Ad oltre un anno dall'inizio della vertenza Yamaha di Gerno - Lesmo (MB)

Lettera aperta dei cassaintegrati Yamaha a tutta la società civile

Il documento spiega fedelmente la cronologia della vicenda “Yamaha” dal suo inizio. Il presidio permanente dei lavoratori cominciato il 13 Dicembre 2010, è la conseguenza di questi fatti.

vertenza Yamaha

Questo nostro documento vuole ristabilire la VERITÁ DEI FATTI.

In data 26 ottobre 2009 Yamaha Motor Italia annuncia ai lavoratori attraverso le RSU la decisione di chiudere totalmente l’intera unità produttiva Italiana, non lasciando alcun spazio di trattativa, e facendo partire inesorabilmente la procedura di licenziamento in modo unilaterale per 66 lavoratori.

A fronte di questa decisione totalmente sbagliata e non motivata da reali esigenze tecnico-produttive, RSU e lavoratori chiedono nelle sede ufficiali l’avvio delle normali procedure che, in casi analoghi, vengono utilizzate dalla maggior parte delle aziende, e cioè un percorso di cassa integrazione straordinaria (CIGS).

La risposta dell’azienda, al contrario, nega totalmente e in modo irragionevole questa possibilità prevista dalla legge Italiana, rilanciando con una esigua e inadeguata compensazione salariale, previo rinuncia totale all’uso di tali ammortizzatori.

La risposta dei lavoratori a questa irresponsabile atteggiamento aziendale diventa clamorosa. Nei fatti quattro nostri compagni di lavoro nel mese di dicembre, sotto una fitta nevicata, salgono sul tetto dell’azienda restandovi per dieci giorni rivendicando il diritto all’uso di tutti gli ammortizzatori sociali. Presidenza e direzione aziendale, nonostante questa estrema protesta continuano, imperterrite, a negare questo DIRITTO adducendo motivazioni del tutto pretestuose e immotivate.

Costretta dalla lotta dei lavoratori, dalle istituzioni e dal governo ITALIANO, l’azienda sottoscrive un accordo, in data 7 gennaio 2010, che obbliga Yamaha Motor Italia a intraprendere un percorso di cassa integrazione speciale biennale che prevede un piano di gestione degli esuberi, sia per il settore metalmeccanico (47 lavoratori), sia per settore commercio (19) per un totale di 66 lavoratori.

Nonostante gli enormi profitti e le innumerevoli agevolazioni avute sul territorio dalle istituzioni, che le hanno permesso di svilupparsi enormemente nel corso degli anni, questa azienda nipponica non si è fatta minimamente carico delle devastanti responsabilità sociali e umane che la chiusura di un intero reparto produttivo ha generato.

IL PERCHÉ DELLA PROTESTA ATTUALE

Luglio 2010: a seguito di numerose sollecitazioni da parte del sindacato e dell’RSU, Yamaha Motor Italia consegna senza effettuare l’incontro specifico, (previsto dal contratto interno) il bilancio d’esercizio 2009.

RSU e organizzazioni sindacali di categoria scoprono, dopo accurate indagini supportate da analisi effettuate da esperti economico-finanziari, una particolare posta di bilancio che vede un accantonamento economico di Euro 9.671.000 di cui Euro 7.140.000 quale prudenziale quantificazione di oneri per rischi legali, nonché incentivi economici all’esodo, sostegno per il raggiungimento dei requisiti pensionistici, supporto per ricollocazione professionale, nonché IL RIPRISTINO DEL SITO!!!.

A fronte di questa incredibile scoperta, associazioni sindacali e RSU metalmeccanici richiedono urgentemente spiegazioni ufficiali alla direzione aziendale di Yamaha Motor Italia.

Nel mese di ottobre 2010 viene effettuato un incontro presso l’Associazione Industriali di Monza e Brianza dove Yamaha Motor Italia alla domanda specifica su tale sproporzionato accantonamento non dà nessuna risposta plausibile, adducendo come veritiera (perché certificata!!!), l’enorme cifra posta a bilancio. Perché sproporzionata tale cifra?

L’accordo sottoscritto tra le parti si quantifica in una cifra a carico dell’azienda di circa 700.000 Euro. Viene legittimo chiedersi come mai vi sia a bilancio nella voce specifica una cifra dieci volte superiore, a cui ribadiamo l’azienda non dà alcuna risposta.

