Accelera la rincorsa tra le due monete, mentre alcuni paesi scelgono la convertibilità con quella europea

Euro, dollaro e il gioco delle grandi potenze

Forse ci troviamo, nel momento in cui gli Usa sembrano dominare il pianeta, in una fase di ridefinizione degli equilibri strutturali all'interno dello stesso mondo capitalista

Le ultime vicende monetarie internazionali, e quelle borsistiche che ad esse sono per molti versi collegate, creano una serie di interrogativi.

E' stato osservato che l'ascesa dell'euro nei confronti del dollaro non sarebbe causata da una particolare forza della moneta europea ma da una debolezza del biglietto verde. Che l'economia degli Stati Uniti e dell'Europa occidentale non attraversino un momento smagliante, è un fatto risaputo. Diciamo noi a sinistra che è una conseguenza delle politiche neoliberiste che hanno ridotto la spesa sociale, diminuito il reddito dei lavoratori, aumentato redditi e profitti della parte più abbiente della società americana ed europea, ridotto occupazione e prospettive di sviluppo. Ma questo non spiega perché l'euro si rafforza sul dollaro, essendo per unanime riconoscimento l'economia americana in relative migliori condizioni rispetto a quella europea.

C'è chi mette in evidenza altri fattori: in primo luogo i fallimenti e le bancarotte che si sono sviluppati in America e che hanno portato a un deterioramento di tutto il sistema finanziario. Ma anche qui dobbiamo ricordare che fallimenti e bancarotte sono sempre emersi in tutte le situazioni di crisi. Perché le manovre spericolate di bilancio, le appropriazioni indebite, i falsi degli amministratori e così via sono una delle caratteristiche "normali" del sistema capitalistico. Diceva Bertold Brecht: «Se c'è una rapina in banca bisogna prima di tutto arrestare il banchiere», simbolo di tutto il sistema di rapina capitalistica, specie oggi, dopo che decenni di deregolamentazione reaganiana hanno smantellato i deboli argini giuridici che erano stati eretti dopo la grande crisi del '29.

Crisi, cause ed effetti

Nel periodo di ciclo ascendente, come è stato quello degli ultimi dieci anni per gli Stati Uniti, distrazioni, perdite, ruberie non venivano a galla perché la "piena" li copriva e in un certo senso li sanava. I buchi emergono nel momento in cui si entra in una fase di crisi che è appunto la causa prima di questi fallimenti.

Altri mettono in rilievo il deficit commerciale degli Stati Uniti, crescente anche in questa situazione. Ma questa non è una novità. Piuttosto una caratteristica fondamentale del ciclo economico dominato dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, che attraverso questo deficit hanno assunto il ruolo di locomotiva per tutti gli altri paesi satelliti: il Giappone, la Germania, l'Italia, le stesse tigri asiatiche, etc.

Un'altra osservazione che viene avanzata riguarda la differenza dei tassi di interesse stabiliti dalla Fed e quelli fissati dalla Banca Centrale Europea: 1,75 contro 3,50. E perché la Fed ha abbassato i tassi che aveva mantenuto più elevati di quelli europei? Li ha abbassati a causa della crisi, per inondare di liquidità i mercati finanziari e l'economia americana e tentare di impedire la caduta delle Borse, la caduta dei consumi, specie rateali, e dell'attività produttiva americana in genere. Il differenziale di interesse oggi esistente tra l'America e l'Europa non è causa ma effetto della crisi americana.

Allora da dove viene questa crisi? Dal luglio 1944, dagli accordi di Bretton Woods, i paesi capitalistici vincitori della II guerra mondiale stabilirono che il dollaro doveva costituire di fatto la moneta di riferimento, in pratica l'unica parificata alla convertibilità in oro. Fu creato il Fmi e altre banche e istituzioni finanziarie internazionali a cui poi furono associati man mano i paesi sconfitti: Giappone, Germania e Italia, a sostegno del polo dominato dagli Usa.

Nel 1971, mentre gli Stati Uniti stavano perdendo la guerra del Vietnam e si trovavano in una situazione fallimentare, il governo Nixon dichiarò unilateralmente l'inconvertibilità del dollaro, creando non pochi disagi alle monete dei paesi alleati, che però accettarono la nuova situazione. Accettarono cioè in primo luogo che il dollaro di carta potesse circolare nel mondo senza nessuna copertura.

Il dollaro continuò ad assolvere un ruolo centrale dell'economia dei paesi del blocco occidentale. Anzi, a partire da quella data, il dollaro - ormai moneta di carta come tutte le altre - cominciò ad aumentare continuamente il suo valore e a consolidarsi in un sistema entro cui il dominio militare e quello finanziario degli Stati Uniti si sono retti vicendevolmente, fino alla vittoria della Guerra fredda e dopo, negli anni successivi, sfruttando le conseguenze economiche, benefiche per gli Stati Uniti, della dissoluzione e dello sfacelo dei paesi del Patto di Varsavia.

