Una recente sentenza consente agli enti locali di affidare un servizio ad una società pubblica. E apre prospettive nuove

Il Consiglio di stato: privatizzare non è obbligatorio

Privatizzare non è obbligatorio. Lo afferma il Consiglio di Stato nella sentenza n. 637 del 6 febbraio 2003. La sentenza ha proprio per oggetto la legittimità, da parte degli enti locali, dell'affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società a partecipazione pubblica. Un ente locale dunque può affidare direttamente la gestione di un proprio servizio ad una propria società in quanto, recita il Consiglio di Stato, questa opzione ha «natura di atto di organizzazione attinente ai rapporti interni tra strutture facenti parte dello stesso complesso organizzativo. Ciò esclude che possa configurarsi la violazione di norme comunitarie sulla libera concorrenza e dell'obbligo a ricorrere a procedure di evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi».

Questa sentenza pone fine al doppio gioco del centro sinistra che da una parte, a livello nazionale, legiferava obbligando gli enti locali a privatizzare e, a livello locale, tappava la bocca argomentando che era la legge a imporre queste scelte. Le modifiche del titolo V della Costituzione (il cosiddetto federalismo) hanno, fra l'altro, introdotto ulteriori modifiche. Infatti molti settori sono transitati nella legislazione concorrente (Stato e Regioni possono legiferare entrambe). Altri, invece, sono di esclusiva pertinenza delle regioni. Le regioni a maggioranza di centro sinistra, del resto, hanno avanzato ricorsi all'art. 35 della Finanziaria che riguardava norme per le gestione dei servizi pubblici, la separazione fra reti e servizi e quindi la privatizzazione di questi ultimi, proprio in virtù di una potestà decisionale che fa capo alle regioni stesse.

Il paradosso di questa posizione è che si vuole il potere per fare poi le stesse cose: la privatizzazione. Non è dunque solo l'erogazione dell'acqua che può essere affidata direttamente ad un'azienda pubblica, ma si può in altri servizi. Il contesto che si apre è dunque di grande importanza: non si è più obbligati a privatizzare.

E' una questione che riguarda i servizi di milioni di cittadini, di diritti trasformati in merci, di lavoratori anch'essi trasformati in jolly, di un affare di oltre 100.000 miliardi di vecchie lire. Un affare tanto più appetibile in una fase in cui le borse vanno giù ed il capitale è alla ricerca (alla faccia delle chiacchiere) di mercati protetti e garantiti dal pubblico.

Acquista così più concretezza la linea di lotta decisa al social forum di Firenze, di lotta alle privatizzazioni per una ripubblicizzazione partecipata. Diventa per noi più facile impostare, anche a partire dalle prossime amministrative, la questione dell'uscita dalla stagione dell'ubriacatura liberista nei servizi. Si stanno facendo tentativi, al fine di utilizzare questo nuovo contesto, nel settore dei trasporti locali che, secondo la vecchia normativa devono andare a gara entro l'anno: si tratta delle modifiche delle leggi regionali in Emilia Romagna (Prc è in maggioranza), nel Lazio, ma c'è anche un confronto duro nella provincia di Bari.

Serve uno scatto. Serve superare la vecchia impostazione della "riduzione del danno"; le privatizzazioni di danni ne hanno già fatti abbastanza. Serve una modifica delle politiche sindacali che si coprivano dietro la foglia di fico del: "lo dice la legge". Serve connettere questa battaglia a quella della privatizzazione dei servizi negli accordi Gats eWto.

Dopo anni di federalismo da mentecatti, dove lo stato decideva cosa dovevano fare i comuni: la privatizzazione, ora si può cambiare. I comuni decidono come organizzare i propri servizi. E se decidono di gestirli con proprie aziende, questo è un problema loro, e non c'entrano le regole della concorrenza. Privatizzazioni addio: si può, si deve.

Ugo Boghetta
Roma, 29 marzo 2003
da "Liberazione"