In altri incontri successivi avvenuti nei mesi di novembre e dicembre 2010, la direzione aziendale, per voce del suo consulente, apriva una trattativa (definita dallo stesso “manutenzione dell’accordo”) che implicitamente ammetteva che una parte di tale accantonamento sarebbe potuto essere ridistribuito ai lavoratori ancora in cassa integrazione.

Nell’ultimo incontro, nel quale Yamaha Motor Italia, Sindacati e RSU avrebbero dovuto formalizzare l’accordo, la direzione aziendale, inspiegabilmente, bloccava ogni spazio di trattativa chiudendo unilateralmente il tavolo, non adducendo nessuna spiegazione comprensibile a tale irrevocabile decisione.

In tale incontro la direzione aziendale usava strumentalmente l’argomento del rinnovo del secondo anno di cassa integrazione speciale (CIGS) subordinandolo ad un ipotetico, e non certo, mancato raggiungimento dei requisiti previsti dalla legge (il 30% di lavoratori ricollocati). A tale proposito le organizzazioni sindacali si erano già attivate a vari livelli politico-istituzionali per far sì che nel computo di tale percentuale venissero conteggiati, come specificato nell’accordo, i lavoratori a tempo indeterminato, quelli a tempo determinato, i lavoratori che hanno aderito a percorsi di riqualificazione professionale e, non ultimi, i pensionabili (tale quantitativo già superava ampiamente la percentuale prevista per legge).

Le risposte su questo argomento che davano le istituzioni, facevano presupporre che le nostre motivazioni erano sufficienti a garantire il rinnovo della CIGS per l’anno 2011, cosa del resto avvenuta.

L’azienda continuava strumentalmente a utilizzare questo argomento per distogliere l’attenzione sulle reali motivazioni all’origine della nostra protesta che nulla hanno a che vedere con il rinnovo della CIGS.

Nel frattempo, ad aggravare una situazione già di per sé tragica, i lavoratori, RSU e i Sindacati venivano a scoprire che a poca distanza (ad Arcore) dalla sede di Yamaha Motor Italia, appoggiandosi ad un terzista del settore, vengono prodotti (modificandoli), dei motocicli Yamaha, senza utilizzare nessun lavoratore cassaintegrato.

LE DOMANDE A YAMAHA MOTOR ITALIA:

  1. Perché Yamaha non vuole rispondere nel merito sulla cifra complessiva dell’accantonamento (Euro 7.140.000) messa a bilancio?
  2. Perché Yamaha ha chiuso la produzione e nello stesso tempo dichiara di voler “RIPRISTINARE IL SITO”? O SI CHIUDE O SI RIPRISTINA!
  3. Perché Yamaha non sostiene come era previsto nell’accordo, e come è specificato nella relativa voce messa a bilancio, i lavoratori pensionabili?
  4. Perché Yamaha rispetto a un costo dell’accordo di circa Euro 700.000 ne accantona Euro 7.140.000?
  5. Perché Yamaha dichiara la chiusura dell’unità produttiva mentre nello stesso tempo, a pochi chilometri di distanza continua a produrre, modificandole, moto Yamaha e, cosa ancora più grave, senza coinvolgere i lavoratori posti in cassa integrazione?
  6. Perché Yamaha attraverso i suoi comunicati continua a mentire sulla cifra economica che era disposta a erogare ai lavoratori (2 retribuzioni annue lorde), senza mai averla veramente ufficializzata?
  7. Perché Yamaha ha cambiato in modo repentino e mirato il contratto, passandolo da Commercio a Industria, a lavoratori in categorie protette per poi licenziarli?
  8. Perché la direzione aziendale, per i lavoratori del commercio, non ha applicato la rotazione come previsto dalla legge?
  9. Perché Yamaha incomprensibilmente continua a sperperare denaro aziendale attraverso consulenti e avvocati senza ottenere alcun risultato, se non intensificare la protesta, e non intraprende la strada più logica e responsabile di un riconoscimento economico direttamente proporzionale all’accantonamento di bilancio, evitando inevitabili danni alla propria immagine?

IL FUTURO DELLA NOSTRA LOTTA

È meglio essere chiari:

Il nostro presidio non si smobiliterà fino a quando Yamaha Motor Italia non accetterà di discute e risolvere le gravissime questioni all’origine di questa protesta. Nelle prossime settimane saranno messe in campo nuove e fortissime forme di protesta per portare al più alto grado di attenzione questa situazione. È imminente l’avvio di una procedura legale nei confronti dei firmatari del bilancio, supportata da esperti finanziari, e stiamo organizzando una grande manifestazione davanti al Consolato Giapponese, dove attraverso il coinvolgimento dei media, chiederemo di portare questa vicenda all’attenzione del Governo Nipponico.

