Occorre operare per promuovere un vasto movimento di mobilitazione e vertenzialità su una piattaforma di contrasto all'entrata a regime della Legge

Linee di lavoro sulla Legge 30

Piattaforme di contrasto a livello sindacale e locale

Il Decreto 276 del settembre 2003 (di attuazione della legge 30 del 14 febbraio 2003) è entrato in vigore lo scorso 24 ottobre 2003. Il Partito ha espresso una posizione assolutamente negativa nei confronti della legge e si pone esplicitamente l'obiettivo della sua abolizione.
L'entrata in vigore della Legge 30 va quindi contrastata e nel fare ciò vanno contrastati anche quegli atteggiamenti "realisti" che pur criticando la legge, decidono di doverla ormai accettare (essendo stata approvata) limitandosi a politiche di semplice riduzione del danno.
Nel ribadire la nostra posizione per l'abolizione della Legge 30, dobbiamo da subito operare per promuovere un vasto movimento di mobilitazione e vertenzialità su una piattaforma di contrasto all'entrata a regime della Legge. Una azione che non può limitarsi ad emendarne i contenuti e che deve affermare, nelle sue linee generali, la possibilità e la necessità di scelte alternative in materia di mercato del lavoro.

L'azione di contrasto alla Legge è per noi ordinata attorno ad alcune linee guida generali:

Come Partito dobbiamo quindi attrezzarci ad agire sui diversi livelli della battaglia oggi aperta:

Momenti decisivi per intervenire in questa direzione sono:

1 - La piattaforma di contrasto alla Legge 30 sul fronte sindacale.

La Cgil ha manifestato in più occasioni il suo pieno dissenso nei confronti della legge 30, fino a dichiararla "inemendabile" e da respingere in toto. Ciò non di meno dobbiamo registrare come in diversi e recenti rinnovi contrattuali, diverse categorie della Cgil abbiano invece aperto rispetto all'adeguamento delle normative contrattuali alle modifiche intervenute, con la legge 30 in materia di mercato del lavoro.

Il punto di riferimento più avanzato dell'opposizione sindacale è quello della vertenzialità Fiom, che trova nel documento del suo comitato centrale del 21 novembre scorso, una sistematizzazione condivisibile. Nel documento non viene riportata l'assoluta contrarietà della Cgil alla pratica dell'incrocio domanda-offerta negli Enti Bilaterali. Una questione questa che va introdotta.

Linee guida della Fiom per contrastare la Legge 30 e la destrutturazione del mercato del lavoro (testo del documento approvato al comitato centrale del 21.11.03)

Premessa

Con il Decreto 276, che rende operativa in 84 articoli la Legge 30, che si aggiunge al precedente Decreto 368 che liberalizza totalmente i contratti a termine si definisce quello che è stato definito come il sistema più flessibile del mondo occidentale. Se a questo si aggiunge il Decreto Legge 66 che flessibilizza tutti gli orari di lavoro, si comprende come tutta la condizione di lavoro corra il rischio di essere sottoposta all'assoluto arbitrio dell'impresa.

La Fiom con queste linee guida intende confermare la propria totale opposizione a questa legislazione e l'impegno politico a ottenere che essa venga prima o poi abrogata. Di fronte alla messa in opera di questa legislazione la Fiom è impegnata in un'azione di contrasto sindacale, articolato su vari strumenti, da quelli della contrattazione alle iniziative legali, con lo scopo di rendere inoperante questa legislazione o perlomeno di rendere impraticabili le sue parti più lesive dei diritti dei lavoratori.

