La crisi della FIAT richiede un intervento pubblico
che sia determinante e dominante
Questo il parere del PRC ma non del centro sinistra

La nazionalizzazione e la miopia dei Ds

In un nostro emendamento alla Legge finanziaria abbiamo chiesto di nazionalizzare la Fiat. La nostra richiesta si articolava in due parti. La prima chiedeva che lo Stato, attraverso un apposito fondo, acquisisse la proprietà della Fiat al prezzo ovviamente simbolico di un euro. La seconda proponeva l'istituzione di un fondo di 10milioni di euro gestito da un'agenzia a maggioranza pubblica, con la partecipazione degli enti locali, per la progettazione e l'innovazione della mobilità nel territorio.

E' certamente una proposta ambiziosa, cui va aggiunta quella da noi più volte sostenuta e motivata - ma che non poteva trovare spazio nello specifico emendamento - di attuare una riduzione strutturale dell'orario di lavoro, a parità di retribuzione, almeno 35 ore settimanali. Questa è la sintesi della proposta che abbiamo avanzato quando si è delineata con chiarezza la drammaticità e la profondità della crisi della Fiat. Da allora la situazione è andata ancora peggiorando. Il piano industriale, si fa per dire, presentato dalla Fiat è stato rifiutato da tutte le organizzazioni sindacali. Gli scioperi spontanei sono già in atto in ogni dove, quelli organizzati sono stati già decisi. Nel frattempo sono cominciate le procedure per la concessione della cassa integrazione straordinaria che si concluderanno il prossimo 25 novembre, con la rilevante, gravissima e inedita novità che l'azienda ha dichiarato che la metà di quei lavoratori, cioè oltre 4mila, non rientrerà mai al lavoro. Di fronte a questo fatto inaudito il ministro Maroni si limita a dimostrarsi meravigliato. Il presidente Ciampi batte un flebile colpo, ricevendo la delegazione di Arese ma poi concentra la sua attenzione nella battaglia contro il fumo.

La scelta invece è ormai netta: da un lato vi è la nostra proposta di un intervento pubblico determinante e dominante - sulle cui forme siamo certamente pronti a discutere - che di per sé certamente non risolverebbe i problemi, ma che costituisce l'unica precondizione per poterne discutere con voce in capitolo. Dall'altro vi è quella della cessione dell'azienda agli americani di cui le procedure di Cigs, di mobilità, di licenziamenti costituiscono il massacro sociale richiesto, il "lavoro sporco", che permetterebbe poi di vendere i pezzi pregiati senza piombo sulle ali. Non c'è altra strada tra queste due.

Perciò abbiamo proposto al parlamento questa alternativa in termini netti e chiari. E' evidente che il nostro emendamento, anche per la forma obbligatoriamente sintetica con cui doveva essere presentato, aveva anche un sapore provocatorio. Quello, da un lato, di stanare le diverse posizioni in campo e, dall'altro, di rafforzare almeno la posizione di chi deve rispondere a una richiesta di cassa integrazione straordinaria che in realtà si viene a configurare come una gigantesca messa in mobilità, cioè in licenziamento, di migliaia di lavoratori.

Il dibattito non è mancato ed è stato rivelatore e sconcertante. Esponenti della maggioranza, cioè una parte rilevante della Lega, ha votato a favore della prima parte del nostro emendamento, quello che proponeva la nazionalizzazione della Fiat. Un paradosso per una forza che predica la "devolution", ma tuttavia un segnale da non sottovalutare di un disagio nella maggioranza di governo rispetto alle risposte fin qui date su questo tema.

Invece, con l'eccezione dell'astensione dei Verdi e dei Comunisti italiani, le forze del centrosinistra hanno votato contro il nostro emendamento. La motivazione principale è stata fornita dall'on. Bersani, ex ministro dell'industria, per il quale la questione della proprietà dell'azienda sarebbe del tutto secondaria, per cui pubblico o privato, americani o italiani sono la stessa cosa. Conterebbe solo la determinazione di un piano industriale di tipo aggressivo, mentre lo Stato dovrebbe semplicemente farsi ancella dello stesso, favorendone l'applicazione soprattutto con misure fiscali favorevoli all'azienda. Sul tema del mantenimento dell'occupazione l'esponente Ds non ha speso una parola.

Come si vede niente di nuovo di quanto fin qui è successo. Infatti lo Stato ha sostenuto con grande impegno e dissipazione di risorse pubbliche l'impresa Fiat. Ora, secondo i Ds, dovrebbe continuare a farlo per conto degli americani, con una produzione resa marginale da scelte produttive che fuoriescono dalle nostre possibilità di controllo, con un'occupazione decimata dagli stessi provvedimenti che aziende e governo si preparano ora ad attuare. Questo disastro va e può essere fermato. Nelle aule del parlamento se ne parlerà ancora nei prossimi giorni sulla base di mozioni parlamentari già annunciate. Ma non è qui naturalmente il terreno principale della battaglia. Questo si gioca nel paese, nei luoghi di lavoro Fiat e nel suo indotto, sul territorio. Il social forum europeo tenutosi a Firenze ha parlato anche di questo, e con forza. Ma come si vede da questa discussione parlamentare la maggioranza diesse non ne ha tratto affatto giovamento. Anche questo rende del tutto patetico il tentativo del segretario dei Ds di tratteggiare un suo inesistente ruolo di protagonista nello straordinario evento di Firenze.

Alfonso Gianni
Roma, 12 novembre 2002
da "Liberazione"