L'Inps ha i conti in regola, ma l'attacco è al modello già colpito dalla legge Dini

Pensioni, il governo tira dritto

L'affermazione che la "riforma" si farà con l'accordo delle parti sociali è menzognera: punti di riferimento restano Confindustria e sindacati firmatari del "patto per l'Italia"

Pensioni, è l'intero governo che tenta di dare un altro colpo al sistema pensionistico pubblico, solidale, universale, già indebolito dalla legge Dini del 1995 che noi a suo tempo abbiamo definito "contro riforma". Intero governo in quanto i contrasti con la Lega sono limitati alle pensioni di anzianità più diffuse al Nord dove l'occupazione è più stabile. Anche l'affermazione di Berlusconi che la "riforma" si farà con l'accordo delle parti sociali è menzognera dato che il presidente del consiglio ha come parte sociale di riferimento la Confindustria e quei sindacati che già hanno firmato il patto per l'Italia. La Cgil è parte sociale o no?

Il governo punta con incentivi all'aumento dell'età pensionabile e con il sistema di calcolo contributivo (cioè l'importo della pensione rigidamente ancorato alla entità dei contributi versati a ridurre l'importo delle future pensioni) vuole "obbligare" chi lavora ad andare in pensione nella data più vicino alla tomba ed a corrispondere una pensione modestissima: si stima che il sistema contributivo porterà le future pensioni (media) al 36% del salario, oggi oltre il 65%, in quanto l'occupazione ed il salario sono sempre più incerti, non contrattati e tanto meno controllati.

L'attacco viene da lontano

Siamo stati l'unica forza politica (dubbi furono espressi dal sindacato) ad opporci decisamente 10 anni fa alle misure del governo Amato e a batterci in solitudine contro la legge Dini concertata con le confederazioni sindacali.

La legge Dini ha intaccato gli assi portanti del sistema pensionistico ottenuto nel 1969 con anni di lotte anche aspre. E' bene ricordare che la legge n. 153 del 1969 prevedeva il minimo di pensione anche se la contribuzione era insufficiente, e questa era una scelta forte di solidarietà; la pensione di anzianità (35 anni di contributi); la rivalutazione delle pensioni legate al costo della vita e all'andamento dei salari; un sistema di calcolo basato sul salario degli ultimi anni, il diritto della pensione a tutti, anche al clero; la gestione sindacale dell'Inps. Certo alcune questioni rimasero insolute come i privilegi di alcuni ordini professionali e di aree dell'impiego pubblico. Nel 1969 si avviò la costruzione di un sistema pensionsitico solido: una vera riforma. Da alcuni anni la parola "riforma" che in passato ha rappresentato speranza, miglioramento, cambiamento positivo, viene utilizzata per smantellare conquiste e diritti, colpire il mondo del lavoro e la democrazia.

Con la legge Dini, del 1995 si sta andando in pensione più vecchi e con una pensione più bassa, mentre crescono gli incentivi per la pensione integrativa che diventa, con i contratti di lavoro, obbligatoria.

Ora il governo sceglie di intervenire sull'età, sulle modalità di calcolo, sul rilancio delle pensioni integrative.

L'intervento sulle pensioni cercano di imputarlo all'Unione Europea contrabbandando come obbligo una semplice raccomandazione: sia chiaro l'Italia non è obbligata a tagliare le pensioni.

Di nuovo è il deficit di bilancio, quello dello Stato e non dell'Inps che è in attivo, il logoro argomento usato.

Ancora nessuno ha spiegato come le pensioni concorrano così "pesantemente" a determinare l'aumento del debito pubblico. Si dice che le pensioni "mangiano" il 13-14% del prodotto interno lordo. Se i conti dell'Inps sono in attivo, se cioè i contributi versati dai lavoratori e dalle aziende sono sufficienti a pagare le pensioni come si produce debito pubblico? Le cose stanno diversamente: vogliono diminuire il costo del lavoro (salario diretto ed indiretto) a favore delle imprese e vogliono rendere precario il futuro di milioni di ex lavoratori e lavoratrici.

