Lavoro:
La Brianza non è un'isola felice.

Abbiamo discusso in Brianza sui temi posti alla base di questa nostra conferenza e contenuti nel documento votato dalla direzione nazionale del nostro partito. Con questo documento ci proponiamo di dare un nostro contributo al dibattito in corso che culminerà con la conferenza nazionale di Treviso e di porre le basi per l'iniziativa del partito nel nostro territorio.

Il contesto internazionale.

Il lavoro subordinato si diffonde, prende sempre più piede a livello globale, chi ipotizzava la fine del lavoro è stato smentito dai dati che ci dicono il contrario. Processi che abbiamo già conosciuto nel vecchio continente si stanno ripetendo in altri luoghi. Quella rivoluzione industriale che nell'800 aveva fomentato i processi di esodo di milioni di persone dalle campagne alle grandi metropoli industriali si sta ripetendo a livello mondiale. Questo processo non risparmia nemmeno i bambini, come non li aveva risparmiati allora. Solo il continente africano sembra rimanere solo terra di razzia di materie prime ed ancora non vede un interesse del capitale per un suo sfruttamento industriale, con l'eccezione dell'area del mediterraneo.

In questo contesto la politica imperiale degli stati uniti d'America si è sviluppata pienamente portando la guerra all'interno degli stessi confini europei, cosa impensabile fino a qualche anno fa. L'alleanza atlantica quale gendarme mondiale del capitale e dei suoi interessi. E' ormai fin troppo palese come gli interventi militari siano funzionali agli interessi economici del capitale. Dalla guerra del golfo del 91 quale monito agli stati arabi sulla gestione della risorsa petrolio e il potere che ne discende, alla guerra nei balcani come avvertimento alla nascente comunità europea e alla sue velleità di giocare un ruolo internazionale al di fuori della nato.

Gli stati uniti si pongono così come modello di riferimento nel nuovo millennio. Il proprio sviluppo incentrato su relazioni industriali 'ad personam', su uno stato sociale minimo, sull'utilizzo degli immigrati per calmierare il costo del lavoro e su una finanziarizzazione dell'economia sempre più esasperata è diventato il nuovo modello di riferimento anche per l'Europa. Un Europa che segue un modello di cui però mai gli sarà permesso avere l'elemento decisivo ovvero la supremazia militare, il bastone.

Questo nuovo percorso intrapreso dall'Europa ha subito un'accelerazione negli ultimi dieci anni.

Il processo di integrazione europea ha avuto con il trattato di Maastrich un accelerazione soprattutto per i risvolti sociali che ha determinato. In 11 paesi europei si sono firmati negli ultimi dieci anni accordi trilaterali, come quello del 93 in Italia che ha dato il via alla politica dei redditi, che hanno sancito la svolta nelle relazioni industriali.

Questi accordi hanno solo sancito la fine di un processo che ha avuto inizio alla fine degli anni settanta è ha concluso quell'anomalia europea che aveva portato il movimento operaio ad un passo dall'assalto al cielo.

Il dato più evidente che registra lo stato del movimento operaio sono le ore di sciopero in Europa che dalle 56 milioni nel 79 sono passate ai 7 milioni del 96. Il conflitto sociale è stato annullato.

Il capitale si è riorganizzato spezzando il ciclo produttivo e inventando nuove organizzazioni del lavoro denominate just in time, outsorcing, flessibilità, reingenirizzazione, part-time, lavoro interinale, telelavoro, qualità totale, stock-option, ecc. Il movimento operaio è stato travolto. Il pensiero unico ha preso il sopravvento.

L'aumento di produttività si è trasformata in una spada di Damocle sulla testa dei lavoratori e non un opportunità per rivendicare migliori condizioni di vita. Le donne sono le principali vittime di questo processo perché oltre alla precarizzazione del rapporto di lavoro devono sempre più far fronte ad uno smantellamento dello stato sociale che le investe come un uragano relegandole di nuovo ad angeli del focolare.

Il caso italiano.

In questo contesto l'Italia non sta meglio Tutte le politiche intraprese in Europa di comune accordo fra tutte le nazioni hanno avuto il proprio corso anche in Italia. I rapporti trilaterali hanno congelato il conflitto da più di dieci anni. Ma il sindacato ha perso la sua grande scommessa nei primi anni ottanta quando l'aumento di produttività, con l'avvento delle nuove tecnologie, sempre più intenso è stato utilizzato come arma dai padroni per riorganizzare il sistema produttivo e ribaltare i rapporti di forza che alla fine degli anni settanta mettevano ormai seriamente in discussione 'il sistema'.

