Dove va la sinistra Cgil?

Cambiare rotta è necessario

intervista a Giorgio Cremaschi segretario nazionale Fiom

Il "caso Danini" continua a far discutere, in Cgil e non solo. Ricordiamo, per sommi capi, di che si tratta: Ferruccio Danini, appunto, dirigente di primo piano del maggior sindacato italiano (ha presieduto fino al recente congresso il Direttivo nazionale), è stato estromesso dalla segreteria nazionale dello Spi, su proposta del coordinatore dell'area di sinistra ("Lavoro e società. Cambiare rotta"). Nell'intervista a Liberazione (pubblicata il 5 giugno), Danini non si limita a denunciare la vicenda che lo riguarda, ma pone un problema più generale: quello della democrazia e del pluralismo effettivo all'interno della sinistra sindacale. Oggi diamo la parola a Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom, tra i fondatori e dirigenti di "Cambiare rotta"

Per dirla brutalmente, Ferruccio Danini è stato"fatto fuori" dalla sua area, pur essendo (o forse proprio per questo) tra i fondatori della stessa. Qual è il tuo giudizio?

L'estromissione di Danini dalla segreteria nazionale dello Spi non è solo un'ingiustizia: è un errore grave che danneggia la battaglia della sinistra all'interno del sindacato. Tre mesi fa, Ferruccio era stato confermato nella segreteria nazionale del sindacato pensionati, come rappresentante dell'area di "Cambiare rotta": in questa circostanza, di tensioni e conflitti interni a "Cambiare rotta" se ne erano già manifestati, ma nessuno, tra i compagni del Direttivo dello Spi, ha avanzato critiche, obiezioni, o perplessità. Improvvisamente, Danini viene sfiduciato (e sostituito), senza un vero confronto e senza un motivo plausibile: e sì che svolge quell'incarico da sette anni. Davvero qui c'è un metodo inaccettabile, anzitutto dal punto di vista della trasparenza. Sento la necessità, perciò, di chiedere ai compagni dello Spi di tornare sui propri passi e di correggere la scelta che hanno fatto. E credo che, come minimo, dovrebbero spiegarla, anche e soprattutto a coloro che li hanno eletti al congresso.

Di vicende analoghe a questa è cosparsa la vita della Cgil...

Mi viene in mente la defenestrazione di Agostinelli dalla segreteria lombarda: anch'esso è stato ispirato, secondo me, da una logica altrettanto inaccettabile. In questo caso, almeno, i compagni della Lombardia si erano ripetutamente espressi in senso critico nei confronti di Agostinelli. Su Danini, l'operazione è stata ancora più secca, ancora più proditoria. Viene il dubbio se i compagni del Direttivo Spi che l'hanno realizzata siano solo "un'espressione geografica".

Da quel che si è capito, però, le vere ragioni di questa faccenda sono di natura politica: su una questione rilevante come l'elezione della segreteria nazionale, Danini ha assunto una posizione diversa da quella della maggioranza dell'area (e di Patta), è diventato cioè un "dissenziente", un "ingovernabile". E come tale è stato punito. Non c'è qui un principio più che pericoloso?

Infatti: è grave anche e soprattutto che Danini sia stato sfiduciato su richiesta del coordinatore dell'area, nonché segretario confederale. Un dissenso politico, anche serio, non può tradursi in "atti amministrativi". Lo affermo con assoluta convinzione, anche se non ho condiviso, nel merito, la scelta dei quattro compagni (Danini compreso) che non hanno sostenuto la nuova segreteria nazionale Cgil: questi metodi non sono accettabili. Non si va avanti a colpi di centralismo democratico e di estromissioni. Quando nasce un dissenso, si procede politicamente, con la discussione, il confronto, la verifica: questa logica dovrebbe essere quella che guida tutti i comportamenti, nella maggioranza come nella minoranza del sindacato. Oltretutto, "Cambiare rotta" ha certo i suoi problemi interni, ma non sta vivendo, nel suo insieme, una crisi paragonabile a quella del congresso del '96…

Se non è crisi, che cos'è, allora?

