La critica dell’economia politica - diceva il buon Marx - è astratta se
non vive nella quotidiana narrazione della condizione materiale delle
persone. L’allusione è alla vita quotidiana: quanto costano latte e
gas? Quanto la scuola? Quanto l’affitto? Quanto alte sono le tariffe?
Quanto costa curarsi? Parliamo di diritti costituzionali alla
formazione, alla salute, all’abitare; dei diritti universali, cioè, di
uno stato sociale che, altrimenti, si riduce a stato assistenziale
residuale che accompagna un capitalismo “caritatevole”, secondo la
concezione dei Repubblicani negli Usa.
Abbiamo
sempre contrastato anche discutendo in Parlamento le cinque pessime ed
inique leggi finanziarie del governo Berlusconi, l’espressione cardine
(anche volgare oltre che falsa) della propaganda berlusconiana: "Non
abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani". I dati resi noti
ieri dal Dipartimento del Tesoro ci dicono (andando anche oltre le
nostre stime) che i rincari dei prezzi sono stati doppi rispetto
all’inflazione, che le tariffe (liberalizzate) sono aumentate del 5.1%
che il rincaro di beni primari quali il latte, l’affitto è intorno al 2
e mezzo per cento.
Questi dati, nella loro asprezza, ci parlano
dell’impoverimento di massa e ci spiegano che, con una velocità
progressiva negli ultimi tre anni, è avvenuto un drenaggio stravolgente
di risorse dal basso verso l’alto, una redistribuzione a favore di
rendite e profitti capace di incidere sulla composizione della
formazione sociale sgranando la stessa gerarchia della società. Il
cosiddetto “carovita” è causa e, insieme, effetto dei processi di
proletarizzazione dei “vecchi” ceti medi, che si articolano sempre più.
Carovita e precarizzazioni di massa sono fattori di nuove relazioni
sociali che evocano privazioni di senso, solitudine sociale, isolamento
dei nuovi movimenti operai. E’ qui che vanno, allora, ricostruite
analisi sociali e inchieste, rifondati i nessi che possono riunificare
i soggetti sociali stravolti dalle centrifughe delle precarizzazioni,
liberalizzazioni e privatizzazioni. Dice nulla (anche ad importanti
esponenti dell’Unione) che gli unici prezzi che "reggono" sono i prezzi
amministrati?
L’impoverimento di massa è evidente, non è l’effetto
del “catastrofismo” dei comunisti di cui parla Berlusconi. E’ frutto,
invece, da un lato, della vera e propria ossessione proprietaria di cui
questo governo è stato alimento e cemento; dall’altro, di una manovra
di politica economica basata su privatizzazioni, cartolarizzazioni, e
sul taglio delle tasse ai ricchi. Un vero e proprio “sovversivismo”
liberista, incapace di rilanciare filiere produttive e di alimentare la
domanda.
Siamo, invece, al fallimento assoluto: al contrario di
Francia, Germania, Gran Bretagna, che, nelle loro diversità, hanno
comunque innestato la marcia della ripresa, il governo ha portato ad un
inedito, una bancarotta (anche fraudolenta perché intessuta di condoni
e conflitti di interesse): siamo in una spirale in cui convivono
manovre di bilancio antipopolari, stagnazione economica ed aumento del
deficit. Dovremo voltare drasticamente pagina. L’Unione tutta dovrà
convincersi, di fronte al rigore dei dati, che ogni coazione a ripetere
vecchie politiche liberiste temperate è impossibile oltre che iniquo.
Berlusconi non è stata una fastidiosa parentesi, una anomalia; per cui
si possa pensare di tornare alle politiche di cinque anni fa attraverso
il filtro di poteri forti che, di volta in volta, si ridislocano nella
grammatica dell’alternanza. Occorrono terapie d’urto che
redistribuiscano le risorse, pongano al centro questione sociale,
salariale, previdenziale, tassino le grandi rendite, rilancino un
intervento pubblico qualificato. Il conflitto sociale ci aiuterà a
percorrere questa strada obbligata.