E' poi venuta la fine dell'esperienza del socialismo nei paesi dell'est che ha determinato anche in Italia ripercussioni pesantissime. Questo processo in corso ha portato alla fine degli anni ottanta allo smantellamento del partito dei lavoratori, di quel partito comunista italiano che era stato fino allora il naturale rappresentante politico della classe operaia nel nostro paese. La sindrome della sconfitta comincia ad incunearsi nella testa dei lavoratori.

Oggi ci troviamo in una situazione drammatica, una devastazione culturale che rimuove il lavoro e i suoi valori dalla politica. La coscienza di classe è tutta da ricostruire.

La speranza rinata nel 1996 con la vittoria del centrosinistra alle elezioni politiche e la conseguente sconfitta di Berlusconi è stata mortificata da cinque anni di governo, oggi la 'sindrome della sconfitta' e l'ineluttabilità del processo in atto sono, per gran parte delle lavoratrici e dei lavoratori, fuori discussione.

Il mercato del lavoro in Italia registra una flessibilità sempre maggiore i rapporti di lavoro sono sempre più instabili, i salari in dieci anni hanno perso più del 6% del proprio potere d'acquisto, gli orari di lavoro sono in continuo aumento, i rapporti di lavoro delle donne si trasformano sempre più in tempo parziale e a termine.

La disoccupazione è una realtà drammatica per metà del nostro paese mentre l'altra metà è costretta ad utilizzare la manodopera fornita dagli extracomunitari per evitare di mettere in discussione la politica dei redditi.

La sicurezza sul lavoro diventa sempre più una variabile del profitto e i 1200 morti sul lavoro nel 2000 sono la più forte denuncia di uno sviluppo inaccettabile.

La Brianza non è un'isola felice.

Pur essendo una realtà che registra tassi ufficiali di disoccupazione molto bassi in realtà se si analizza il numero di lavoratori attivi estremamente basso rispetto alla media europea si deduce come gli indici di disoccupazione hanno si valore ma fino ad un certo punto. Il tasso di attività basso, soprattutto fra le donne, ci indica come gran parte delle persone non ritiene conveniente mettersi alla ricerca di un posto di lavoro. In questi ultimi anni è aumentata la popolazione attiva soprattutto nelle donne anche se siamo ancora ben lontani dai livelli medi europei e il risultato sulla disoccupazione risulta falsato.

Il sistema produttivo Brianza conta oggi circa 55.000 imprese che occupano 250.000 addetti.

Vi sono alcune evidenti particolarità che ci caratterizzano:

- il settore dell'industria rappresenta il 37% del totale, in provincia di Milano il 26%, in Lombardia il 30,4%.

- il settore manifatturiero rappresenta il 23% delle imprese brianzole, il 16% in provincia, il 15% in regione.

- commercio e servizi rappresentano rispettivamente il 29,3% e il 20,3%, l'edilizia il 13,7%.

Come si può dedurre dai dati precedentemente citati il nostro territorio ha un'economia basata per lo più sulla produzione di beni a basso valore aggiunto e quindi basa il suo successo sulla compressione dei costi facendo affidamento sull'utilizzo di subforniture a piccole e medie imprese sparse sul territorio. Vi è un'altro elemento che sta caratterizzando in questi ultimi anni la Brianza e che è in controtendenza rispetto al resto della regione e dell'Italia tutta, a fronte di dismissioni e ristrutturazione sempre drammatiche registriamo però un saldo occupazionale positivo nelle grandi imprese sopra i 200 dipendenti con ingenti investimenti da parte delle multinazionali soprattutto nel vimercatese.

Dal 91 al 96 gli addetti nelle imprese sopra i 250 lavoratori sono aumentati di 10.000 unità mentre vi è stato un calo nelle medie piccole.

Pur di fronte a questo dato in controtendenza la Brianza rimane pur sempre il territorio dove le micro e piccole imprese sono maggioranza anche se si sta avvicinando agli standard lombardi e italiani. L'88% delle imprese ha meno di 15 dipendenti e occupa il 30,5% dei lavoratori.

La ricerca e lo sviluppo non sono certo le carte vincenti fin qui giocate dal sistema Brianza che anche quando si rivolge all'estero lo fa per lo più (50%) con investimenti diretti, cioè va alla ricerca di manodopera a minor costo piuttosto che di mercati per espandere la propria attività.

Continua inesorabilmente la sostituzione di posti di lavoro a tempo indeterminato con contratti atipici. Ormai il 70% dei nuovi assunti lo sono con contratti atipici, senza considerare la sempre maggiore presenta di rapporti in ritenuta d'acconto e partita IVA che in un settore in rapida espansione come i servizi rappresentano spesso la normalità . Ora anche nella pubblica amministrazione si comincia a parlare di rapporti di lavoro atipici e i processi di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi rischiano di generare un generale abbassamento delle condizioni di lavoro.