Il dollaro di carta

Il dollaro di carta cominciò la sua avanzata. Nell'agosto del '71 ci volevano 600 lire per comprare un dollaro. Al momento dell'ingresso dell'Italia nell'euro questa cifra era più che triplicata, e così in misura minore o maggiore per tutte le altre monete. Alla base di questo potere del dollaro ci sono tre elementi. Primo: circolano oggi nel mondo, fuori dagli Stati Uniti, circa 300 miliardi di dollari in banconote. Un biglietto di 100 dollari costa al tesoro americano 12 centesimi e viene rivenduto a 100 soprattutto a chi teme gli effetti della svalutazione della moneta nel proprio paese. Per fare un esempio, dopo la caduta del regime sovietico i cittadini russi si sono affrettati a investire tutti i loro risparmi in dollari di carta (60 miliardi), lieti di potere registrare, man mano che aumentava l'inflazione del rublo, il mantenimento del valore del loro risparmio.

Il secondo pilastro della forza del dollaro è costituito dal cosiddetto ciclo dei petrodollari. Cioè dal fatto che i dollari con cui i paesi consumatori acquistano il petrolio dai paesi produttori, specie di quelli come l'Arabia Saudita sottoposti al dominio degli Stati Uniti, si trasformano in depositi presso le banche americane, in titoli di Stato e in acquisti di armi, creando quegli attivi della bilancia valutaria che sono poi stati utilizzati dalle autorità degli Stati Uniti essenzialmente a sostegno del sistema industriale militare (keynesismo militare), volàno dello sviluppo industriale e tecnologico Usa. E questo modello di sviluppo, centrato sull'egemonia economica e militare americana e del dollaro, oggi si trova davanti a una nuova fase critica.

La domanda è se e in che misura all'aggravamento dell'attuale crisi del dollaro e dell'economia americana contribuisce l'esistenza di un'altra moneta potenzialmente accettabile a livello planetario com'è l'euro. I giornali hanno riportato alcune notizie che io vorrei ricordare. La prima riguarda la richiesta da parte di Saddam Hussein che il petrolio esportato venisse pagato non in dollari ma in euro. Ciò quando l'euro valeva 83 centesimi di dollaro. La seconda riguarda la decisione del governo cubano di permettere al milione e mezzo di turisti che ogni anno visitano l'isola di utilizzare l'euro in tutti gli acquisti che finora venivano effettuati in dollari. Ma la notizia più importante, a mio avviso, dopo l'ammissione della Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, è quella che il governo cinese ha deciso di introdurre, accanto allo yen e al dollaro americano, l'euro come moneta in cui investire le riserve valutarie della Cina, che sono le più elevate del mondo dopo l'annessione di Hong Kong e delle sue strutture economiche e finanziarie. Qui non è più il dittatore di un paese sottoposto a embargo, o l'eroica isola che resiste da quarant'anni a tutte le pressioni e minacce. Qui siamo davanti a un popolo di un miliardo e 300 milioni di abitanti che sta vivendo una fase di sviluppo straordinaria, in cui aumento della produzione industriale, aumento dei salari degli addetti all'industria e aumento del Pil si sviluppano a ritmi neanche lontanamente ipotizzabili nel resto del mondo.

Ma io credo che anche in altre parti del mondo si stanno verificando spostamenti dal dollaro all'euro anche se in modo meno conclamato e ufficiale. Basti pensare alla penetrazione dell'euro nei paesi dell'ex Jugoslavia e in tutti i paesi dell'Est che hanno in corso trattative per l'adesione all'Europa. Oppure riflettere sul fatto che anche da paesi arabi amici in passato degli Stati Uniti, possono venir orchestrate manovre finanziarie in risposta alla politica medio-orientale di Bush.

Euro e nuovi equilibri

Forse ci troviamo, nel momento in cui gli Usa sembrano dominare il pianeta, in una fase di ridefinizione degli equilibri strutturali all'interno dello stesso mondo capitalista. E l'euro, malgré lui: malgrado il ritardo nella definizione di un programma di sviluppo sociale e democratico dell'Unione, malgrado tutti gli errori e le asprezze neoliberiste su cui sono sfracellati i governi di centrosinistra del continente, forse rappresenta una contraddizione seria nel campo imperialista in questa fase della storia dell'umanità. Certo ci saranno tentativi di ricostituzione e ricompattamento, ad esempio l'azione di Blair tendente a portare il suo paese nell'euro, ma è certo anche che nel panorama del mondo globalizzato, come si presenta agli inizi del nuovo millennio, l'emergere dalla dissoluzione degli imperi coloniali di grandi potenze come la Cina e l'India, il processo di costruzione con tutti i limiti e gli errori di una comunità di stati in Europa, l'acutizzarsi delle contraddizioni che il processo di globalizzazione comporta, impongono alla sinistra un'attenta riflessione per adeguare la sua azione alle necessità dei lavoratori e dei popoli ed anche alle opportunità che le contraddizioni interimperialiste possono fornire.

Nicola Cipolla
Roma, 30 giugno 2002
da "Liberazione"