La frantumazione del mondo del lavoro ci riconsegna una società ferocemente divisa in classi.
Dopo venti anni in cui l'ideologia della cittadinanza è stata usata come una clava contro ogni idea di appartenenza di classe, i "cittadini" si ritrovano divisi come non mai, sia dalla differenza di reddito che dall'esposizione all'insicurezza e alla precarietà.

Ripartiamo dal reddito

La questione del salario costituisce un bivio, un terreno di scelta, per tutti i soggetti sociali e politici che operano nel nostro paese. Lo è per il centrosinistra

Da tempo abbiamo posto il problema del salario come problema centrale per una politica economica alternativa. Adesso questa questione viene sollevata da più parti, non solo più a sinistra. Ne sono testimonianza l'attenzione che i principali quotidiani del paese dedicano al tema.

Repubblica di ieri ripropone il tema dell'estendersi dell'area della povertà e il Corriere della Sera è tornato più volte sulla questione dei bassi salari; non solo, quest'ultimo ha sovente affiancato la questione salariale alla considerazione un po' imbarazzata che si stanno estendendo i consumi di super lusso. Il fatto è che decenni di politiche neoliberiste hanno determinato una distribuzione del reddito a clessidra: una larga parte della società è collocata in basso e ha visto una compressione significativa del proprio potere d'acquisto; una piccola parte della società, in alto, si è arricchita molto.

La frantumazione del mondo del lavoro ci riconsegna una società ferocemente divisa in classi. Dopo venti anni in cui l'ideologia della cittadinanza è stata usata come una clava contro ogni idea di appartenenza di classe, i "cittadini" si ritrovano divisi come non mai, sia dalla differenza di reddito che dall'esposizione all'insicurezza e alla precarietà. Qui sta il nodo del salario; si badi, non è solo un problema di salario reale, che pure c'è: dal punto di vista della distribuzione del reddito siamo agli anni '50. E' proprio il piano dei rapporti di classe, quelli che Marx "misura" attraverso la nozione di "salario relativo" che risulta intollerabile socialmente. Non solo si fa fatica ad arrivare a fine mese, ma il manager incapace che ha portato l'azienda al disastro o il grossista furbone che ha raddoppiato i prezzi, hanno redditi da nababbi.

Una distribuzione così diseguale, ostentata e ingiustificata dei redditi è intollerabile in una società formalmente unitaria. Inoltre, sul terreno dello sviluppo economico - in nome del quale sono state commesse ogni sorta di ingiustizie - la compressione salariale è la principale causa della stagnazione economica. Il mercato non tira perché la gente non ha soldi e perché l'incertezza del futuro costituisce un blocco ulteriore. Di questo si sono accorti i giornali "borghesi": che questa distribuzione del reddito apre la strada alla rivolta sociale - come si vede dai tranvieri - ed è incompatibile con lo sviluppo economico.

La questione del salario costituisce, quindi, un bivio, un terreno di scelta, per tutti i soggetti sociali e politici che operano nel nostro paese. Lo è per il centrosinistra. Fin'ora questo si è caratterizzato come il principale sostenitore del Patto di stabilità europeo e come l'alfiere delle liberalizzazioni e delle politiche dei redditi. E' del tutto evidente che l'attuale situazione di profonda ingiustizia sociale e di compressione salariale è frutto proprio di queste politiche sciagurate. Con buona pace del presidente Ciampi è quindi proprio dalla massa in discussione di questi idoli che occorre partire per porre il nodo della giustizia sociale nel nostro paese.

Lo è per il sindacato ed in particolare per la Cgil. Se governo e Confindustria attaccano la concertazione da destra, è del tutto evidente che la ripresa di una risposta da sinistra passa attraverso l'intreccio tra profilo politico autonomo e modifica delle politiche contrattuali. La contestazione del "patto per l'Italia" e del modello di sindacato ad esso sotteso è incompatibile con la firma di accordi come quello sugli autoferrotranvieri, che accettano di sfondare al ribasso gli accordi sulla concertazione. Il rilancio di un protagonismo sindacale non può essere disgiunto dalla messa in discussione delle pratiche contrattuali di moderazione salariale.

Ma il salario è un banco di prova anche per noi. La lotta dei tranvieri e la simpatia che ha riscosso ci dicono che il vento è cambiato nel paese anche per quanto riguarda le relazioni sociali. Vi è la possibilità concreta che la nostra campagna sul carovita e la nostra proposta di un aumento generalizzato di 100 euro per salari e pensioni diventino un fatto politico; che ponga il problema delle politiche contrattuali del sindacato; che ponga il problema della lotta alle grandi ricchezze e ricostruisca un senso di giustizia sociale; che imponga il salario come leva per obbligare le classi dominanti a politiche espansive e di qualificazione dell'apparato industriale. Facciamo del salario una grande campagna politica.

Paolo Ferrero
Roma, 4 gennaio 2004
da "Liberazione