Milano - 22 novembre 2003

Assemblea regionale delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti per rilanciare nel Paese il ruolo dei comunisti e il conflitto sociale

Contributo dalla Brianza inviato da Walter Tanzi, Simone Pulici, Fausto Ortelli, alla segreteria regionale, per l’assemblea regionale delle lavoratrici e lavoratori comunisti della lombardia

Premessa

L’alternativa è possibile oltre che necessaria

C’è bisogno di un cambiamento radicale, di una politica economica e sociale alternativa.

Il processo di globalizzazione capitalista e le politiche neo liberiste che lo guidano hanno allargato ed approfondito le differenze sociali e tra i popoli, trasformando la guerra in uno strumento permanente, di imposizione di un nuovo ordine mondiale.

Si vuole azzerare voci e sostenitori di opinioni diverse; togliere rappresentanza e cittadinanza a tutte quelle forze che non accettano lo status quo, il regime dell’alternanza, il sistema bipolare.

Si vuole eliminare qualsiasi forma di conflitto sociale, negare la speranza e la possibilità di una prospettiva di alternativa e, quindi, conseguentemente, affermare l’inutilità stessa dell’esistenza della sinistra antagonista e dei comunisti.

Per affermare questi obiettivi si punta alla cancellazione, in primo luogo, della soggettività del lavoratore, la sua capacità di pensare ed agire come soggetto dotato di autonomia culturale, portatore di bisogni ed interessi alternativi e distinti rispetto a quelli dell’impresa.

Il Paese reale ha bisogno di una svolta riformatrice, di un forte segnale di contrattacco democratico, oggi possibile, vista la ripresa dei movimenti, da quello antiglobalizzazione e per la pace, a quelli in difesa del lavoro e dei diritti.

I mali che affliggono il Paese sono il prodotto della società in cui viviamo, quella capitalista, e proprio per questo va cambiata.

Una nuova qualità del lavoro e della vita

L’offensiva neo-liberista si è tradotta anche in Italia nell’attacco a posizioni e conquiste fondamentali del movimento dei lavoratori (ma non solo), indebolendone il potere contrattuale nei luoghi di lavoro e nella società.

Sottomesso alle regole della ristrutturazione capitalistica, il lavoro è stato svalorizzato: il suo diritto tradotto in precariato; ne è aumentato lo sfruttamento e l’alienazione; si sono azzerati diritti e conquiste fondamentali (“terroristico” è l’attacco al sistema pensionistico).

Alla politica del taglio dei servizi sociali si è unita quella della riduzione del ruolo e delle funzioni dello Stato (ruolo del pubblico); una operazione strutturale in cui scompaiono progressivamente, diritti e stato sociale, per passare ad uno “stato sociale minimo” garante del funzionamento di un mercato dei servizi privatizzato.

Uno Stato-mercato, in cui i cittadini da soggetti titolari di diritti, diventano clienti sovvenzionati di un mercato dei servizi in cui devono apportare risorse proprie (significativo in tal senso, la reintroduzione in Lombardia, dei ticket nella sanità).

Per una nuova qualità del lavoro e della vita occorre:

La ripresa del conflitto sociale

Tre fatti hanno caratterizzato la stagione di ripresa del conflitto sociale nel nostro paese:

  1. la battaglia in difesa dei diritti nel lavoro;
  2. il referendum sull’estensione dell’art. 18;
  3. la vicenda contrattuale dei metalmeccanici.

A. La battaglia in difesa dei diritti nel lavoro.

Dopo la presentazione del libro bianco da parte del Ministro del lavoro Maroni nel lontano autunno del 2001, nel Paese si è sviluppato un movimento di massa che ha assunto caratteristiche che sono andate oltre la pur importante rappresentanza del mondo del lavoro. Abbiamo assistito ad una ripresa di coscienza rispetto ai temi del diritto nel lavoro e del diritto in generale (diritto alla giustizia giusta ; alla libertà di manifestare il proprio pensiero; il diritto alla informazione; all’istruzione, ecc. ecc.). Il diritto, quindi, come una discriminante fondamentale che ha attivato nuove forme di mobilitazione e nel contempo contaminato diverse esperienze: dal movimento “no global” ai girotondi, fino alle esperienze più avanzate del movimento operaio, a partire dalla CGIL; contaminazione che si è concretizzata materialmente nella straordinaria manifestazione di popolo del 23 marzo del 2002 e nelle altre straordinarie mobilitazioni contro la guerra cosi come in occasione del forum sociale europeo di Firenze. Per quanto attiene al mondo del lavoro, questa battaglia ancora non si è conclusa. Il libro bianco si è via via concretizzato in norme legislative che di fatto azzerano la struttura del diritto del lavoro, precarizzandone il rapporto attraverso l’introduzione di notevoli dosi di flessibilità in entrata e, limitando pericolosamente il ruolo della negoziazione collettiva, introducendo esplicitamente il concetto di contrattazione individuale. Siamo, insomma, in presenza del ridimensionamento e della modifica anche sostanziale del ruolo delle organizzazioni di rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori; accentua questa manomissione del ruolo contrattuale delle Organizzazioni sindacali, l’ipotesi di riforma degli ammortizzatori sociali relegata ad una semplice riscrittura dell’indennità di disoccupazione. Quindi, se l’obiettivo resta l’azzeramento della legge 30 e del dercreto attuativo della stessa, è indispensabile continuare sulla strada della mobilitazione e attivare tutti i rapporti, politici- sociali e sindacali, per rendere praticabile tale obiettivo.

