gliene duole. Al punto da decidere che ogni ulteriore intervento in materia pensionistica deve trovare corresponsabile, anzi prima responsabile, l'Europa nel suo complesso. In questo modo il massacro sociale che ne deriverebbe verrebbe "spalmato" su molteplici, complesse e perlopiù insindacabili responsabilità. Tuttavia il governo Berlusconi trarrebbe vantaggio dall'avere già ottenuto un significativo risultato, almeno da una delle due Camere, se si presentasse al secondo semestre del 2003, nel quale la presidenza della Ue spetta all'Italia, con una controriforma delle pensioni già attuata, o almeno a metà strada tra i due rami del Parlamento. Forse è per questo, o anche per questo, che il Presidente del consiglio, nella sua conferenza stampa di fine anno, ha voluto mettere in secondo piano l'altra grande controriforma, quella sull'articolo 18? E forse è un gioco delle parti il fatto che subito dopo altri esponenti del governo si sono affannati a dire che in ogni caso il testo di legge che abroga l'articolo 18 sarà presentato entro il mese al Senato?

Come si vede il quadro è complesso, ma alcune considerazioni possono essere fatte fin d'ora.

L'aggressione a quanto rimane dello Stato Sociale

In primo luogo, è chiaro che il governo Berlusconi non può limitarsi solo a mettere in atto misure di protezione e di spudorata difesa dei ceti più ristretti nelle classi dirigenti, quali sono stati la cancellazione della tassa di successione, il provvedimento sulle rogatorie, la derubricazione del reato di falso in bilancio o la legge Cirami, per citarne solo alcuni. Esso è chiamato ad aggredire il corpo grosso del restante Stato Sociale, per uniformare il modello europeo a quello americano. Per questo tornano in campo con molta virulenza gli argomenti dell'elevamento dell'età pensionabile, della personalizzazione della pensione, della privatizzazione della previdenza. Questo è richiesto non solo dalle dottrine liberiste, ma assai più concretamente dai fatidici mercati finanziari che non vedono l'ora di invadere il terreno della previdenza, come quello della sanità e dell'istruzione, trasformando ciò che era pubblico in campo di conquista del privato. Tuttavia questo affondo non può essere fatto in maniera diretta e frontale: lo insegna la sconfitta del 1996, né può essere ulteriormente rimandato. Da qui la ricerca dell'ombrello europeo che appare strategicamente e tatticamente essenziale per l'applicazione del programma delle destre. Se questo avviene del tutto o in parte prima o dopo la presidenza italiana della Ue è appunto una questione tattica da verificare.

Un attacco così micidiale richiede provvedimenti legislativi eccezionali

In secondo luogo, un disegno di questo genere, che vorrebbe sradicare i fondamenti del Welfare europeo che ha contrassegnato la seconda metà del XX secolo, e che per alcuni versi appare ancora più micidiale che non quello già in atto sul mercato del lavoro, richiede strumenti legislativi ben più forti, per non dire eccezionali. In questo quadro si spiega bene il riaccendersi della discussione, di per sé non nuova, attorno al ruolo e alla funzione della legge finanziaria. Questa era nata nel 1978, ultimo frutto di quella stagione politica che passò sotto il nome dell'"unità nazionale", come strumento di correlazione fra il bilancio annuale e quello pluriennale. Via via ha perduto significato e dignità, fino a diventare una sorte di legge "salsiccia", per citare Pietro Ingrao, ove tutto poteva essere infilato. I 95 articoli votati quest'anno in una Camera ove la maggioranza dispone di più di cento voti di vantaggio, danno ragione del carattere endemico della malattia di cui soffre la legge finanziaria. Ma certamente abolirla di fatto, ovvero blindarla in partenza, escludendo in partenza la possibilità di apporvi emendamenti non è un terapia ma casomai una brusca eutanasia.

Questa soluzione, prospettata dal presidente del consiglio e da suoi epigoni, non appare a caso. Va messa in stretta relazione con quel disegno di cui sopra. In sostanza contenuto e forma si uniscono in un unico disegno a-democratico e antipopolare.

Opposizione, come?

L'opposizione deve sapere rispondere. Deve farlo con una battaglia intransigente contro i disegni controriformatori in materia pensionistica, su cui, nel dettaglio, il nostro giornale tornerà più volte. Lo deve fare nelle istituzioni come nel paese, sapendo utilizzare anche la scadenza della prossima primavera sui referendum estensivi dell'articolo 18 alle piccole imprese, per mobilitare su questo tema cruciale. Lo deve e lo può fare accettando in pieno la sfida dell'avversario di classe. Il governo pensa di agire nascondendo la mano dietro l'Unione europea. Le forze della sinistra d'alternativa, le organizzazioni sindacali, il movimento dei movimenti, le associazioni che tutelano gli interessi dei pensionatidevono, e ora finalmente e concretamente possono, organizzare la loro battaglia in una dimensione almeno europea. La costruzione di un'Europa sociale non può fare a meno della battaglia per il diritto ad una giusta pensione.

Alfonso Gianni
Roma, 10 gennaio 2003
da "Liberazione"