Verso la conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori del 27-28 gennaio a Treviso
Dagli artigiani di Torino agli operai di Treviso

Stiamo vivendo tempi davvero strani, dai grandi giornali alle televisioni non passa giorno che manchino notizie di questo tipo: “Venite dal sud, vi pagheremo a peso d'oro, a Torino servono 15 mila operai specializzati nelle piccole imprese artigiane metalmeccaniche e non si trovano nonostante le imprese siano disposte a pagare una stipendio netto mensile di 6 milioni; a Legnano, alla Franco Tosi, mancano 1500 operai metalmeccanici e non si trovano nemmeno a pagarli molto bene; nelle piccole imprese del nord est mancano 50 mila operai e non si trovano; a Busto Arsizio molte piccole e medie imprese sono disposte a offrire anche la casa ad operai disposti a trasferirsi nella zona ma non si trovano” e così via a chi “la spara più grossa”.

Se a tutto questo aggiungiamo i dati forniti dalla Banca d'Italia che ci informano del fatto che “l'economia e il lavoro sommerso e illegale nel nostro paese ammonta a 500 mila miliardi” si potrebbe chiudere il cerchio e dire che in “in Italia non ci sono problemi occupazionali, i lavoratori hanno salari altissimi e tra lavoro legale e nero i redditi da lavoro vanno a gonfie vele”.

Mentre questo tipo di notizie impazzano, il "Corriere della Sera Economia" del 15 gennaio 2001, ci informa con un pizzico di serietà che i salari netti dei lavoratori sono scesi negli ultimi venti anni dal 56% al 40% mentre i profitti e le rendite sono aumentati dal 43% al 60%, che il 7% degli Italiani possiede il 44% della ricchezza.

La parola magica: flessibilità

Tutto questo basta a lor signori?
Certamente no, è D'Amato (Confindustria), chiede sempre più flessibilità e precarietà dalle Alpi alla Sicilia, sanatorie per il lavoro nero, salari sempre più contenuti e aumento delle ore di straordinario oltre ogni limite (si vada a vedere i dati dell'INPS).

A chi si lamenta di non riuscire a trovare manodopera qualificata per il lavoro manufatturiero viene subito in mente di rispondere “ chi semina vento raccoglie tempesta” è non poteva essere diversamente dopo che negli anni '80 e '90, le rappresentanze politiche e sociali moderate hanno fatto strage del valore e dei valori del lavoro operaio.

L'insieme di questo quadro è più che sufficiente per delineare a Treviso una efficace analisi di Rifondazione Comunista sui temi del lavoro e dell'economia e definire una strategia e una piattaforma in grado di aggredire in profondità i guasti prodotti dalla politica liberista praticata in Italia anche dal centro sinistra e dai gravi cedimenti consumati dal sindacalismo confederale.

In questa sede provo a soffermarmi brevemente sulle questioni che riguardano il versante della piccola impresa e del lavoro autonomo, un settore questo, troppo spesso strumentalizzato dalle forze della destra per attaccare le conquiste del movimento operaio.

la piccola impresa e il lavoro autonomo

La prima considerazione riguarda l'azione delle associazioni imprenditoriali delle piccole imprese e del lavoro autonomo che spesso e volentieri si muovono a rimorchio della Confindustria.

Al mondo della piccola impresa e del lavoro autonomo, agli artigiani e piccoli commercianti non servono le ricette confindustriali che tendono esclusivamente ad affermare il dominio egemonico e definitivo della media e grande Industria, della grandi concentrazioni di capitali, sull'insieme del sistema economico, produttivo e sociale del Paese.

Nell'ultimo ventennio questi poteri forti hanno scaricato sulle piccole imprese italiane quasi per intero tutte le contraddizioni e i loro bisogni di liberismo selvaggio; vasti strati del mondo della piccola impresa sono stati costretti alla marginalizzazione; molti piccoli imprenditori hanno subito un processo di vera e propria proletarizzazzione e sottoproletarizzazione per i loro dipendenti. Il centro sinistra e la stessa sinistra politica e sociale alternativa non sono stati all'altezza di questa gigantesca trasformazione e non sono riusciti a parlare ai milioni di piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e agli stessi lavoratori dipendenti di questi settori.

Lo stesso Partito della Rifondazione Comunista deve riconoscere che su questo versante la sua iniziativa ed elaborazione è stata insufficiente. Questo vuoto è forse anche una delle ragioni delle nostre difficoltà e senza un forte recupero di questo ritardo rischia di diventare velleitario l'obbiettivo di costruire nel nostro paese una grande forza politica di sinistra alternativa con forti radici sul territorio e nel sistema economico e sociale generale, “il Partito Comunista di massa”. Questo sarà possibile se sapremo costruire insieme alla difesa dei diritti dei lavoratori dipendenti una politica e una “carta dei diritti anche per il lavoro autonomo” sapendo che all'artigiano che rispetta le leggi e i contratti per i propri dipendenti non serve la ricetta confindustriale e ancor meno quella del liberismo.

