Le "nuove" relazioni sindacali del Governo Berlusconi

Melfi, bastonate a comando

La polizia carica gli operai lucani in sciopero per far entrare i crumiri, molti i feriti. Ma il blocco continua

Che la polizia avrebbe usato la mano pesante, gli operai di Melfi lo avevano capito già dalle prime ore della giornata di ieri, in piena notte. Durante l'ennesimo turno di guardia al presidio «Barilla», sotto la pioggia battente si sentiva di tanto in tanto il trillo di un sms: «Domani tutti al lavoro». I capireparto Fiat, sostenuti dai sindacati Fim, Uilm e Fismic, stavano organizzando i pullman per presentarsi al turno delle 6. E non sarebbero stati soli. Già dalle 3 in poi, lungo il viadotto che conduce ai cancelli del complesso Sata, erano cominciate a comparire file di camionette di polizia e carabinieri, con centinaia di uomini a bordo. Uno schieramento di forze dell'ordine, in tenuta antisommossa, senza precedenti per una protesta operaia. D'altra parte, lo stesso sottosegretario Maurizio Sacconi, che da giorni esternava contro lo sciopero, proprio domenica sera era stato chiaro in tv: «Bisogna assicurare il diritto di lavorare a quelli che lo desiderano». Insomma, il governo autorizzerà eventuali cariche sui manifestanti. E le cariche sono state puntuali: almeno 10 feriti tra gli operai alla fine degli scontri, tre tra le forze dell'ordine, tra i quali il vicequestore Amalia Di Ruocco.

I capi ci provano

Se la notte era trascorsa in un crescendo di tensione, con i poliziotti che cominciavano ad allinearsi alla fine del viadotto, di fronte al piccolo stand montato dagli operai proprio all'ingresso degli stabilimenti, il primo segnale di svolta avviene all'alba, poco dopo le 6. Si presentano due pullman con le tendine completamente tirate: sarebbero lavoratori che vogliono riprendere la produzione (non si sa come, dato che a regime il complesso industriale occupa 8 mila operai, diverse migliaia ogni turno). Anche se è difficile vedere chi è dentro, secondo gli operai si tratterebbe degli stessi capireparto che avevano già tentato di entrare qualche giorno fa, quella volta senza fortuna: una quarantina, cinquanta al massimo. Al presidio, i manifestanti - diverse centinaia - si cominciano a compattare per impedire l'ingresso del pullman. La polizia, che si trova di fronte a loro, intima di fare largo e comincia a spostare gli operai tirandoli e spingendoli. Nessun risultato, il blocco si ricompatta immediatamente. Trascorre circa un'ora, con questo tira e molla, per il momento «soft», seppure con grande concitazione e tensione. Poco dopo le 7,20 la polizia decide di andarci un po' più pesante. Nel frattempo gli operai si sono seduti per terra, e gli agenti iniziano a tirarli su a forza, strattonando e spingendo verso il ciglio della strada molti di loro, anche donne e anziani. I lavoratori si serrano tenendosi a braccetto, è difficile dividerli: «Tornate indietro, a casa», urlano ai fantomatici «colleghi» rintanati nel pullman. Operai ultra-pacifici, coordinati nella protesta dai rappresentanti locali e nazionali di Fiom e Cgil, Failms, Ugl, Cobas. La parola d'ordine, urlata tra le diverse fila, è: «Non reagite alla violenza, restate compatti». Tentano di «ammorbidire» la polizia i due parlamentari Nichi Vendola (Prc) e Piero Di Siena (Ds), accanto ai lavoratori sin dalla notte. Al presidio è presente anche Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom. Da questa seconda tornata di botte, meno «soft», vengono fuori due operai feriti in modo leggero.

Il pullman ha guadagnato qualche metro, ma alle 8 è ancora fermo, in mezzo alle camionette. Trascorre ancora un'ora di tira e molla, alle 9,30 la terza carica, questa volta pesante. Il tutto nasce dalla scelta delle forze dell'ordine di cambiare strategia: non più aprendo la folla, che si ricompone subito, ma creando un vero e proprio corridoio in cui fare scorrere la fila di camionette e pullman. Per aprire il varco, viene fatto intendere ai manifestanti che i loro «colleghi» dei pullman sono disposti a scendere a piedi. D'altra parte, sin dal primo giorno di presidio, e anche ieri, sia i dirigenti sindacali che gli operai hanno ripetuto che la strada è chiusa per i pullman, ma che chiunque avesse voluto recarsi a piedi in fabbrica non sarebbe stato fermato. Le intenzioni di carabinieri e polizia sono ben altre, però: cominciano a picchiare con i manganelli sugli scudi in plexiglas, e giù, sui lavoratori inermi. Schiacciano le persone sulle macchine posteggiate ai lati, si accaniscono quando qualcuno cade per terra. Gli operai rispondono con la cosiddetta «difesa passiva», tenendo le mani alzate.

Chi ha tirato la pietra?

Una pietra, secondo la polizia, colpisce la vicequestora; per gli operai - un video amatoriale testimonierebbe la loro versione - la donna sarebbe stata colpita invece dalla foga degli stessi agenti, con un manganello o uno scudo. Una pesante manganellata in testa se la beccano anche Lello Raffo, responsabile auto Fiom nazionale e Antonio Pepe, segretario Cgil Potenza. Un'altra decina di persone contuse, dice il segretario Cgil di Melfi, Antonio Vitucci, sceglie di non farsi ricoverare. Alla fine i pullman riescono a passare, seguiti per qualche centinaio di metri dagli operai che gridano: «Vergogna, tornate a casa». La polizia scorta i mezzi fino all'ingresso nello stabilimento, e tornando viene accolta da un lungo applauso, evidentemente ironico, dei manifestanti. La mattina più lunga di Melfi si conclude con le autoambulanze che portano i feriti all'ospedale.

Non passano i crumiri

Nel pomeriggio non cessano i blocchi, e le forze dell'ordine sono ancora spiegate di fronte al presidio in tenuta antisommossa. Un delegato Uilm si presenta per spiegare l'accordo separato, gli operai lo fischiano. L'atmosfera più tesa, però, è all'altro presidio, quello della «Fenice», a circa tre chilometri di distanza. Al turno delle 14, compare un altro autobus «fantasma»: tendine completamente tirate, dentro un numero imprecisato di persone, presunti lavoratori Fiat. Nessuno di loro mette il naso fuori: si coprono il viso con i giubbotti, e da questo si può intuire che sono colleghi che non vogliono essere riconosciuti, probabilmente - dicono gli operai dei presidi - anche loro capireparto. L'autobus staziona per oltre quattro ore senza fare quasi un passo: la scena è la solita, con i lavoratori che bloccano l'ingresso e la polizia che cerca di avanzare scortando il pullman. Evidentemente i feriti della mattina, con le proteste dell'opposizione, hanno frenato nuove cariche. Lo stesso questore vicario, Enrico Moia, ammette: «Non è che ci sia poi questo grande afflusso di gente che vuole entrare al lavoro». Ai blocchi ci sono Pietro Folena (Ds), i disobbedienti di Francesco Caruso, la segretaria Cgil Carla Cantone, mentre in tarda mattinata anche il segretario del Prc Fausto Bertinotti aveva portato la sua solidarietà. All'imbrunire il pullman fa retromarcia, non è riuscito a entrare. Urlo degli operai: «A casa, a casa, alè, alè».

Antonio Sciotto
Melfi, 27 aprile 2004
da "Il Manifesto"