Jarno, Mapo, Lele e Tino. Quattro uomini sul tetto del mondo.

Yamaha, una lotta coi fiocchi.

Dirigenti irreperibili. E Valentino Rossi lascia i lavoratori in panne

Yamaha di Lesmo

Operai della Yamaha di Lesmo.

Photo by Brianza Popolareinfo

Jarno, Mapo, Lele e Tino. Quattro uomini sul tetto del mondo. Si riparano dalla bufera di neve con 15 gradi sotto lo zero nelle loro tende iglu da altura, chiusi nei sacchi a pelo. Cucinano da soli con i loro fornelletti.

Dal campo base, quando è possibile, fanno arrivare cibo e coperte. «La situazione logistica è difficilissima - fanno sapere i quattro - il freddo tremendo, le comunicazioni impossibili. Ma noi non scendiano. Non ci arrendiamo». Non stiamo parlando dell'ultima spedizione italiana sul K2, i nostri quattro eroi sono semplicemente operai in lotta per i loro diritti.

Sono quattro lavoratori della Yamaha di Lesmo (Monza), il loro stabilimento è proprio a fianco del reparto corse della multinazionale giapponese campione del mondo delle due ruote grazie alle imprese del pluridecorato Valentino Rossi.

Ma qui gli unici campioni sono loro. Sono sul tetto della loro fabbrica da quattro giorni. Sotto, i loro collegghi li seguono scaldandosi con fuochi di fortuna. Ieri nel piazzale erano «solo» una trentina perché tutte le persone che in questa settimana stanno portando aiuto e solidarietà sono rimasti bloccati dalla copiosa nevicata che ha imbiancato il nord Italia e ha bloccato il traffico in tutta la Lombardia.

«Qui è una merda - raccontano al presidio - in poche ore sono caduti venti centimetri di neve, lassù i quattro colleghi non possono muoversi, devono restare sotto le tendine al freddo e al gelo».

La storia di questi operai è simile a quella di molti altri lavoratori caduti nel baratro della crisi. Yamaha ha deciso di chiudere il loro stabilimento e di portare la produzione in Spagna annunciando il licenziamento di 49 metalmeccanici e 19 impiegati. L'azienda ha semplicemente proposto ai lavoratori di tornarsene a casa con una buona uscita, e tanti saluti.

I lavoratori invece chiedono che siano per lo meno tutelati i loro diritti minimi. Vogliono il ricollocamento là dove possibile in altre aziende in Italia del gruppo giapponese.

Per coloro che invece che non possono essere utilizzati altrove, chiedono tutti gli ammortizzatori sociali previsti in questi casi. A partire dalla cassa integrazione straordinaria per due anni. Una soluzione quasi ovvia che garantirebbe a queste 68 persone di tirare il fiato in attesa che la crisi passi e nella speranza di trovare una soluzione possibile per il loro futuro lavorativo. Yamaha però non ne vuole sentire parlare e continua a pretendere di chiudere in cambio di poco e nulla. Un atteggiamento incompresibile dato che in caso di cassa integrazione straordinaria a pagare sarebbe lo Stato. «Tutte le istituzioni, dal governo alla provincia si sono dette favorevoli. Lo ha detto anche il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi - spiega Angelo Caprotti, delegato della Fim-Cisl, che sta seguendo la vicenda Yamaha sin dall'inizio - prima l'azienda ha accampato scuse tecnico-amministrative, ma erano motivazioni che non avevano nessuna consistenza e che sono state smentite dal ministero del lavoro.

Ora ha adottato un'altra tecnica. Sono spariti tutti. La dirigenza, tutta, è irreperibile. Stiamo continuamente tentando di metterci in contatto con loro ma nessuno risponde alle nostre chiamate. Non si degnano di rispondere neppure ora che i lavoratori sono sul tetto sotto la bufera di neve.

E' una cosa semplicemente allucinante». Gli operai della Yamaha si erano appellati anche al loro collega Valentino Rossi perché intervenisse e intercedesse per loro ma non è andata come speravano. «Che vada a qual paese - dicono davanti al fuoco - lui guadagna i miliardi guidando le moto che costruiamo noi, lo abbiamo interpellato e non si è ha voluto farsi né sentire né vedere». Valentino sbanda, e intanto i campioni sul tetto resistono.

Giorgio Salvetti
Lesmo (Monza), 22 dicembre 2009
da “Il Manifesto