Un sintomo del passaggio, da industriali a immobiliaristi, dei padroni brianzoli

Niente “Sogni d'oro” per i lavoratori Star

Il gruppo continua a licenziare. Nessuna opportunità dalle crisi Cirio e Parmalat

Nel panorama italiano dell'industria agroalimentare non ci sono solo Cirio e Parmalat, ma anche la Star.
A guardare i bilanci, la Star non è un'azienda in crisi, ma rileggendo la sua storia essa appare invece come azienda in bilico precario tra declino e tenuta.

I lavoratori sono preoccupati e, in sciopero per tutta la mattinata di venerdì 4 giugno, discuteranno del presente e delle prospettive di un gruppo che, nell'80, occupava più di 3500 persone, dislocate allora in 4 siti: ad Agrate che ne contava ben 2300, alla Mellin di Carnate sempre in Brianza, a Corcagnano in quel di Parma e a Sarno in provincia di Salerno. Erano quelli i tempi in cui la Star era per davvero la star dell'agro-industria.

Brodo Star

Oggi è diventa una media impresa, ben otto campagne di licenziamenti hanno ridotto le sue maestranze a sole 765 unità allocate nei residui stabilimenti di Agrate, che oggi ne conta 644, e di Corcagnano, con poche decine e qualche stagionale. E non è finita: si procede ancora con ulteriori tagli ed esternalizzazioni, come ci spiega Michele Giandinoto, segretario generale degli alimentaristi Flai-Cgil della Brianza.

Si annunciano infatti procedure di mobilità per 35 impiegati e la Cig di 200 operai per, si dice, surplus di stoccaggio. Si prospettano, inoltre, ulteriori esternalizzazioni: di banca dati, logistiche, magazzini (che Barilla sarebbe pronta a raccogliere come "service") e anche di talune linee produttive, come quella dell'Olio Olita. Cosa sta succedendo? C'è ancora un futuro industriale per la Star? Non è chiaro.

Solo una cosa appare netta: la proprietà - la storica famiglia monzese dei Fossati che possiede, oltre alla Star, rilevanti proprietà immobiliari in Brianza e investimenti in Sud America - se ha un piano, lo tiene ben nascosto. Sappiamo di riassetti in corso d'opera nella holding e di operazioni finanziarie internazionali, che porterebbero al consolidamento della sola cassaforte di famiglia collocata in Lussemburgo.

E le fabbriche? E i lavoratori? Insomma non c'è un piano industriale di sviluppo, un progetto che si proponga di invertire la tendenza rispetto alla già avvenuta riduzione del "core business" aziendale a soli tre prodotti principali: i dadi (i famosi dadi Star), i sughi e gli infusi (come la camomilla Sogni d'Oro).

Prodotti che, se non innovati, possono già essere considerati maturi. Ci vuole ben altro per competere e dare lavoro: ci vuole un progetto di respiro che diversifichi la "mission" aziendale, studi "partnership", analizzi il "target", investa in ricerca, recuperi attività che Cirio abbandona. Se questo non appare, ebbene caleranno, ma solo su marchio e rete commerciale, le grandi transnazionali del settore, già in agguato del resto. Ci vuole una svolta netta. Un ruolo importante nella svolta possono assumerlo le Regioni, Lombardia ed Emilia e le Province.

La futura Provincia di Monza, ad esempio, non può già oggi perdere il suo cuore produttivo, dalla Star all'Alcatel. Diamoci tutti una mossa in direzione del piano industriale di sviluppo e innovazione. A meno che un piano ci sia già e siamo solo noi, gli ingenui, a non capirlo: a non capire che il "core business" vero dei fratelli Fossati oggi non siano più dadi, sughi ed infusi, lasciati a falso scopo e spremuti sino all'esaurimento, ma si configuri invece un riutilizzo, ad Agrate particolarmente, delle immense aree lasciate dimesse dall'incedere della deindustrializzazione.

E la "loro" svolta sia così il passaggio da industriali a immobiliaristi. Da quelle parti, oltretutto, si prospettano interventi autostradali massicci e non vorremmo proprio che, sull'autostrada, si allontani anche il lavoro, assieme al dado Star e alla camomilla Sogni d'Oro.

Bruno Casati
Agrate Brianza, 4 giugno 2004