Assemblea Nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del PRC

La priorità per noi, per le compagne e i compagni di Rifondazione Comunista deve essere il lavoro

Terni, 22 e 23 febbraio 2003
Intervento di Fausto Ortelli, dirigente della CGIL - Brianza

(*) Credo sia inutile a questo punto dell’assemblea fare grandi analisi. La relazione e molti interventi hanno già in maniera sufficientemente approfondita, affrontato una serie di temi importanti, li cito solo per titoli:

Temi questi già dibattuti e sui quali c’è una consonanza di vedute.

A me preme sollevare un’altra questione; essendo questa una assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori di Rifondazione Comunista, vorrei provare a parlare di noi.

Leggo nel documento preparato dal dipartimento lavoro per questa assemblea che il progetto politico del partito è la costruzione di un nuovo movimento operaio; aggiungo, questo all’interno, ovviamente, di un progetto più organico, di costruzione di un partito comunista di massa che abbia l’obiettivo di aggregare la sinistra alternativa e di rompere la gabbia del centro sinistra e dell’Ulivo.

Dato questo progetto, noi operiamo politicamente su almeno tre versanti:

Ora, considerando che non siamo ancora un partito di massa, e che abbiamo una qualche sofferenza rispetto alla militanza attiva, penso che, per qualificare il nostro agire quotidiano, dobbiamo definire le nostre priorità d’intervento.

Priorità che a mio giudizio non possono che essere due e che vanno poste sullo stesso piano:

L’impressione mia è che, soprattutto in questi ultimi anni, abbiamo speso parecchie energie e risorse sul versante delle istituzioni, tant’è che in quasi tutte le Federazioni esiste il dipartimento e il responsabile “enti locali”; mentre in molte Federazioni ancora non esiste ne il dipartimento ne il responsabile del “lavoro”.

Quindi, la priorità per noi, per le compagne e i compagni di Rifondazione Comunista deve essere il lavoro. Il lavoro, quindi il sindacato ( in tutte le sue espressioni, confederali o di base); anche perché su questo terreno credo sia possibile capitalizzare il nostro impegno, ai fini di una crescita del partito.

Pensate se una scelta militante di questo tipo fosse già nel DNA del partito; avremmo potuto avere più compagne e compagni dentro le RSU, e che sicuramente, avrebbero dato un impulso notevole all’imminente campagna referendaria, partendo dai luoghi di lavoro, per poi svilupparsi nei comuni e nei territori.

Ma se questa deve essere la priorità, un qualche ragionamento sulla CGIL e sulla sinistra CGIL, dobbiamo farlo.

Qui, in questa assemblea, un segretario confederale della CGIL, leader della minoranza di “Lavoro-società…” per prendersi qualche applauso, ci ha superato a sinistra. Va bene.

Nella relazione introduttiva il compagno Boghetta si chiedeva se fosse o meno esaurita la funzione di “Lavoro-società…” nella battaglia politica interna alla CGIL.

Personalmente non so se si è esaurita o meno; credo però che ci siano dei seri problemi di linea politica e di coerenza sindacale, che meriterebbero una qualche attenzione.

E’ indubbio l’importante ruolo avuto dalla CGIL nel corso dell’ultimo anno.

Su questioni molto importanti la CGIL ha cambiato oggettivamente posizione: penso alla guerra (anche se francamente è difficile sostenere il concetto di guerra preventiva e, comunque, misureremo la CGIL quando probabilmente gli USA decideranno di iniziare i bombardamenti. Certo rispetto alla “contingente necessità” sono stati fatti passi da gigante); penso, inoltre, alla battaglia sui diritti, in difesa dell’articolo 18, le grandi manifestazione e, l’indizione di scioperi generali senza le altre organizzazioni.

Posizioni indubbiamente, ripeto, importanti e significative, frutto certo di una forte dialettica interna in cui la sinistra sindacale, cosi come la Fiom, ha giocato un ruolo decisivo (permettetemi di aggiungere anche alcune realtà territoriali come la Brianza o Brescia, per esempio, presenti come Camere del Lavoro alla manifestazione di Genova e contrarie ai bombardamenti in Kossovo e alla guerra “umanitaria”).

