Per favorire l'acquisto alla General Motors

LA FIAT GETTA SULLA STRADA 8.100 LAVORATORI

Il governo Berlusconi si impegna solo a "migliorare'' il piano di ristrutturazione e a trovare una "soluzione di mercato''

Vi sono due aspetti principali che vanno messi in chiaro per capire quello che sta succedendo in questi giorni.

Il primo è che la crisi della Fiat-Auto non è un evento improvviso e imprevedibile, anche se vi è stata, questo sì, una brusca accelerazione.

Il secondo è che già da qualche anno la famiglia Agnelli aveva preso una decisione strategica: disimpegnarsi dal settore auto e vendere l'azienda all'americana di Detroit General Motors. Tutti i dati economici e di mercato, tutti gli atti messi in essere dai manager del colosso torinese stanno a dimostrare questa analisi.

Una crisi che proviene da lontano

Infatti sono circa 12 anni che i conti della Fiat non vanno bene e sono peggiorati, salvo qualche pausa, senza soluzione di continuità. Rispetto alla concorrenza sia europea che americana ha perso progressivamente margini di mercato, in una situazione tra l'altro satura e di sovrapproduzione. Gli utili sono di conseguenza calati. Il debito con le banche è cresciuto in modo esponenziale. Il titolo in Borsa è sceso ai livelli infimi. Gli Agnelli e i suoi manager, pur continuando a beneficiare di enormi aiuti da parte dello Stato con la concessione di lunghi e frequenti periodi di cassa integrazione per migliaia di lavoratori e finanziamenti pubblici per una cifra iperbolica pari a 11mila miliardi di lire nell'ultimo decennio, non hanno saputo o voluto porre riparo a questa crisi, la mancanza di progettazione e l'insufficiente investimento per le innovazioni rispetto alle case automobilistiche concorrenti è un segno evidente di questo. E hanno cominciato a pensare di disfarsi della produzione dell'auto, cioè di venderla, per concentrarsi su altri fronti industriali e finanziari che nel frattempo si sono moltiplicati, vedi per esempio quello dell'energia e delle centrali elettriche.
La vendita del 20% delle azioni alla General Motors, per 2,4 miliardi di dollari avvenuta nel 2000 con l'opzione nel 2004 di rilevare l'intera Fiat-Auto ha proprio questo chiaro e inequivocabile significato. A complicare questo progetto è sopraggiunto l'aggravamento della crisi ai vari livelli di vendite e finanziario di cui c'era stata una forte avvisaglia nell'estate scorsa che aveva portato all'ennesimo accordo di ristrutturazione, firmato da Cisl e Uil ma non dalla Fiom perché accanto alla cassa integrazione e al taglio occupazionale non figurava alcun piano industriale di rilancio e di prospettiva.

Manca un piano industriale, c'è solo un piano di vendita alla GM

Lo stato di crisi e il piano di ristrutturazione e di smantellamento produttivo, comunicato dai massimi dirigenti della Fiat, dal presidente Paolo Fresco, dall'amministratore delegato del gruppo, Gabriele Galateri, e dall'amministratore delegato del settore auto, Giancarlo Boschetti, ai sindacati rappresenta il precipitare della crisi, il tentativo di contenere la corsa verso il fallimento. Un piano cinico e disumano per gli alti costi sociali in termini di tagli occupazionali, di chiusura di stabilimenti e di impoverimento dell'apparato industriale specie per il Sud, Sicilia in testa. Un piano che, come è noto, prevede la messa in cassa integrazione straordinaria (cigs) a zero ore per un anno intero di ben 8.100 lavoratori della Mirafiori di Torino, dell'Alfa Romeo di Arese, della Fiat di Cassino e di Termini Imerese, per un risparmio tra gli 800 milioni e un miliardo di euro. Un piano che implicitamente prevede, alla scadenza della cigs la chiusura dello storica fabbrica di Arese e dello stabilimento di Termini Imerese, ossia il complesso industriale siciliano più grande. Senza contare le tremende ripercussioni su tutto l'indotto che ruota attorno alla Fiat. Decine di migliaia di questi lavoratori impiegati in aziende come Magneti Marelli, Comau, Comau Service, Tnt Logistics Power train e in tante altre rischiano la perdita del posto di lavoro
Le giustificazioni e le assicurazioni date dalla proprietà e dal vertice Fiat secondo cui questi sacrifici sono sì dolorosi ma temporanei, necessari per superare il momento difficile, rimettere a posto l'impresa e per salvare l'occupazione e il futuro produttivo, sono palesemente false, rappresentano una foglia di fico per nascondere quello che è evidente a tutti. E cioè che il piano di ristrutturazione, di chiusura di stabilimenti e di licenziamenti è volto a scaricare i costi della crisi sui lavoratori e sulla collettività e ad affrettare, ottenendo le migliori condizioni possibili, la vendita della Fiat al colosso automobilistico di Detroit. Lo ha fatto capire e lo ha anche detto pubblicamente il presidente Fresco con dichiarazioni al Wall Street Journal. Insomma non c'è nessuna intenzione di rilancio, ammesso che sia possibile, da parte del vertice Fiat. Ma la General Motors nicchia, non ha nessuna fretta di anticipare l'opzione in suo possesso da far valere entro il 2004, anche perché essa stessa ha problemi di eccedenze produttive e di personale, aspetta l'evolversi della crisi per poterla eventualmente acquistare a un prezzo di svendita.