Iniziative contrattuali più generali

  1. La rivendicazione dei pre-contratti costituisce uno strumento fondamentale per porre limiti alla legge. La richiesta di ultrattività del Contratto del '99, come hanno ben compreso le associazioni degli industriali, pone un freno a tutte le forme di destrutturazione del mercato del lavoro e tutela l'orario settimanale di lavoro. Per questo la prima condizione per realizzare i nostri obiettivi alternativi a quelli definiti dalla legislazione del Governo, consiste nell'ottenere nelle aziende la ultrattività del Contratto del '99, in particolare per ciò che riguarda i contratti atipici, gli appalti, l'orario di lavoro. Ottenere questo in un'azienda di per sé non garantisce dall'utilizzo di alcuni degli strumenti della Legge 30, ma pone comunque un freno ad essi. In particolare è indispensabile ottenere nelle aziende una clausola che impegni l'impresa a concordare con la Rsu ogni applicazione della nuova legislazione.
  2. La discussione sul mercato del lavoro, nelle imprese è prima di tutto un confronto sugli organici e sull'organizzazione del lavoro. Occorre definire procedure precise con le quali le Rsu devono essere preventivamente chiamate a discutere i programmi di assunzione, le strategie di occupazione, la formazione professionale e tutte le forme di lavoro precario. Allo stesso modo le Rsu devono avere il potere di intervento e di verifica preventiva rispetto alla conferma a tempo indeterminato dei lavoratori precari. Occorre quindi definire veri e propri protocolli sull'accordo, a livello aziendale, che affidino alle Rsu il potere di controllo sul mercato del lavoro aziendale. Vanno respinti: le differenziazioni normative e salariali a danno dei nuovi assunti, il salario d'ingresso, i doppi regimi normativi.
  3. Occorre definire una percentuale massima per tutte le attività svolte con contratti non a tempo indeterminato. Nell'accordo Ilva si è definito il 16%, partendo però da una situazione molto più elevata che doveva essere regolamentata. Si può pensare a una percentuale variabile tra il 10 e il 16%, a seconda delle aziende e della struttura della loro occupazione. L'obiettivo della percentuale è quello di ridurre l'area dei lavoratori con contratto precario.
  4. Come ottenuto in molti pre-contratti, bisogna rivendicare un tempo massimo di durata dei contratti precari, oltre il quale c'è l'assunzione a tempo indeterminato. Bisogna puntare alla conferma di tutti i contratti di apprendistato e di inserimento, salvo giustificato motivo per la loro conclusione negativa.
  5. Occorre un intervento finalizzato allo sviluppo della formazione, che per gli apprendisti non può essere solo aziendale e che, in ogni caso, deve essere quantificata.
  6. Va sviluppata ovunque sia necessario la contrattazione di sito. Tutte le imprese che concorrono alla stessa sede produttiva debbono essere unificate sul piano dei diritti e delle tutele.

Linee guida rispetto all'applicazione del Decreto 276 (Legge 30) e del Decreto 368 (contratti a termine)

  1. La Fiom conferma la sua totale opposizione all'utilizzo degli Enti Bilaterali per la certificazione e la validazione dei rapporti di lavoro precari. Questo comporta il rifiuto da parte della Fiom di partecipare ad enti che abbiano questa funzione. Tale rifiuto non ha solo valore politico, ma comporta anche la conseguente scelta dell'impugnazione per via di legge di ogni rapporto di lavoro certificato che sia contestabile.
  2. La Fiom si oppone all'interpretazione estensiva che la legislazione dà sulle possibilità di appalto e terziarizzazione. Ferma restando la normativa del Contratto del '99, occorre ribadire il concetto che possono essere accettate solo terziarizzazioni di attività che abbiano un'autonomia funzionale preesistente e che, per quanto riguarda gli appalti, occorre mantenere tutti i principi di parità di trattamento e di responsabilità dell'azienda appaltante, precedentemente conquistati.
  3. Per quanto riguarda i comandi distacchi e i trasferimenti, devono valere l'obbligo di accordo con la Rsu, il mantenimento dell'assoluta parità delle condizioni, il riconoscimento delle professionalità.
  4. Va respinta l'introduzione nelle aziende dello staff leasing, cioè del lavoro interinale senza scadenza. Questi rapporti di lavoro vanno sostituiti con assunzioni a tempo indeterminato o anche con assunzioni a termine con lo sbocco verso il tempo indeterminato.
  5. Va respinta l'applicazione delle varie forme di lavoro a chiamata. Tali rapporti di lavoro vanno sostituiti con la contrattazione degli organici, degli orari, dell'organizzazione del lavoro e delle assunzioni con strumenti alternativi ad essi.
  6. Per quanto riguarda i contratti a termine va esclusa ogni quota esente dalle percentuali definite in azienda. Tutti i contratti a termine, anche quelli inferiori a 7 mesi, concorrono a formare la percentuale massima aziendale di lavoro precario. Vanno confermate le casistiche del Contratto del '99 e va confermato il principio della conferma a tempo indeterminato, dopo un tempo massimo o a conclusione del secondo contratto.
  7. Per quanto riguarda il part-time va riaffermato il principio che il lavoratore non può essere costretto a orari che ne impediscano la possibilità di studio, del lavoro di cura o di altre attività retribuite, né può essere unilateralmente modificato dall'azienda l'orario concordato con il lavoratore. Occorre predisporre un'iniziativa di tutela legale che giunga fino all'obiezione di costituzionalità rispetto a forme di part-time nelle quali non ci sia più nessuna certezza, né condivisione, nell'orario del lavoratore. Va riaffermato il principio del "divieto di invasività" dell'organizzazione del lavoro sulla vita del lavoratore e quello del diritto del lavoratore all'equa retribuzione.
  8. Per l'apprendistato va affermato con rigore il principio della formazione esterna, va verificata la congruenza degli anni di apprendistato con l'effettiva mansione svolta, va rivendicata la conferma, salvo verifica negativa e giustificato motivo, dell'apprendista.
  9. Sui contratti di inserimento, va applicata sostanzialmente la normativa che precedentemente definiva i contratti di formazione lavoro, che da quei contratti sono sostituiti. Occorre dunque definire un inquadramento inferiore solo di un livello, e non di due, a quello di sbocco, vanno definiti e quantificati i programmi di formazione retribuita, va garantito il controllo delle Rsu ai fini della conferma.
  10. Per quanto riguarda il lavoro a progetto e tutte le forme di rapporto di lavoro non dipendente, occorre definire un quadro di regolamentazione e controllo che abbia lo scopo da un lato di trasformare tutti i finti rapporti di lavoro autonomo in lavoro dipendente, dall'altro di garantire a rapporti di lavoro effettivamente autonomi e legati a specifici obiettivi l'assoluta parità dei diritti. Bisogna superare la posizione della Federmeccanica e delle imprese che rifiutano di trattare con le Rsu e con le organizzazioni sindacali rapporti di lavoro che non siano di lavoro subordinato e dipendente. Tutta l'organizzazione del lavoro dell'impresa, in tutte le sue forme, deve essere riportata sotto la contrattazione gestita dalle Rsu.

