Infortuni sul lavoro

“Vi faccio vedere come muore un muratore...”

Un milione di incidenti sul lavoro all’anno, cento morti al mese, solo in Italia. Sono dati ufficiali. Dimostrano che la necessità di profitti delle aziende, che risparmiano sulle misure di sicurezza, costano a noi, in termini di vite umane, più di quanto stia costando agli Stati Uniti la guerra in Iraq.

Beati quelli che precipitano dal tetto di un capannone che cede all’improvviso,
beati quelli che vengono schiacciati dal carrellino elevatore che stavano guidando,
beati coloro che vengono investiti da frane di materiale edilizio nei cantieri abusivi,
beati coloro che vengono trascinati e stritolati dai nastri trasportatori,
beati i camionisti che rimangono ustionati mentre controllano l’olio, quelli schiacciati tra la motrice e il proprio mezzo,
beati coloro che scendono nei pozzi per lo scarico delle acque reflue e soffocano a causa delle esalazioni tossiche,
beati i soffocati da un incendio improvviso in una fabbrica-garage di materassi,
beati i bruciati vivi,
beati gli affogati in una tramoggia di olio di sansa,
beati quelli che non entrano nelle statistiche perché muoiono per incidenti stradali avvenuti per la stanchezza conseguente al lavoro appena finito, beate le vittime di esposizioni ad agenti cancerogeni e tossici,
beati quelli sopravvissuti miracolosamente a scariche di ventimila volt sprigionatesi da cavi elettrici pendenti,
beati coloro che mentre montano luminarie per una festa paesana sfiorano i fili dell’alta tensione,
beati coloro che muoiono all’istante,
beati quelli per cui sono inutili tutti i tentativi di rianimazione,
beati coloro che issati con un argano su un silos alto venti metri precipitano nel vuoto,
beati quelli con fratture e lesioni diffuse su tutto il corpo, quelli che si spengono durante il tragitto in ambulanza,
beati quelli con il torace schiacciato,
beati i licenziati per “eccesso di infortuni”,
beati coloro che scivolano mentre stavano riparando una grondaia,
beati gli schiacciati dal proprio trattore,
beati quelli contro i quali si aprono all’improvviso portelloni d’acciaio,
beati i colpiti da un cilindro idraulico,
beati coloro che rimangono asfissiati in laboratori colmi di materiali sintetici, stoffe e solventi,
beati quelli che vengono travolti da un’ondata di acqua e liquami mentre riparano un guasto alla rete fognaria,
beati coloro che esplodono in una fabbrica di fuochi d’artificio,
beati quelli che mentre cercavano di disincastrare i cavi che tenevano fermo il carico cadono dal portabagagli del proprio furgone e battono la testa sul selciato,
beati gli agonizzanti tra i carrelli del reparto lamieratoio,
beati coloro che vengono estratti troppo tardi,
beati quelli che vengono sbalzati contro le pareti da uno spostamento d’aria,
beati gli investiti dai muletti in retromarcia,
beati coloro che controllavano il carico quando il cavo della gru a cui era fissata la piattaforma si è spaccato,
beati coloro che stavano pulendo le canalette sull’autostrada quando sono stati investiti da un autoarticolato,
beati quelli che vengono sbattuti a terra dalla sovrappressione delle camere stagne della cisterna che stavano testando,
beati coloro che erano intenti a riparare le infiltrazioni d’acqua di un campanile quando sono scivolati a causa dell’inclinatura del carrello della gru che non era chiuso con l’apposito fermo,
beati quelli travolti da un enorme ponteggio di ferro e cemento crollato da venti metri d’altezza,
beati coloro che rimangono incastrati con il giaccone a un gradino mentre scendevano dal locomotore di un treno merci,
beati coloro che vengono trovati sotto tre casse di lastre di vetro del peso complessivo di sei tonnellate,
beati coloro che cadono in due tempi: prima sul tetto dello spogliatoio della fabbrica e quindi sull’asfalto,
beati quelli con un polmone perforato da una scheggia di metallo schizzata da una tagliatrice,
beati coloro che pulivano lo scivolo in cui viene versata la malta quando un carrello per il trasporto del materiale li ha colpiti alle spalle,
beati coloro che si trovavano all’interno della fabbrica di acetilene al momento della deflagrazione,
beati coloro che si occupano della demolizione degli impianti dimessi e vengono ricoperti all’improvviso da travi staccatesi dal soffitto e pezzi di solaio,
beati coloro che cadono nel vano ascensore durante gli usuali lavori di manutenzione,
beati coloro che vengono infilzati da un pistone partito dal macchinario sul quale stavano sistemando del silicone,
beati quelli il cui braccio rimane intrappolato tra i rulli di una macchina raffinatrice per impasti,
beati gli infartuati in un cantiere per un’insolazione,
beati coloro che restano ustionati al volto dall’esplosione del quadro elettrico,
beati quelli che stavano in bilico su una serie di balle di tessuto da cinquecento chili l’una,
beati coloro che finiscono sotto le ruote gemellari del rimorchio di una gru,
beati quelli colpiti alla nuca dal braccio di una pala meccanica,
beati quelli con un quadro clinico da subito critico,
beati quelli che stavano lavorando alla sostituzione di un impianto di refrigerazione,
beati i rimasti sepolti vivi dentro la fossa nella quale stavano lavorando,
beati i rumeni morti sul colpo scivolando dal tetto alle 14 e 30 del primo giorno di lavoro mentre stavano operando in un capannone da mettere in sicurezza nella frazione dei Quercioli a Massa, che sarebbero rimasti a lavorare nella provincia apuana per circa due anni, per mandare soldi alla famiglia, moglie e tre figli, moglie e figli ancora in attesa dei risultati dell’inchiesta della magistratura.

Christian Raimo
Roma, 22 novembre 2006
da "Liberazione"