Credo che situazioni come queste siano il frutto anche della delicatezza della fase politica e sociale. In questo momento, la Cgil è è sotto tiro, deve difendersi da una vera campagna di aggressione e di denigrazione: all'interno dell'organizzazione, si vive in una sorta di clima di emergenza, nel quale il diritto al dissenso scricchiola, e la tentazione di stroncare il pluralismo interno si fa più forte. E' un riflesso che abbiamo conosciuto tante volte, ma che va respinto. Tra i meriti indiscutibili di "Cambiare rotta" c'è proprio quello di non aver accettato l'"Union sacrée", resistendo agli appelli dell'unità ad ogni costo e portando avanti la propria battaglia per il rinnovamento radicale del sindacato: che il congresso (e la vita) di un grande sindacato come la Cgil possano svolgersi anche sulla base di mozioni distinte e di posizioni diverse, è una innovazione importante, è un fattore rilevante di democratizzazione del sindacato. Purtroppo, neppure all'interno dell'area di sinistra, questo è un risultato acquisito una volta per tutte.

Non vedi, come denuncia Danini, un problema di discriminazione specifica nei confronti dei sindacalisti di Rifondazione comunista proprio all'interno di "Cambiare rotta"?

Secondo me, al centro dei conflitti di cui stiamo parlando, c'è ben altro che l'appartenenza di partito. Intendiamoci bene. E' vero, certo, che i compagni che fanno riferimento al Prc sono vittime di repressione, o marginalizzazione. Ma è vero anche che tutto questo, il più delle volte, avviene con il consenso di altri compagni di Rifondazione: che non sono nel loro insieme "marginali", ma ben presenti sia nelle categorie che nelle segreterie regionali. Insomma, c'è un problema di direzione e di gestione centrale dell'area, ma ci sono anche divisioni interne diffuse tra i dirigenti sindacali che aderiscono al Prc: questo non possiamo non vederlo. Così come non possiamo vedere una cosa che non c'è, una "guerra" generalizzata dell'area ai comunisti del Prc. Pesa la diversità delle storie, certo. E pesa un modello organizzativo - quello dei "centri regolatori" - che, specie negli ultimi tempi dà un potere spropositato (tanto di "designazione" quanto di "proposta") ai gruppi dirigenti nazionali. Questo è certo un problema di democrazia: di una democrazia non compiuta nella Cgil tutta, maggioranza e minoranza.

Danini ha annunciato la sua uscita da "Cambiare rotta". Una scelta obbligata?

Sono solidale con Ferruccio Danini per mille ragioni: non si può trattare nessuno come è stato trattato lui, tanto più non si può trattare così uno dei fondatori di "Cambiare rotta", uno dei dirigenti della Cgil che cioè ha contribuito davvero a farla esistere e crescere. E' evidente che è stata inferta una ferita dolorosa, dal punto di vista politico e da quello personale, a un compagno ricco di storia e di esperienze - la sua amarezza, per quello che posso, la condivido. Ma vorrei rivolgergli un appello sincero a non andarsene dalla "sua" area, e a continuare la battaglia dentro "Cambiare rotta".

La sinistra Cgil dovrebbe discutere a fondo questa vicenda proprio per l'importanza delle sue implicazioni. O no?

Credo che questa discussione sia inevitabile, proprio perché "Cambiare rotta" ha compiti e obiettivi in un senso preciso necessari. Siamo ad un passaggio, ad un bivio politico di fondo: la Cgil non ha risolto, nient'affatto, la sua "doppiezza". La rottura con la concertazione è avvenuta nei fatti con gli scioperi generali e la battaglia sull'articolo 18. Ma non è avvenuta, in realtà, nelle pratiche quotidiane del sindacato, nella gestione delle vertenze (cfr. l'accordo sui 7000 esuberi Telecom). E nel momento in cui Cisl e Uil si avviano all'accordo separato con il governo, si deve sapere che o il sindacato avvia un rinnovamento profondo delle sue politiche concrete, e anche del suo modo d'essere, o rischia la marginalità, e perfino un mesto "ritorno a Canossa". O si cambia, insomma, o si muore: più che mai qui c'è il ruolo insostituibile della sinistra interna. Battiamoci tutti insieme per farlo vivere, questo ruolo. Non rompiamo su quello che è pure il nostro lato peggiore. E ora ci sono gli scioperi da organizzare, insieme ai banchetti per raccogliere le firme al referendum per estendere l'articolo 18.

Rina Gagliardi
Roma, 8 giugno 2002
da "Liberazione"