La Fiom ritiene che la pratica contrattuale diffusa e rigorosa su queste basi possa cominciare a mettere in discussione gli aspetti più nefasti della Legge 30 e della legislazione sul lavoro. Nello stesso tempo occorre respingere il condizionamento che si esercita sulla contrattazione da parte delle procedure previste dalla stessa Legge 30. La legge, infatti, pone la contrattazione sotto tutela, proclamando che, nel caso di mancato accordo sull'applicazione di uno degli strumenti, sarà il Governo a intervenire con la sua regolamentazione. Proprio perché la Fiom considera inaccettabile la legge, questo condizionamento va respinto. Se ci sono accordi effettivamente in grado di intervenire sulla legge, essi vanno praticati, altrimenti occorre rischiare anche l'intervento del Governo, che rappresenterà un'ulteriore delegittimazione della legge.

La Fiom infatti respinge ogni linea di accompagnamento o di accettazione del fatto compiuto rispetto all'attuale legislazione del lavoro. L'obiettivo di fondo dell'organizzazione è quello di cancellare tale legislazione e quindi la contrattazione ha lo scopo di tutelare i lavoratori da essa e di impedirne sostanzialmente l'applicazione.

Per quanto riguarda l'iniziativa sul piano sindacale, dobbiamo sostenere l'iniziativa della Fiom e dare massimo risalto alla opposizione dichiarata dalla Cgil, operando perché queste indicazioni siano generalizzate nella elaborazione e nella pratica di tutte le altre categorie sindacali della Cgil, nelle quali è purtroppo presente una assoluta indisponibilità alla lotta contro la Legge 30 ed una disponibilità mediatoria che, seppur motivata alla riduzione del danno, nella sostanza favorisce l'accettazione del modello proposto dalla legge e la sua entrata a regime. Troppo spesso valutazioni di tipo tattico e legate alla ricerca della massima unità cil modello neocorporativo di Cisl e Uil portano alla accettazione nei testi contrattuali di preoccupanti aperture sulla legge 30. Dobbiamo quindi agire per richiamare tutte le categorie sindacali alla massima coerenza con le dichiarazioni confederali, anche perché la lotta contro la Legge 30 deve assumere le caratteristiche di lotta generale di tutti i lavoratori, pena il non raggiungimento dell'obiettivo e l'isolamento della Fiom Cgil.

Terreno di scontro generale è quindi quello della contrattazione nazionale di categoria e decentrata, ma anche la messa in campo di comportamenti coerenti con i nostri obiettivi anche nella iniziativa quotidiana con le controparti.