Ma vorrei ricordare che la battaglia in difesa dei diritti e dell’articolo 18, dal punto di vista sindacale, attiene anche alla difesa di un modello sindacale.

I contenuti del “Patto per l’Italia” prefigurano un modello di sindacato partecipativo, orientato su Enti Bilaterali.

La non firma della CGIL era anche la difesa di un modello di sindacato contrattuale.

Ora, questo modello lo si difende non solo con l’articolo 18, ma anche attraverso una pratica quotidiana. Insomma la CGIL ancora non ha sciolto il nodo della contrattazione.

In questi due giorni molti compagni hanno giustamente sollevato questa questione, la stessa relazione evidenziava i limiti della CGIL; il segretario confederale qui intervenuto, ha aggirato completamente questo ostacolo.

Personalmente ho sostenuto con convinzione il documento di “Lavoro-società…”, anzi, per certi aspetti credo sia ancora attuale, penso ovviamente al superamento della politica dei redditi e della concertazione, e alla necessità che poneva di andare oltre agli accordi del luglio’93 e del Patto di Natale del 1998.

Credo, inoltre, di aver contribuito, con altre compagne e compagni ovviamente, e con l’apporto del partito in Brianza, al positivo risultato di “Lavoro-società….”

Perché, quindi, penso che “Lavoro-società…” stia esaurendo la funzione di stimolo, di sollecitazione, interna alla CGIL?

Innanzitutto perché ho l’impressione che nella CGIL, sia la maggioranza che la minoranza abbiano scelto di collocare l’organizzazione su un terreno più politico. Mi spiego con dei fatti:

Queste le ragioni politiche, che mi pare messe in relazione tra loro, sottendono un chiaro progetto politico.

Ma ci sono anche motivazioni di tipo sindacale: cioè le politiche contrattuali.

Emblematico in tal senso il silenzio del compagno della segreteria nazionale della CGIL qui intervenuto, pur sollecitato dalla relazione.

Devo dire che su questo terreno non mi convincono neppure quei compagni che ponendo la questione della coerenza della CGIL, ritengono che sia un problema delle singole categorie e non della confederazione.

La politica contrattuale è la vera cartina di tornasole per misurare se la CGIL ha cambiato linea oppure è rimasta ancorata alla concertazione.

Sul versante dell’elaborazione teorica la CGIL ha indubbiamente fatto passi in avanti notevoli, anche in questa direzione.

Tant’è che nella dicitura di alcuni documenti nazionali votati all’unanimità, si è passati dal concetto di difesa del potere d’acquisto, al concetto di aumento del potere d’acquisto. E non mi pare sia la stessa cosa.

Poi nella pratica ci si inventa, per alcuni contratti il riferimento all’inflazione europea, e nella definizione di piattaforme per il rinnovo dei contratti in settori importanti (commercio e alimentaristi ad esempio), si introducono elementi molto negativi sia di merito (aumenti salariali che non attengono al concetto prima richiamato e la sanità integrativa); sia rispetto al percorso democratico ( si prevedono assemblee nazionali, paritetiche, di approvazione delle piattaforme; il che oggettivamente significa azzerare la possibilità di emendarle, anche se teoricamente prevista.

Ovviamente questo delle assemblee paritetiche pone anche un problema serio sul versante della rappresentatività delle singole organizzazioni sindacali.

Sarà un caso, ma nei gruppi dirigenti di queste categorie, a livello nazionale, non vi sono compagni di Rifondazione Comunista.

Ma il punto politico vero è la diversità di contenuti e di percorso democratico, tra la piattaforma della Fiom e le piattaforme che citavo prima. Punto politico non circoscrivibile alla responsabilità delle singole categorie.

Servirebbe un intervento deciso, forte e convinto, a livello confederale, per determinare, pur nella autonomia negoziale delle singole categorie, un quadro di riferimento per tutti.