B. Il referendum sull’estensione dell’articolo 18.

Un passaggio importante sia per quanto concerne la difesa e l’estensione del diritto a non essere licenziati senza giusta causa, sia in ragione di una battaglia, anche simbolica, sui diritti. Questo referendum (art. 18) ha rappresentato un iniziativa di lotta positiva, invertendo una tendenza, dopo anni di passività, dopo anni di iniziativa sindacale condotta in chiave concertativa, con risultati più che negativi per i lavoratori, i pensionati e i disoccupati. Il dato non positivo dell’affluenza alle urne (25%) non può assolutamente far dimenticare i circa 11.000.000 di cittadini e cittadine che hanno detto SI all’estensione dei diritti. Essi rappresentano una base di partenza considerevole per riprendere il processo teso a creare una sinistra d’alternativa in Italia, che si confronti con la sinistra moderata e le altre forze del centro-sinistra, per una forte opposizione alle politiche liberiste e di privatizzazione, che il governo di centro destra intende portare avanti per rispondere alle sollecitazioni della Confindustria. Essi rappresentano anche un movimento importante con cui le organizzazioni sindacali, a partire dalla CGIL, si devono confrontare per le loro politiche sindacali, ancora fortemente improntate alla concertazione ed alla moderazione salariale, come dimostrano i risultati degli ultimi rinnovi dei CCNL.

C. La vicenda contrattuale dei metalmeccanici.

La scelta coraggiosa di presentare una piattaforma diversa rispetto a Fim e Uilm, in cui i contenuti di merito ponessero all’attenzione, non solo delle controparti del settore, ma all’insieme del mondo del lavoro (organizzazioni sindacali comprese) temi inerenti alla precarizzazione del rapporto di lavoro, al salario e alla democrazia, è stata soprattutto una decisione del gruppo dirigente della Fiom. La vicenda della Fiom pone a noi una serie di problemi complicati da affrontare, ma oggettivamente non risolvibili attraverso scorciatoie o reinventandoci un “nuovo protagonismo delle RSU” che, a parte limitate situazioni di avanguardia, in generale rappresentano un limite al dispiegarsi delle iniziative, anche da noi condivise, come ad esempio la partita aperta sui precontratti.

Le spinte fortemente presenti nel mondo sindacale, in parte anche nella CGIL, sostenute da alcune dinamiche politiche più generali, rischiano di azzerare queste esperienze di lotta e mobilitazione, in quanto considerano questa fase, una parentesi da chiudere al più presto.

In quest’ottica si può leggere il documento di richiamo all’unità tra le confederazioni CGIL CISL UIL, firmata da padri storici del sindacalismo italiano. Documento che però non affronta i temi veri, sia dello scontro in atto con il Governo e Confindustria, sia rispetto alle divergenze strategiche tra le tre organizzazioni maggiormente rappresentative.

Ora, quindi, a passi veloci si sta tornando al clima ovattato della concertazione che tanti danni ha portato, sia alle condizioni materiali di chi lavora, sia all’attenuazione del conflitto sociale nel Paese.

Le nostre sfide e priorità poltiche

Abbiamo compiti impegnativi di fronte a noi; ancor più impegnativi se consideriamo le difficoltà oggettive e la carenza di iniziative del partito sui temi del lavoro.

Non si tratta, ovviamente, di giudicare negativamente il lavoro che è stato fatto fino ad oggi; il punto è: prendere atto di una situazione che oggettivamente presenta elementi di difficoltà, valutarla attentamente e considerare tutte le opzioni possibili per rilanciare l’attività del partito sui temi del lavoro. Ovviamente anche in questo caso non servono scorciatoie che possono introdurre elementi di confusione tra il ruolo del partito e il ruolo delle organizzazioni sindacali.

Insomma, non serve a nessuno una nuova forma di pansindacalismo.

Una politica per la piena occupazione

L’obiettivo strategico deve essere la piena occupazione, anche in funzione della ricostruzione di una nuova unità di classe.

