Dal presidio dei lavoratori Yamaha di Gerno - Lesmo (MB)

Nove domande a Yamaha Motor Italia

I lavoratori di nuovo in presidio esigono risposte

Incontro tra Matteo Gaddi (al centro) e l'RSU Yamaha.

Photo by Albino Casati

Nove domande alla Yamaha. Nove domande, secche e precise, che esigono risposte e che, al tempo stesso suonano come un atto d’accusa nei confronti della multinazionale giapponese che, nonostante i trionfi mondiali e i positivi risultati economici, ha deciso, di punto in bianco, di chiudere il reparto produzione dello stabilimento brianzolo licenziando 66 lavoratori.

In barba alla tanto sbandierata “responsabilità sociale di impresa” o alla mission di “Creare un clima aziendale favorevole all'iniziativa personale” così ben descritta nel Book Vision, il comportamento concreto della Direzione Aziendale è stato quello di mettere i lavoratori in strada.

È dell’ottobre 2009 la decisione della Yamaha Motor Italia di far partire la procedura di licenziamento senza nessuna forma di confronto preventivo.

“Per la Yamaha non bisognava nemmeno tentare la strada della Cassa Integrazione, avremmo dovuto accontentarci di qualche incentivo all’esodo rinunciando a tutti i nostri diritti espressamente previsti dalla legge italiana”, spiegano i lavoratori in presidio. Davanti ai cancelli dello stabilimento di Lesmo, nei pressi di Arcore, infatti, sono spuntate nuovamente tende, roulotte e striscioni che hanno accompagnato la ripresa della protesta.

“Siamo tornati qui, nonostante i disagi del periodo invernale e delle feste natalizie, perché non ci stiamo a farci prendere in giro. Ci devono delle risposte e da qui non ci muoveremo fino a quando non le avremo”.

Yamaha ha tentato persino di mettere in discussione l’applicazione dell’accordo sottoscritto al Ministero del Lavoro il 7 gennaio del 2010, quando i lavoratori salirono sul tetto della fabbrica per ottenere almeno la Cassa Integrazione. Yamaha attraverso una interpretazione strumentale ha cercato di far saltare il secondo anno di Cassa senza riuscirci, ma contribuendo ad appesantire ancor di più il clima.

Ma la ragione più forte che ha spinto i lavoratori cassaintegrati a riprendere il presidio è stata la volontà di avere risposte chiare sul Bilancio 2009, quello che a detta dell’Azienda avrebbe giustificato la chiusura della produzione.

Come Liberazione ha già avuto modo di spiegare, il Bilancio 2009 di Yamaha Italia finì in rosso a causa di una voce straordinaria: quasi 10 milioni di euro di accantonamento economico di cui oltre 7 milioni per rischi legali, incentivi economici all’esodo, sostegno per il raggiungimento dei requisiti pensionasti, supporto per ricollocazione professionale nonché ripristino del sito. Senza questa posta straordinaria anche il Bilancio 2009 avrebbe chiuso in attivo di oltre 3 milioni di euro.

Mentre l’ultima voce, quella del ripristino del sito, appare talmente incredibile da non essere nemmeno presa in considerazione (“se chiudi un sito produttivo cosa vai a ripristinare ?!”), su tutte le altre sembrava essersi aperto un confronto, visto che per i lavoratori l’accordo del gennaio scorso destinava una cifra di dieci volte inferiore a quella iscritta a Bilancio dalla multinazionale: circa 700 mila euro contro gli oltre 7 milioni iscritti a Bilancio.

In occasione di incontri avvenuti nei mesi di novembre e dicembre 2010, la direzione aziendale, per voce del suo consulente, sembrava aprire una trattativa (definita dallo stesso “manutenzione dell’accordo”) che implicitamente ammetteva che una parte di tale accantonamento sarebbe potuto essere ridistribuito ai lavoratori ancora in cassa integrazione.

Ma poi la chiusura totale, con l’ulteriore evidente strumentalizzazione del tentativo di far mancare il rinnovo del secondo anno di Cassa per i motivi sopra spiegati: l’impresa si è ridotta “ a utilizzare questo argomento per distogliere l’attenzione sulle reali motivazioni all’origine della nostra protesta che nulla hanno a che vedere con il rinnovo della CIGS.”

Ma non solo. La situazione si aggrava ulteriormente quando i lavoratori scoprono che a poca distanza (ad Arcore) dalla sede di Yamaha Motor Italia, appoggiandosi ad un terzista del settore, vengono prodotti (modificandoli), dei motocicli Yamaha, senza utilizzare nessun lavoratore cassaintegrato.

Ce n’è abbastanza, quindi, per organizzare un presidio e diffondere una lettera aperta alla società civile con la quale diffondere le 9 domande.

  1. Perché Yamaha non vuole rispondere nel merito sulla cifra complessiva dell’accantonamento (Euro 7.140.000) messa a bilancio?
  2. Perché Yamaha ha chiuso la produzione e nello stesso tempo dichiara di voler “ripristinare il sito”? o si chiude o si ripristina!
  3. Perché Yamaha non sostiene come era previsto nell’accordo, e come è specificato nella relativa voce messa a bilancio, i lavoratori pensionabili?
  4. Perché Yamaha rispetto a un costo dell’accordo di circa Euro 700.000 ne accantona Euro 7.140.000?
  5. Perché Yamaha dichiara la chiusura dell’unità produttiva mentre nello stesso tempo, a pochi chilometri di distanza continua a produrre, modificandole, moto Yamaha e, cosa ancora più grave, senza coinvolgere i lavoratori posti in cassa integrazione?
  6. Perché Yamaha attraverso i suoi comunicati continua a mentire sulla cifra economica che era disposta a erogare ai lavoratori (2 retribuzioni annue lorde), senza mai averla veramente ufficializzata?
  7. Perché Yamaha ha cambiato in modo repentino e mirato il contratto, passandolo da Commercio a Industria, a lavoratori in categorie protette per poi licenziarli?
  8. Perché la direzione aziendale, per i lavoratori del commercio, non ha applicato la rotazione come previsto dalla legge?
  9. Perché Yamaha incomprensibilmente continua a sperperare denaro aziendale attraverso consulenti e avvocati senza ottenere alcun risultato, se non intensificare la protesta, e non intraprende la strada più logica e responsabile di un riconoscimento economico direttamente proporzionale all’accantonamento di bilancio, evitando inevitabili danni alla propria immagine?

E per chiudere, i lavoratori fanno capire che, come sempre, fanno sul serio: “È meglio essere chiari: Il nostro presidio non si smobiliterà fino a quando Yamaha Motor Italia non accetterà di discutere e risolvere le gravissime questioni all’origine di questa protesta. Nelle prossime settimane saranno messe in campo nuove e fortissime forme di protesta per portare al più alto grado di attenzione questa situazione.”

Matteo Gaddi (Responsabile dipartimento Nord - Lavoro PRC)
Gerno - Lesmo, 9 gennaio 2011