L'esperienza delle compagne e dei compagni ci ricorda che la forbice fra diritti sanciti sulla carta e diritti realmente esigibili nei luoghi di lavoro si sta allargando. Anche dove sono presenti le rappresentanze sindacali vi è una perdita di controllo sull'organizzazione del lavoro e sul rispetto dei diritti. Nelle micro e piccole imprese poi vige come una sorta di zona franca dove orari e diritti sono a completa discrezione del padrone e le organizzazioni dei lavoratori sono considerate un ostacolo allo sviluppo e alla stessa esistenza dell'attività.

Primi segnali preoccupanti vengono anche dai dati dell'ufficio vertenze della CGIL dove per la prima volta, lo scorso anno, vi è stata la necessità di intraprendere alcune vertenze per il mancato rispetto di accordi aziendali. Anche l'aumento di vertenzialità sui licenziamenti ingiustificati ci segnala come di fatto si punta al superamento dello statuto dei lavoratori, fallito attraverso lo strumento referendario.

I processi di esternalizzazione intrapresi dai grossi gruppi industriali presenti sul nostro territorio sono utilizzati dai padroni per aggirare lo statuto dei lavoratori e procedere al ridimensionamento del numero di occupati. Il caso Alcatel è emblematico, li i nostri compagni sono impegnati in una difficile vertenza per bloccare questi processi.

Dentro e fuori le fabbriche tutto è rimesso in discussione, nessun diritto è considerato inalienabile.

La situazione sul rispetto delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro e la conseguente salvaguardia della salute dei lavoratori non è diversa in confronto alla drammaticità della realtà nazionale.

Tutto si sintetizza in un dato drammatico: nel 2000 cinque persone hanno perso la vita in Brianza. (nel 98 e nel 99 non vi erano state vittime).

Di queste cinque vite spezzate quattro erano edili. Questo non è casuale.

Nel settore edile si è ormai ripristinata la pratica del caporalato che vede gli immigrati irregolari come ultimo anello della catena dello sfruttamento, questo sistema interno alla logica del subappalto non risparmia nemmeno le commesse pubbliche. Non solo la sicurezza ma spesso nemmeno le condizioni minime sanitarie sono rispettate.

L'incidenza dei lavoratori extracomunitari è in progressivo aumento anche nel nostro territorio e sembra configurarsi ormai un mercato del lavoro parallelo riservato a loro che non genera conflitto nei luoghi di lavoro ma scarica tutte le proprie contraddizioni nella società.

Alcune proposte per superare le difficoltà.

La difficoltà nell'affrontare i temi del lavoro e la rimozione dei valori ad esso legati investe l'intera società e il nostro partito non ne è immune. Abbiamo difficoltà nel costruire l'iniziativa ma non possiamo fermarci di fronte alla stato delle cose presente.

L'esperienza della costruzione dei circoli aziendali riscontra difficoltà per le reali debolezze degli stessi circoli territoriali. L'unica esperienza nel nostro territorio rimane il circolo Alcatel che è nato in condizioni particolari e non ha provocato ripercussioni sull'attività dei circoli territoriali perché la quasi totalità dei compagni non militava precedentemente in Brianza.

Vi è una serie di proposte che riteniamo indispensabili:

Gli esempi positivi che abbiamo registrato in questi ultimi mesi ci dicono come non sono da considerarsi esauriti gli spazi per il cambiamento. Da questo punto di vista il caso Zanussi è emblematico, simbolo della concertazione negli anni novanta si è trasformata in uno dei segnali più positivi per il movimento operaio all'inizio del nuovo millennio. Solo così si può dare un contributo fattivo alla costruzione di un sindacato generale, democratico, di classe e di massa.

Rinnoviamo e sosteniamo l'impegno delle nostre compagne e dei nostri compagni nella costruzione della sinistra sindacale dentro la CGIL, non si tratta solo di una scelta di campo dentro un'organizzazione come la CGIL ma di un processo che deve vedere protagonisti i comunisti ed avere come obiettivo la ricostruzione di un sindacato di classe, democratico e di massa che sappia quindi rappresentare gli interessi generali di tutti i lavoratori e di chi un lavoro non l' ha.

Vogliamo contribuire a costruire una piattaforma utile all'allargamento di quei movimenti che in questi mesi hanno avviato un disgelo nel panorama sociale del paese e che, in un più lungo periodo, avviino un processo di ricomposizione delle forze del lavoro subordinato.

Questa conferenza deve servire per fare il primo passo nella giusta direzione, un passo utile per la costruzione e lo sviluppo del partito nel suo complesso.

Simone Pulici
Arcore, 18 gennaio 2001
relazione alla Conferenza delle Lavoratrici e Lavoratori Comunisti, 18 gennaio 2001.