È in fase di ultimazione un sito Internet, che sarà aggiornato in tempo reale per dare la possibilità a tutti i media di conoscere l’evolversi della situazione direttamente da NOI. In primavera, partirà una massiccia campagna d’informazione che coinvolgerà direttamente le sedi dei maggiori concessionari Yamaha in Italia: OGNI ATTUALE E FUTURO CLIENTE YAMAHA DEVE SAPERE I TERMINI DI QUESTA VICENDA.

Il nostro presidio si espanderà, e vista la situazione generale, non è escluso che altri lavoratori, coinvolti in situazioni analoghe, si uniscano a noi. Cercheremo di diventare, attraverso la risonanza mediatica che il marchio YAMAHA ha, il punto di riferimento per la grave situazione del lavoro in ITALIA.

Se Yamaha Motor Italia pensa che queste siano solo “minacce”, la invitiamo a riflettere su quanto è avvenuto un anno fa…. E MOLTO ALTRO ANCORA….

Yamaha Motor Italia è un’azienda con immense risorse economiche, ma che irresponsabilmente non considera il contesto in cui opera, ed il rapporto costo-benefici che il protrarsi di questa situazione può provocare. NON CI STIAMO DIVERTENDO COME MOLTI PENSANO, AVREMMO PREFERITO TRASCORRERE LE FESTE DI NATALE CON LE NOSTRE FAMIGLIE E I NOSTRI FIGLI, MA È PROPRIO PER LORO CHE SIAMO QUI.

IN ULTIMO UNA RISPOSTA AI COLLEGHI ANCORA IN AZIENDA

E ora è giusto rispondere a chi ha firmato una lettera che mai avremmo immaginato di dover leggere. Il messaggio che questa lettera tenta di fare passare è indegno nel suo contenuto e paradossale nella sua logica. Indegno perché, nella sua vergognosa dialettica, tenta di associare la nostra legittima protesta ad un deliberato tentativo di “danneggiare” chi ancora lavora in Yamaha Motor Italia, e paradossale perché non considera una cosa fondamentale: LA VERITA’ DEI FATTI.

Ricordiamoci che le vere e uniche “vittime” di questa vicenda sono i 66 lavoratori e le loro famiglie che Yamaha Motor Italia ha letteralmente gettato in mezzo a una strada.

Sappiamo il clima intimidatorio e feroce in cui siete costretti a lavorare, un clima deliberatamente scelto da Yamaha Motor Italia per tenervi psicologicamente sotto ricatto.

Capiamo le vostre paure riguardo alle ricadute che questa vicenda potrebbe avere sul futuro del marchio YAMAHA e di conseguenza sul vostro lavoro, ma la domanda che bisognerebbe porsi è: CHI È IL VERO RESPONSABILE DI QUESTA SITUAZIONE, E PERCHÉ È STATA GESTITA IN QUESTO MODO?

Non cadete nella trappola che Yamaha Motor Italia tenta subdolamente di tessere, mettendoci gli uni contro gli altri.

Questa situazione è frutto di una mirata e feroce strategia che ha come ideatore e responsabile, una persona specifica, con un nome e un cognome: HIROMU MURATA, amministratore delegato di Yamaha Motor Italia.

Tutti gli altri sono cortigiani allineati per convenienza ai voleri del capo.

Il declino che ha subito questa azienda, da quando questo amministratore delegato si è insediato, non può e non deve essere solo imputato alla crisi.

Le scelte tecnico-produttive, l’immagine fine a se stessa, l’enorme sperpero di denaro, l’imposizione di scelte illogiche alla rete distributiva, hanno dilapidato un patrimonio faticosamente costruito nel corso degli anni.

La mancanza di una seppur minima responsabilità etica nei confronti dei lavoratori, che hanno contribuito a fare crescere questa azienda, è sintomatica di tutte quelle scelte industriali che stanno producendo un dissanguamento in termini di occupazione e decadimento del marchio Yamaha, che è sotto gli occhi di tutti.

Un uomo con una visione miope delle strategie aziendali, che mai è riuscito a comprendere il vero senso del suo incarico: DIFFONDERE E PROTEGGERE IL MARCHIO YAMAHA.

I lavoratori cassaintegrati di Yamaha Motor Italia
Gerno di Lesmo, 8 gennaio 2011