La privatizzazione selvaggia dell’economia pubblica di questi anni attuata dai governi sia di centro sinistra che di centro destra, ha seriamente indebolito la possibilità di una programmazione democratica.

Si sono privatizzati, o dimessi, settori nevralgici e strategici della nostra economia; tra l’altro settori ad alta redditività: energia, credito, telecomunicazioni, alimentare, chimico-farmaceutico, ecc..

Un Paese che non possiede grandi industrie manifatturiere (l’industria in senso stretto) rischia di diventare subalterno politicamente, economicamente e socialmente, di altri Paesi che su tali industrie investono.

Bisogna cambiare. Occorre una politica industriale per un lavoro industriale qualificato, tale da generare risorse da investire in servizi di qualità all’impresa, con un ruolo dello Stato che programmi, investa e controlli; che sostenga la ricerca, l’innovazione tecnologica di prodotto e di processo.

S’impone un governo democratico dello sviluppo, con un rinnovato intervento pubblico nell’economia ed un piano di investimenti finalizzati all’espansione della base produttiva, dei consumi e dei servizi sociali, al riequilibrio tra nord e sud del Paese, e per la piena occupazione.

Uno sviluppo quantitativo, sottoposto a vincoli qualitativi, in cui la produzione sia la servizio dell’uomo e dell’ambiente e non viceversa, con l’obiettivo di riqualificare ed espandere il trasporto pubblico, dare maggiore funzionalità ed efficienza alla sanità pubblica, sostenendo la prevenzione ed abolendo i ticket, ecc. ecc..

Nuovo lavoro e nuovi lavori per la piena occupazione, in settori innovativi, di utilità sociale, di difesa dell’ambiente e manutenzione del territorio, gestione di forme alternative di produzione energetica, di cura alle persone, la tutela e valorizzazione dei beni e di tutte le manifestazioni culturali, ecc..

Tutto quanto dentro un quadro di programmazione democratica.

Le nostre sfide quindi si possono cosi sintetizzare:

Rifondare il sindacato

Un’incidenza particolare nell’idebolimento del potere di contrattazione sui luoghi di lavoro e nella società, è riconducibile alla strategia messa in campo dalle organizzazioni sindacali CGIL CISL UIL e alla conseguente scelta di individuare l’attuale forma capitalistica dell’economia di mercato come orizzonte storico insuperabile e la funzione nazionale della classe lavoratrice come subordinazione del suo reddito e del suo ruolo alla esigenza della ristrutturazione capitalistica.

Si sono affermati rapporti non conflittuali fra movimento sindacale e quelle politiche che hanno e fondano una risposta ai vari problemi su una linea restrittiva del salario, delle pensioni, delle prestazioni sociali (politica dei redditi).

Si è consolidato un sistema di relazioni sindacali (concertazione) che ha scambiato e scambia il riconoscimento formale del sindacato da parte delle controparti, una riduzione delle sua effettiva autonomia.

E, nel progredire di questo processo, nel tempo dei diritti da tutti conclamati, si sono espropriati lavoratori, pensionati, iscritti, dal diritto di decidere.

Il fallimento di questa politica è sotto gli occhi di tutti, tanto da registrare una importante ripresa di lotta del movimento per il conflitto di lavoro.

C’è l’esigenza di un nuovo progetto politico-sindacale che concepisca il conflitto sociale come fondamento della democrazia, che recuperi le caratteristiche di un sindacato di classe e di forza antagonista del capitale, capace di “toccare” i nodi delle condizioni di lavoro e di vita delle classi subalterne, producendo una rottura con la pratica concertativa.

Un sindacato, quindi, confederale e di classe, pluralista e democratico, autonomo dai partiti, dal Governo e dai padroni, che persegua l’obiettivo prioritario della piena occupazione, capace di ricostruire un movimento rivendicativo.

Un soggetto che senta la necessità di saldare la concezione di sindacato come soggetto di rinnovamento e rilancio di un nuovo protagonismo progettuale, delle lavoratrici e lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati; non come meri soggetti con entità astratta, ma come individui che dentro l’organizzazione sindacale hanno il potere di decidere.

In questo senso va giudicata positivamente, e sostenuta, la battaglia che sta conducendo la Fiom.

Il ruolo delle comunista e dei comunisti nelle organizzazioni sindacali di riferimento deve essere quello di combattere qualsiasi forma di pansindacalismo, contribuire alla rifondazione di un sindacato confederale di classe, difendere i due livelli di contrattazione (contratto nazionale e contrattazione integrativa aziendale), tutelarne l’autonomia (dai partiti, dal Governo e dai padroni), operare perché, il sindacato, sia parte attiva nei movimenti in campo, in particolare in quello per la “pace, senza se e senza ma”

Tutto ciò presuppone un impegno di militanza nelle organizzazioni sindacali, che non deve mai venir meno, a partire da quello nelle RSU.

