Giovanni Mazzetti insegna Economia Politica all'Università della Calabria. Allievo di Federico Caffè, socio fondatore dell'Istituto Internazionale per il Consumo e l'Ambiente, ne dirige il Dipartimento economico.
Professore, lei ha scritto un saggio che si intitola "Il pensionato furioso"; ma quelli veramente furiosi non dovrebbero essere i "non pensionati" o i "quasi pensionati?
Il fatto che i pensionati siano furiosi non toglie agli altri il diritto di esserlo ancora di più, nella prospettiva di quello che accadrà loro di qui a qualche anno. Tuttavia essi sono spesso fuorviati dall'ideologia dominante che cerca di metterli contro i pensionati, presentando il sotterfugio con il quale i passati governi e quello attuale hanno cercato di spuntarla come un privilegio che essi sarebbero stati costretti a concedere ai pensionati a causa di un presunto potere lobbystico di questi ultimi. Il trucco è noto come teoria del "conflitto tra generazioni".
Lei sostiene infatti che si tratta di una "favola". Può spiegarcela?
Chi conosce l'Abc dell'economia moderna sa che le risorse non sono un dato, bensì un risultato dell'attività produttiva precedente. Far pensare ai giovani che essi sono in grado di andare da Roma a Milano in un'ora, o di accendere un televisore e sapere quello che succede nel mondo in pochi istanti "per natura", significa rimbecillirli. Quando riescono a fare con poca fatica cose che i loro nonni e i loro genitori riuscivano a fare solo con gran dispendio e difficoltà è solo perché nel frattempo c'è stato il lavoro dei loro nonni e dei loro genitori che ha creato le condizioni di questa nuova produttività. Perché i frutti di questa maggior produttività dovrebbero andare solo ai produttori immediati e non anche a chi ha lavorato una vita per creare le sue condizioni?
Nel suo libro lei spiega quale ricchezza consente di pagare le pensioni. Ce la può riassumere?
Le pensioni sono sempre "pagate" dal lavoro corrente. Se si hanno dei soldi ma non c'è quel lavoro la soddisfazione dei bisogni dei pensionati non è possibile. Questo vale anche per i famigerati "fondi pensione". Se i soldi dei lavoratori vengono investiti in borsa e producono un interesse o dei guadagni di capitale, essi contribuiranno al mantenimento degli anziani solo se ed in quanto riescono a comperare il lavoro che soddisfa i loro bisogni. Ora, una maggiore soddisfazione dei bisogni degli anziani è possibile, appunto perché il lavoro è diventato enormemente più produttivo di quanto non fosse appena trenta o quarant'anni or sono, ed è richiesto sempre meno lavoro per ottenere un prodotto che potrebbe crescere molto più di quanto non faccia attualmente. Ma, come ben sanno gli economisti non ortodossi, questo continuo aumento di produttività depone contro la possibilità di corrispondenti aumenti di valore del prodotto e del capitale, e può sfociare solo in eventuali ed incerti incrementi speculativi delle quotazioni in borsa. Insomma, l'abbandono del sistema cosiddetto a ripartizione operato già con la riforma Dini, crea i presupposti di un vero e proprio disastro sociale, appunto perché fa dipendere il sostentamento degli anziani dall'andamento delle borse quando - non importa se tra un anno o tra tre - l'intero sistema è destinato a crollare di nuovo, o quanto meno a non crescere più, a causa dell'eccesso di capitale disponibile.
Come si intreccia questa critica con quella alla cosiddetta "gobba"?
La critica all'evocatissima "gobba" ci fa tornare al punto di partenza. Tutti dicono che ora gli anziani sono circa il 18% della popolazione e che poi diventeranno il 33%. Si tratta, ovviamente, di ipotesi, visto che stiamo ragionando su quello che accadrà tra cinquant'anni. Ma propongono: non lasciamo che il totale della ricchezza della quale si appropriano gli anziani non salga al di sopra dell'attuale 14%. Insomma, gli anziani, tra cinquant'anni, dovrebbero percepire una fetta di reddito pari a poco più della metà di quello che percepiscono oggi. Solo chi farnetica può prospettare un'evoluzione del genere. Se nel 2050 ci saranno milioni di giovani in meno, e si ridurrà alla metà il reddito degli anziani, come sarà mai possibile sostenere la produzione?
Questione che si pone per la domanda, i consumi, le tasse, il risparmio, la ricchezza nazionale, cioè il Pil. Quali sono le alternative?
Credo che si debba imboccare alla svelta la strada del ritorno ai più elementari principi del Welfare. Aumentare le pensioni, calcolare quelle future sulla base del metodo "a ripartizione", impegnarsi ad accrescere significativamente i servizi agli anziani, accrescere le spese per la sanità. Se non lo faremo perché avremo capito che i governi che si sono fin qui susseguiti hanno sbagliato, tutti, dovremo farlo perché ce lo insegnerà la drammatica povertà di cui soffriremo, tutti.