Bugie e connivenza

I profeti di sventura ed i vari Brunetta sono smentiti dall'Inps che presenta conti in regola. E lo sono pur in presenza di uan evasione contributiva di una entità spaventosa oltre 25.000 milioni di Euro. L'evasione è incentivata dai condoni, dai perdoni, dai premi dati a chi esce dall'illegalità. E' assente una efficace azione repressiva. L'Inps con il corpo ispettivo può visitare un'azienda ogni 135 (centotrentacinque) anni. D'altra parte sia l'Inps sia i carabinieri rilevano nelle poco più di 100.000 aziende visitate irregolarità superiori al 50% e non solo in piccole aziende ma anche nelle medio grandi. Ci sono poi migliaia di aziende esse stesse sommerse ed anzi invisibili che operano con macchinari, consumano energia, utilizzano anche tecnologie avanzate. Aziende invisibili come i tanti lavoratori e lavoratrici in quelle aziende occupati/e.

Se si vuole scoprire e colpire il sommerso il nascosto, l'invisibile non è difficile: le stazioni dei carabinieri sono diffuse sul territorio, ci sono i vigili urbani, il vigile di quartiere, gli ispettori del lavoro e dell'Inps, con la tecnologia si possono incrociare dati i più vari e soprattutto ci sono quei lavoratori che al mattino stazionano in attesa di un impiego agli angoli delle consolari. A Roma personalmente, li ho incontrati più volte a gruppi a via Palmiro Togliatti in attesa di un ingaggio e mi è tornato alla mente il caporalato tanto diffuso al sud negli anni '50.

Un milione al mese o cinquecento euro

Abbiamo a suo tempo denunciato la natura demagogica di quel provvedimento, il suo carattere assistenziale ed il "veleno" di cui era intriso. Ne hanno beneficiato 1.600 anziani e ne sono rimasti esclusi oltre 5 milioni o perchè non avevano compiuto 70 anni o perchè avevano qualche altro reddito (ad esempio la casa) oltre la pensione; il minimo Inps è rimasto invece di poco superiore ai 400 euro.

Il governo propone che i lavoratori e le lavoratrici che hanno maturato i requisiti per pensionarsi ricevono, se restano al lavoro, un incentivo ed un incentivo vada come premio anche alle imprese. Si tenta di allungare surrettiziamentee l'età per la pensione, si dimunuisce il costo del lavoro per le imprese, si crea una disparità salariale tra i lavoratori si indebolisce l'Inps: infatti gli incentivi saranno pagati con i contributi previdenziali e quindi sottratti all'Istituto di previdenza.

L'altra proposta è che si applichi da subito il sistema contributivo che come è noto eliminerebbe ogni forma di solidarietà e determinerebbe un abbassamento consistente degli importi di pensione per i tanti che hanno vissuto nella precarietà, con salari ridotti, con qualifiche basse.

Il governo punta poi ad incentivare la previdenza integrativa.

Le pensioni integrative in tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti stanno mostrando senza ombra di dubbio che sono un grande affare solo per il capitale finanziario e che mettono a rischio milioni di anziani. Si registrono fallimenti di fondi (America - Inghilterra) con milioni di uomini e donne senza pensione e tra la platea crescente dei poveri in America vi è l'anziano. In Italia i fondi pensione danno una resa inferiore a quella dell'indennità di fine lavoro che sta confluendo nei fondi.

Ricominciare a rivendicare

Penso che non si possa continuare a sinistra, come fa Fassino, a dirsi interessati alle proposte del governo o a limitarsi a difendere la legge Dini come sembrano orientate le confederazioni sindacali.

Sulle pensioni va costruita una grande mobilitazione avanzando proposte, rivendicando il miglioramneto generalee del sistema pensionsitico, rimettendo in discussione la legge Dini.

  1. Un minimo pensionsitico "600 euro" indipendentemente dall'età ed assumendo come reddito di riferimento le retribuzioni medie.
  2. Calcolo della pensione con il sistema retributivo e garanzia che ogni anno di contribuzione produca un minimo di pensione.
  3. Rivalutazione generale delle pensioni fino a 3000 euro (recupero perdite ultimi 10 anni)
  4. Sistema di rivalutazione annuale ripristinando il meccanismo salari-costo della vita.
  5. Una azione "pesante" per il recupero dell'evasione contributiva.

So bene che una simile ipotesi tende ad "irrigidire" il rapporto lavoro ed è l'opposto della flessibilità. Ma di flessibilità in flessibilità avremo come conseguenza che la "merce" lavoro non avrà più nè prezzo nè protezione, nè diritti.

Sante Moretti
Roma, 30 gennaio 2003
da "Liberazione"