Particolare rilievo può avere in questo caso l'iniziativa delle categorie del pubblico impiego e della scuola che possono trasformare in comportamenti e rivendicazioni sindacali parte delle indicazioni che successivamente sviluppiamo sul piano delle cose che si possono fare sul piano istituizionale.

Ad esempio i delegati della Scuola ed i loro sindacati potrebbero operare efficacemente per impedire alle scuole ed alle università di aderire alla possibilità di operare come soggetti di collocamento e certificazione. Discorso analogo vale per i delegati ed i sindacati del pubblico impiego (oltre che per l'iniziativa confederale) nei confronti della regione e delle province.

Gli obiettivi, successivamente elencati, di contrasto alla legge ed allo sviluppo della precarietà (come ad esempio la contrarietà ai processi di esternalizzazione delle attività e delle prestazioni da parte delle amministrazioni pubbliche, la battaglia per fare rientrare quanto fino ad ora è stato esternalizzato, ecc) possono altrettanto diventare obiettivi di battaglia sindacale, oltre che istituzionale.

2 - La piattaforma di contrasto alla Legge 30 sul fronte istituzionale locale

Il decreto 276/2003 (in attuazione della legge 30) prevede una autorizzazione nazionale, rilasciata dal Ministero, per le agenzie di somministrazione di mano d'opera, intermediazione, ricerca e selezione, ricollocazione del personale.

Agenzie per il lavoro (artt.4-5)

Per la loro operatività deve prima essere istituito l'Albo delle Agenzie per il lavoro (atte alle attivita' di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale) attraverso l'emanazione di uno specifico decreto da parte del Ministero del lavoro, entro 30 giorni dall'entrata in vigore del Dlgs 276/03, cioè il 23 novembre 2003.

Altri soggetti autorizzati (art.6)

I soggetti che richiedono l'autorizzazione devono corrispondere ad alcune caratteristiche finanziare, di dimensione, ecc.

L'albo delle autorizzazioni è composto da cinque sezioni.

  1. Società dedicate esclusivamente alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato in uno solo dei particolari settori individuati dalla legge
  2. Società si somministrazione in senso generale, disposte alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e/o determinato, ma di natura generica
  3. Società dedicate alla intermediazione
  4. Società dedicate alla ricerca e selezione del personale
  5. Società dedicate alla ricollocazione di personale

Chi si iscrive come società di somministrazione può fare anche tutte le altre funzioni. Chi si iscrive invece come società di intermediazione può fare solo le funzioni successive, e così via in una logica che va dalla funzione più complessa a quella più semplice.

La procedura prevede una prima autorizzazione provvisoria per due anni, cui seguirà dopo verifica l'autorizzazione definitiva. Il sistema utilizzato è quello del silenzio/assenso, sia per l'autorizzazione provvisoria che per quella definitiva.

Le società che ottengono l'autorizzazione Ministeriale, e sono impegnate ad operare in almeno quattro regioni non necessitano di autorizzazione anche da parte della Regione.

Devono invece chiedere l'autorizzazione Regionale le società che operano solo in quella regione o sono sprovviste di autorizzazione Ministeriale.

Da ciò si evince come una politica regionale in merito alle autorizzazioni, in autonomia dalle scelte nazionali, non avrà grandi margini.

Un piccolo margine è dato invece dalla concessione, da parte della regione, dell'accreditamento ad operare sul suo territorio.

Le procedure di accreditamento delle Agenzie e dei soggetti autorizzati in ambito regionale (art. 7) ..

Se per l'autorizzazione nazionale, la società deve dimostrare di avere i requisiti necessari (finanziari e dimensionali), questa, per aprire una sede sul territorio regionale dovrà ottenerne l'accreditamento, ed in ciò rendersi disponibile a corrispondere ad altri criteri, quali:

Vediamo nel dettaglio gli spazi rivendicativi che possono essere perseguiti a livello istituzionale.

Società di somministrazione:

  1. Sono agenzie che sostituiscono le vecchie agenzie di lavoro interinale, ed infatti somministrano lavoro ad aziende utilizzatrici.
  2. Potranno avere anche la forma della cooperativa di produzione e lavoro, purchè ne facciano parte almeno 20 soci.
  3. La fornitura di lavoro potrà essere sia a tempo indeterminato che a termine, e, come per le vecchie agenzie interinale, il loro intervento dovrà coprire almeno quattro regioni.
  4. Le società di somministrazione dovranno versare il 4% dei soldi che riceveranno dalle imprese clienti ad un fondo a favore della formazione e della garanzia del reddito dei lavoratori somministrati (indennità di disponibilità per i periodi di inattività)
  5. Altri soggetti aggiuntivi che potranno operare sul mercato del lavoro sono, le Università pubbliche e private, le scuole secondarie di secondo grado statali e parificate, le Camere di Commercio, i Comuni, le Associazioni nazionali riconosciute, gli enti bilaterali. Condizione per questi è l'assenza di fini di lucro. Ma le norme relative a questi soggetti ed al loro reale campo di competenza sono ancora generiche e piene di lacune.