Una cultura della legalità

Alle piccole imprese e in generale al lavoro dipendente serve invece una accelerazione della riduzione del prelievo fiscale e contributivo insieme alla repressione efficace ed effettiva della concorrenza sleale del lavoro nero non certo per un futuro incerto e indistinto “ma da subito”, ricostruendo in alternativa alla cultura della legittimazione del “crimine sociale” una cultura della “legalità attraverso l'aggravamento di questo crimine”.

In questi settori occorre promuovere politiche per efficaci e diffusi servizi alle imprese; la formazione professionale e politiche salariali adeguate per garantire alle piccole imprese manodopera qualificata; certezza di accesso al credito agevolato; sburocratizzazione degli adempimenti attraverso il consolidamento e presenza su tutto il territorio nazionale degli “sportelli unici”; regole contrattuali e legislative di tutela per le piccole imprese contoterziste nei confronti delle aziende committenti; ecc.

All'economia produttiva e al mondo dell'impresa italiana non è arrivato purtroppo un contributo conflittuale sufficiente dal sindacato confederale; infatti esso si è limitato solo a contrattare il contenimento del peggioramento delle condizioni del lavoro in tutti i campi (dal salario al mercato del lavoro; dall'orario alla salute e sicurezza ecc.).

Alle associazioni delle piccole imprese e dell'artigianato mi sento di chiedere con forza di mettersi d'accordo con se stesse; “la sparata” degli artigiani di Torino che hanno annunciato la possibilità di offrire salari netti di 6 milioni al mese “è lontana anni luce non solo dai redditi reali netti dei lavoratori dipendenti ma spesso anche da quelli degli stessi imprenditori artigiani Piemontesi.

Il mito del lavoro dal sud

E' certamente vero che al nord si fa sempre più fatica a reperire manodopera qualificata ma è molto difficile pensare che questo sia possibile attingendo da “una inesistente forza lavoro qualificata al sud”.

Le ragioni di queste carenze non sono quelle che le varie associazioni imprenditoriali ripetono con grande udienza sui media; le vere ragioni stanno nella compressione dei salari e dei diritti ed il mondo dell'impresa dovrà farsene una ragione e operare di conseguenza se non vuole che tra pochissimi anni questa emergenza diventi esiziale per il sistema economico e produttivo Italiano.

La costruzione di un vasto bacino di lavoro professionalizzato richiede molti anni; alle spalle ci sta solo una gigantesca distruzione di questo patrimonio, i bassi salari e la riduzione drastica dei diritti ha provocato la fuga dal mondo del lavoro produttivo; è assolutamente falso che i giovani “non vogliono indossare la tuta e sporcarsi le mani”; il loro rifiuto e la loro ricerca di altre alternative sta nei bassissimi salari dei contratti dell'artigianato che vengono pagati agli apprendisti per periodi che durano fino a cinque anni, la retribuzione degli apprendisti nei contratti artigiani infatti si aggira mediamente intorno al milione e trecento mila lire lorde al mese (otto-novecento mila lire nette al mese).

Il diritto alla sicurezza del lavoro

E non è finita qui, dopo molti anni di “apprendistato” non c'è certo il paradiso virtuale presentato dall'associazione artigiana di Torino ma salari contrattuali ben più magri che devono essere sommati all'assenza di diritti e sicurezza nei luoghi di lavoro. In Italia quindi è urgente aprire uno scontro duro per tornare a dare il giusto valore al lavoro operaio non solo per un fatto di giustizia e dignità per i lavoratori ma anche per rispondere alle necessità e interessi delle stesse piccole imprese e degli artigiani.

Al mondo della piccola impresa serve sempre di più una inversione totale delle politiche realizzate verso il lavoro; le rappresentanze sociali di questa imprenditoria dovrebbero smettere di credere che la risposta ai loro problemi sia il liberismo e il peggioramento delle condizioni dei lavoratori; se queste rappresentanze e gli stessi piccoli imprenditori continueranno a sostenere tesi come quelle di Berlusconi che ipotizza per il nostro paese ben 10 anni di cura Tacheriana dovranno assumersi per intero le loro responsabilità e smettere di piangere lacrime di coccodrillo.

Stefano Mele
Responsabile Nazionale PRC Piccole Imprese e Lavoro Autonomo
Roma, 19 gennaio 2001