La Brianza con 800.000 abitanti e oltre 60.000 imprese

La Brianza batte in testa

Viaggio nel Nord dell'impresa diffusa, dove quasi tutto si è fermato un anno fa. Dove le banche strozzano aziende e lavoratori, e l'unico affare «sicuro» sono gli appalti pubblici.

Capannoni uno dopo l'altro, lungo la statale 36. E' il cuore dell'Italia che sgobba in proprio, la culla e l'emblema della piccola impresa. «Qui in Brianza abbiamo 800mila abitanti e oltre 60.000 imprese», è il ritornello. «Il 95% è sotto la soglia dei 10 dipendenti; ma la media è intorno al 5». Bella disciplina, la statistica. Bisogna tener conto che qui sono attive anche alcune multinazionali (Ibm, Alcatel, StMicroelectronics, Electrolux, ecc) e diverse imprese di dimensioni medio-grandi (Fontana, Agrati, Candy, Beta, ecc); quindi la media «vera» è anche più bassa: 2-3 addetti «in chiaro», più qualcuno in nero, magari col secondo lavoro, quando la domanda «tira».

Ecco il problema: non tira più. «Queste sono aziende che fino a ieri erano un punto di forza territoriale - spiega Ermes Riva, segretario della Camera del lavoro - potevi trovare chi faceva il mobiliere nel sottoscala». Oggi la crisi sta logorando almeno 3 o 4 settori forti, a cominciare dalla meccanica, ma con pesanti cadute anche per il tessile, la gomma-plastica, e soprattutto l'edilizia. Anche nel settore legno (i mobilieri...) qualche difficoltà ormai è evidente: 370 «uscite» nell'anno in corso, mentre solo 210 sono i nuovi assunti. Alla Cassina - segmento lusso, fa parte dei marchi di Montezemolo - c'è stato un accordo per metter fuori 46 dipendenti.

Nella metalmeccanica la botta è stata dura. Quasi 20.000 addetti interessati da periodi più o meno lunghi di cassa integrazione; il 75% solo quest'anno. Oltre 120 aziende hanno chiesto la cassa «in deroga», perché per loro (in genere piccole) non era prevista. Ma soffrono anche i «grandi». La Tenaris, che spesso fa sfracelli in borsa, programma di metter fuori 1.024 persone in tutta Italia; 60-70 solo nello stabilimento di Arcore, in casa del Berlusca. La ex Celestica - nata da un pezzo di Ibm, poi passato al gruppo Bartolini - è praticamente a fine corsa. Solo due anni fa era stata acquisita in base a un piano industriale che prevedeva l'assorbimento degli 800 dipendenti, con uno sviluppo verso i 1.350. Dei 680 addetti ancora presenti (età media 45 anni), l'ultima proposta parla di 400 «esuberi».

Le multinazionali, specie hi-tech, reggono un po' meglio. La Alcatel Lucent - ricerca, telefonia, Itc - con stabilimento a Vimercate (lato orientale della statale 36, con ancora qualche municipio in mano al centrosinistra), ha comunque annunciato una ristrutturazione. Vuol chiudere lo stabilimento di Battipaglia e ridurre a 1.400 i suoi dipendenti. La tragedia si verifica nei comparti «maturi». Le bullonerie - Fontana e Agrati, in quel di Veduggio con Colzano, fabbricano da sole la metà dei bulloni montati in Europa - hanno sofferto terribilmente la crisi dell'auto. Gli operai della Beta utensili (con Elsag hanno praticamente il monopolio nazionale) hanno dovuto organizzare un presidio in piazza, a Monza. Un semplice gazebo, che è stato difficile persino mettere in piedi. Da queste parti «si lavora»; non avere un'occupazione è una vergogna da nascondere. Solo adesso, visti i numeri, si comincia a mettere il naso fuori casa. «La cassa integrazione straordinaria è in crescita - sottolinea Claudio Cerri, segretario della Fiom locale - segno che quella ordinaria ha esaurito le possibilità».

Non va bene nemmeno con le istituzioni. «Qui la provincia è stata appena istituita», spiega Riva. Basti dire che non c'è una direzione provinciale del lavoro, che l'Inps segue la logica dell'area metropolitana (gravitando perciò su Milano) e che i problemi del lavoro sono terreno di contesa di tre assessori differenti (mercato del lavoro, formazione e industria), nominati dal centrodestra con il «Cencelli» alla mano. Quel poco di mediazione economico-sociale che può esser messo in campo è opera della Camera di commercio e pochi altri. Un piano di finanziamenti e consulenti gratuiti per le microimprese, più altre iniziative che sembrano però funzionare bene come supporto quando gli affari stentano. Aspirine, di questi tempi.

Intanto si perdono competenze lavorative, «know how» accumulato in secoli di artigianato. Ci sono difficoltà a trovare chi copra almeno il 20% dei nuovi posti di lavoro; nella metà dei casi per «esperienza inadeguata». Non solo nell'hi tech, ma anche nel settore mobili (dove per l'altra metà l'impiego viene considerato «troppo faticoso»). Segno che il volano della formazione è ormai passato in mano alle multinazionali (che hanno piani sagomati sulla «dimensione mondo», ricerca, programmi di inserimento), mentre nelle microimprese che producono singoli componenti «conto terzi» l'ondata di licenziamenti (già iniziata, ma con «la piena» prevista tra la fine di quest'anno e il prossimo) rischia di far scomparire professionalità consolidate e, quindi, la possibilità stessa di riprodurre questo tessuto produttivo fondato su una «qualità» in via d'estinzione.

Riscontri? Fino a qualche anno fa i giovani lasciavano la scuola appena dopo il diploma, per cominciare a guadagnare e divertirsi. Oggi continuano, e vanno all'università come se fosse un parcheggio sociale. Poi si passa davanti alla porta del Sunia. «Un tempo non veniva quasi nessuno, adesso c'è sempre la fila». Migranti, e non solo.

Francesco Piccioni
Monza, 20 ottobre 2009
da: Il Manifesto