Invece siamo al silenzio: abbiamo sentito qui il segretario confederale, leader della minoranza; hanno sentito, le compagne e i compagni di Milano, presenti all’attivo regionale della CGIL, i “silenzi” del segretario generale dell’organizzazione; aggiungo che in un comitato direttivo della Camera del Lavoro della Brianza, su mia esplicita sollecitazione in merito alla politica contrattuale, la segretaria generale della CGIL Lombardia ha risposto sostanzialmente dicendo che è la Fiom fuori linea.

L’impressione mia è che se oggi si pone questa questione dentro l’organizzazione, significa introdurre un elemento forte di rottura con la maggioranza, quindi, si preferisce andare oltre.

Ma senza una coerente politica contrattuale si rischia di mandare al “massacro” la Fiom e le lavoratrici e lavoratori che hanno sostenuto le sue istanze.

Per la CGIL una seconda tornata contrattuale senza la firma della Fiom (e questa volta non il semplice biennio) sarebbe un vero problema sindacale.

Dal 1991, cioè dall’esperienza di “Essere Sindacato”, ad oggi, forse per la prima volta, come sinistra sindacale, avevamo determinato le condizioni per cercare di modificare la linea della CGIL in tema di contrattazione.

Operazione difficile e complicata in quanto la CGIL è un organizzazione particolare, ma potevamo almeno provarci.

La Fiom ha veramente creduto e provato a cambiare rotta, per questo è rimasta sola, senza la maggioranza CGIL ma anche senza “Lavoro-società…”, anche per questo rischia una pesante sconfitta.

Tutto questo perché, a mio giudizio, si è cercato di utilizzare la CGIL, il grande consenso che ha raccolto intorno alle sue battaglie, a fini politici.

Per concludere.

Ritengo che come Rifondazione Comunista dobbiamo rimettere al centro del nostro agire quotidiano il lavoro e l’impegno nel sindacato.

Mi rendo conto che difficile, in particolare dentro la CGIL; spesso i nostri compagni vengono isolati, discriminati, ma proprio per questo è importante l’impegno di tutti.

Ma per dare un senso alla nostra presenza in CGIL, bisogna rivedere profondamente, anche gli aspetti di tipo organizzativo.

Assumendo due concetti fondamentali, che purtroppo ultimamente sono venuti meno dentro “Lavoro-società…”, Democrazia e Pluralismo, dobbiamo ricostruire, su basi nuove, la nostra presenza dentro la CGIL, non chiusa non settaria, ma che sia in grado di dare voce e spazio, in particolare ai delegati e alle delegate nei luoghi di lavoro.

Infine il Partito. Non è accettabile che in molte Federazioni non si sono ancora formalizzati il dipartimento lavoro e, di conseguenza, non vi siano i responsabili.

Da ieri siamo partiti con la campagna per il SI al referendum. Ci aspettano quattro mesi impegnativi. Possiamo vincere questa battaglia, consapevoli inoltre, che una vittoria del SI, potrebbe oggettivamente, ridefinire anche le strategie sindacali.

Subito dopo il referendum, se davvero riteniamo il lavoroquestione prioritaria, servirà fare chiarezza sul funzionamento, non solo delle Federazioni, ma anche dei dipartimenti lavoro, Regionali e Nazionali.

In particolare dobbiamo definire i criteri e le risorse disponibili per consentire una partecipazione, certa e costante delle compagne e dei compagni, non determinata da particolari disponibilità economiche (i sindacalisti per esempio) o da rapporti personali.

Se saremo in grado di rilanciare l’impegno di tutti e di ridefinire regole interne di partecipazione, forse possiamo pensare che il lavoro ritorni protagonista del conflitto, e con esso, le lavoratrici e i lavoratori.

(*) Intervento scritto ma non letto in Assemblea per mancanza di tempo

Fausto Ortelli (Segreteria CGIL Brianza, Federazione PRC Brianza)
Terni, 23 febbraio 2003