Al disegno politico del Governo e della Confindustria di un modello “corporativo nelle relazioni sindacali” occorre rispondere estendendo il conflitto sociale, tornato ad essere protagonista, contro i danni causati dal liberismo, attraverso piattaforme rivendicative, discusse e decise con la partecipazione dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati.

Il partito nei luoghi di lavoro

E’ necessario un deciso salto di qualità nel lavoro politico del Partito riferito al mondo del lavoro e nella costruzione della sua presenza organizzata nei luoghi di lavoro, a partire dalle decisioni assunte, nella conferenza di Treviso e nell’assemblea di Terni, ma, in gran parte disattese.

Compito del Partito è definire la sua politica, un proprio modello organizzativo, per e nel mondo del lavoro, essendo il suo ruolo e il suo obiettivo di fondo, cambiare la società, diverso da quello del sindacato (nessuna pretesa di sostituzione dell’agire proprio delle organizzazioni sindacali).

Le cose da fare e l’organizzazione

Le scelte operative da compiere sono molteplici, si rischia nel comporre l’elenco di non saperne definire le priorità; comunque, pur in modo schematico evidenziamo i seguenti campi d’intervento:

  1. costituire a livello di federazione e regionale, il dipartimento “Politiche del lavoro e dello stato sociale”;
  2. all’interno del dipartimento regionale costituire una banca dati generale che contenga:
    1. anagrafica delle aziende lombarde, suddivise per grandi comparti (industria, commercio, artigiani);
    2. situazioni di crisi aziendali;
    3. censimento presenza nei luoghi di lavoro e nelle organizzazioni sindacali (a partire dalle RSU) di compagne e compagni del partito;
    4. censimento dei circoli costituiti nei luoghi di lavoro
    5. altro, ecc. ecc.
  3. dare attuazione alle decisioni assunte con l’assemblea di Treviso, eleggendo, con la conferenza, sia a livello regionale che in tutte le federazioni, le consulte delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti, come luogo di confronto aperto a tutte le esperienze del sindacalismo, confederale e di base;
  4. nel porci l’obiettivo di rilancio delle esperienze più avanzate delle RSU, deve essere prioritario l’impegno diretto delle compagne e dei compagni nei luoghi di lavoro. La presenza attiva dei comunisti nelle RSU e la voce dei comunisti nelle assemblee deve segnare anche visibilmente un rinnovato impegno del partito nei luoghi di lavoro;
  5. costituzione di commissioni a livello regionale (di federazione se si coglie una particolare esigenza), sia al fine di costruire rapporti politici con lavoratori artigiani e commercianti, sia per affrontare situazioni a carattere temporale;
  6. definizione di criteri certi e trasparenti per la partecipazione ai lavori del dipartimento regionale. Non è infatti accettabile una partecipazione determinata da opportunità rispetto al tema in discussione o, peggio ancora dalla disponibilità o meno di risorse finanziarie e o di agibilità politica (tale questione andrebbe posta anche a livello nazionale);
  7. convocazione annuale della conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti.

In conclusione

L’obiettivo di fondo che ci dobbiamo dare non può essere quello di sostituirci alle organizzazioni sindacali nella propria funzione negoziale.

Questo non significa non dare giudizi sulle scelte delle organizzazioni sindacali, in particolare rispetto ai temi della contrattazione di primo e secondo livello, ma non possiamo nemmeno prefigurare un modello organizzativo del partito, similare a quello delle organizzazioni sindacali; si tratta, invece, di operare scelte in funzione alla crescita del partito, per questo è riduttivo un impegno del partito, pur importante , nel solo ambito “sindacale”.

Se davvero vogliamo incidere nelle scelte di politica economica e sociale, nella battaglia contro il neo liberismo, nel progettare e proporre un modello di sviluppo locale e nazionale che tenga conto delle istanze dei soggetti più deboli, non dobbiamo chiuderci in una sorta di nuovo pansindacalismo, ma rinnovare e possibilmente aumentare il nostro impegno nelle organizzazioni di rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori e, più in generale, nelle organizzazioni di massa; nel contempo, dobbiamo riconsiderare il rapporto tra partito e quella fascia di lavoratori e lavoratrici, artigiani e commercianti, che in questo modello di sviluppo, centrato sui grandi gruppi multinazionali di produzione e sui mega centri commerciali per la distribuzione, vedono a rischio di chiusura la loro attività lavorativa. Infine, rilanciare la nostra iniziativa in difesa dei soggetti deboli (migranti), e affrontare compiutamente il tema, assai complesso e articolato, delle nuove forme imprenditoriali (cooperative).

Walter Tanzi, Simone Pulici, Fausto Ortelli
Milano, 22 novembre 2003