La logica che sostiene la legge è semplice. Viste le difficoltà dell'incontro tra domanda ed offerta, vista l'inefficacia degli uffici pubblici, bisogna favorire la nascita ad ogni strada, in ogni scuola, in ogni dove, di uffici di collocamento.

Quanto questo contrasti con la realtà è dimostrato dal monitoraggio eseguito dall'ISFOL e pubblicato nel luglio 2003 in cui si dimostra:

  1. che la percentuale di persone che hanno trovato lavoro tramite i servizi pubblici per l'impiego è cresciuta dal 1999 al 2002, dal 4% al 12% del totale degli assunti
  2. Che la dotazione informatica delle strutture pubbliche è significativamente cresciuta, con possibilità di dialogo crescenti col sistema delle imprese ed ella Pubblica Amministrazione.
  3. Si va restringendo lo scarto sulle potenzialità del sistema pubblico tra Nord e Sud.

La legge 30 interviene così in un quadro che è caratterizzato da un triennio di tendenza al miglioramento ed al potenziamento delle capacità operative del collocamento pubblico che dobbiamo sostenere secondo queste tre linee di intervento:

  1. In fase di accreditamento delle società di somministrazione (la dove si parla di connessione tra sistema privato e pubblico), e di utilizzo delle risorse comunitarie, la politica regionale deve e può svolgersi essenzialmente per un potenziamento degli uffici pubblici del lavoro, in immediata e diretta priorità rispetto al sistema privato che, per quanto riguarda le società di somministrazione, può e deve essere limitato alle società che somministrano mano d'opera in campo specialistico e settoriale.
  2. La politica regionale e delle province, deve inoltre non riconoscere gli accreditamenti agli altri soggetti (scuole, università ecc) su cui può intervenire direttamente, deliberando affinchè questi, per le loro competenze, funzionino da terminali a potenziamento dell'attività degli uffici pubblici per l'impiego, e non come soggetti autonomi.
  3. Lo stesso dicasi per gli enti bilaterali (che coinvolgono direttamente i sindacati) ai quali occorre non riconoscere l'accreditamento, sostenendo ciò con la posizione che nessun accreditamento va riconosciuto in caso di diniego di una sola delle organizzazioni più rappresentative a livello nazionale (è il caso della Cgil che ha deciso la sua indisponibilità ad entrare negli enti bilaterali).

Commissioni di Certificazione:

La legge 30, con l'introduzione di nuove tipologie di impiego e la presumibile loro proliferazione, con la profondità dei cambiamenti introdotti anche nelle forme di impiego consolidate (partime, apprendistato), produrrà probabilmente un allargamento del contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro. Per contrastare questo fenomeno, e con l'obiettivo di ridurre il contenzioso, la legge introduce lo strumento della certificazione dei rapporti di lavoro.

Possono essere soggetti abilitati alla certificazione dei rapporti di lavoro

  1. Gli enti bilaterali, a livello territoriale e nazionale, da subito.
  2. Le direzioni provinciali dell'impiego, dopo che il ministero le avrà abilitate
  3. Le province
  4. Le università pubbliche e private, anche se per casi limitati

L'attività di certificazione può riguardare i rapporti di lavoro previsti dalle legge 30 (in base al decreto 276/2003), nonché quelli di associazione in partecipazione (art. 2549-2554 del codice civile). Può riguardare inoltre anche i regolamenti interni delle cooperative e le distinzioni tra somministrazione ed appalto. Le commissioni di certificazione sono anche abilitate a certificare le rinunzie e le transazioni che le parti del contratto possono convenire al momento della costituzione del rapporto.

Un contratto di lavoro, una volta certificato, ha pieno valore giuridico ed esplica i suoi effetti anche verso terzi (as esempio l'Inps).

Anche se la certificazione è volontaria, pesa su questo il fatto che il lavoratore, al momento della stipula del contratto è la parte debole tra i contraenti, ed essendo la certificazione interesse dell'azienda utilizzatrice, se questa lo chiede ......

A conferma del carattere ideologicamente targato del provvedimento, è bene sottolineare come con l'istituto della certificazione, si intenda rafforzare ed allargare l'istituto della conciliazione ed arbitrato in materia di lavoro. In sede di certificazione si può approvare ad esempio il contenuto dei regolamenti di una cooperativa (vedi parte su somministrazione) anche se questi prevedono una diminuzione dei diritti per i soci lavoratori, mettendo così al riparo la cooperativa da ogni rischio di impugnazione successiva da parte di un socio lavoratore. Così come viene posto un freno, a fronte di una assunzione il cui contratto è stato certificato, al principio costituzionale del diritto alla giurisdizione, a cui il lavoratore può ricorrere per vedersi tutelati i suoi diritti quando questi risultino non corrispondenti alle leggi ed ai contratti vigenti.

Occorre contrastare la cultura della certificazione: sostenendo che la regione e le province non devono accreditare alcuna commissione a tale compito, se non gli uffici del lavoro, i quali vanno potenziati ed ai quali va riconosciuto esplicitamente il potere di imporre nei contratti stipulati la conformità alle norme di legge e contrattuali, escludendo quindi qualsiasi deroga.

Lo stesso vale per gli enti bilaterali i quali non vanno riconosciuti se solo una delle principali organizzazioni intendesse non aderirvi (la Cgil ha già dichiarato la sua indisponibilità).

Apprendistato

L'applicazione delle norme richiede disposizioni specifiche delle Regioni e della contrattazione collettiva.

Nel frattempo continuano ad operare le norme vigenti.

Occorre sostenere che la regione preveda normative precise che condizionino fortemente il ricorso all'apprendistato. Lo strumento i mano alla regione è quello di definire quantità e qualità dell'impegno formativo che le aziende devono garantire all'apprendista. In particolare:

La Regione, nel definire i piani formativi che i percorsi di apprendistato devono garantire, può inoltre forzare sul piano delle indicazioni affinché il ricorso all'apprendistato sia chiaramente finalizzato alla assunzione del lavoratore una volta terminato il percorso (salvo giustificato motivo)

Portatori di Handicap e più in generale di tutte le forme di disabilità.

La legislazione precedente imponendo il collocamento obbligatorio intendeva tutelare il diritto al lavoro per i disabili.

Con il decreto legislativo applicativo della legge. 30/03. il governo ha normato in materia di disabilità, con eccesso di delega e quindi sospetta incostituzionalità. Alle imprese con più di 15 dipendenti si consente di evitare l'assunzione della quota integrale di disabili, cedendone una parte alle cooperative sociali, in cambio della garanzia di un flusso di lavoro almeno pari alla quota di disabili che l'azienda è obbligata ad utilizzare. E' l'opposto dell'integrazione, del riconoscimento che il disabile è un lavoratore con un limite portatore di un diritto. E' la logica del ghetto.

Dobbiamo invece affermare il principio che il collocamento dei disabili deve rimanere pubblico ed obbligatorio, tutelato dalle leggi e dalle adeguate strutture pubbliche.

Sappiamo che senza adeguate tutele, il disabile nel mercato dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro non esiste.

Per queste ragioni l'impegno che dobbiamo rivendicare è "la non applicazione della legge 30", impegnando le istituzioni locali (Regioni, Province, comuni) affinché non la applichino e rispettino per il loro personale le quote di assunzioni di disabili previste dalle leggi vigenti.

Dobbiamo inoltre rivendicare che siano potenziate le capacità di intervento degli uffici pubblici per il lavoro, dotando queste di adeguate strutture, di personale, di competenze specifiche, servizi e strumentazione al fine di garantire i più efficaci interventi di formazione e inserimento al lavoro dei disabili.

Gli enti locali e le privatizzazioni.

L'azione di contrasto alla legge 30 ed al modello di società che da essa deriva richiede, oltre che una piattaforma di medio periodo in merito alle modalità della sua applicazione, anche la produzione di una discussione più generale nei confronti della precarietà, delle esternalizzazioni, delle cessioni di rami di azienda, come soluzioni alla gestione della cosa pubblica.

A questo riguardo, occorre aprire verso le amministrazioni locali (regione, province, comuni) una pressione rivendicativa che punti alla internalizzazione dei servizi e delle prestazioni.

Dipartimento Lavoro e politiche sindacali - PRC Lombardia
Milano, 3 gennaio 2004