Il governo Berlusconi pensa solo a qualche miglioramento

Il governo Berlusconi, sollecitato dai lavoratori, dai sindacati e dalle forze politiche a fare la sua parte nella crisi della Fiat, al momento l'unica cosa concreta che ha fatto è quella di organizzare un incontro nella villa privata del neoduce ad Arcore con i massimi dirigenti della Fiat, presenti i fidi Gianni Letta e Giulio Tremonti per "migliorare'', è stato detto, il piano di ristrutturazione e trovare una "soluzione di mercato'' alla crisi. Cosa si siano effettivamente detti e come si sia conclusa la riunione è difficile dire, dato che manca una versione ufficiale. Le notizie che sono trapelate dicono che Berlusconi vorrebbe aprire un tavolo tecnico per lavorare su un ipotesi che vede la compartecipazione della General Motors, delle banche creditrici e dello Stato attraverso le finanziarie pubbliche "Sviluppo Italia'' e Finmeccanica e la revisione del piano che eviti la chiusura di Termini Imerese. In cambio chiede l'accantonamento dell'attuale management per mettere nelle mani del ministro dell'Economia, cioè Tremonti, la gestione della crisi e soprattutto chiede agli Agnelli di partecipare al risanamento vendendo uno o più "gioielli di famiglia'' come la Ferrari, oppure la Toro Assicurazioni, oppure ancora, e questo potrebbe essere il vero obiettivo del cavaliere piduista di Arcore, i quotidiani "Il Corriere della Sera'' e "La Stampa''.
Ma le proposte abbozzate dal governo e le contropartite richieste sono state accolte dalla Fiat col massimo gelo. Il giorno dopo l'incontro di Arcore il presidente dell'Ifil che è una delle casseforti della famiglia, Umberto Agnelli, ha dichiarato: "Per me il piano è ancora quello, non ho avuto altre proposte''. Dunque allo stato non ci sono novità, la Fiat per ora tira a diritto. Ma le bocce non sono ferme. Sicuramente qualcosa si muoverà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Anche perché, come si è già visto, i lavoratori interessati e con loro, pare, anche i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil non intendono accettare il piano così com'è. La mobilitazione è scattata tempestiva, ampia e con continuità. Vi è già stato uno sciopero di quattro ore di tutte le maestranze della Fiat. E si parla di uno sciopero generale nazionale quanto meno dei metalmeccanici. In assenza di soluzioni soddisfacenti da parte dell'azienda e da parte del governo, non c'è dubbio, la lotta è destinata a svilupparsi e a diventare incandescente.
Su come uscirne, al di là delle prevedibili e scontate dichiarazioni sulla gravità della crisi e sulle conseguenze sociali, economiche e industriali a tutt'oggi regna una grande confusione tra le forze politiche parlamentari e in quelle sindacali e non si vedono proposte precise e compiute. Un po' tutte oscillano tra la vendita totale o parziale alla General Motors, un'alleanza con la Opel, anch'essa di proprietà della società americana, e una qualche partecipazione finanziaria dello Stato, trovando il modo di aggirare i vincoli Ue, per salvare il marchio Fiat e mantenere in Italia la produzione delle auto. Lo stesso presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, ha caldeggiato l'intervento pubblico e la cessione alla General Motors.

Nazionalizzare e riconvertire

Fuori dal coro, nel respingere il piano di Agnelli in tutte le sue parti, solo il PMLI avanza una proposta strategica, di svolta, di vero cambiamento: Nazionalizzare la Fiat. Nazionalizzare tutto il gruppo Fiat senza alcun indennizzo. Dare ad esso un futuro diverso con un progetto industriale di riconversione delle produzioni nel quadro di una politica dei trasporti basati principalmente su rotaie, via mare e via aerea. In ogni caso il PMLI è assolutamente contrario alla cassa integrazione, ai licenziamenti, alla chiusura degli stabilimenti di Termini Imerese e Arese.
Anche il PRC ha lanciato la parola d'ordine della nazionalizzazione. Ma nei contenuti, come si evince dalla "lettera aperta'' che Bertinotti ha scritto a Berlusconi, questa proposta, più propagandistica che reale, si riduce a un mero intervento pubblico, a una partecipazione statale riguardante il solo settore auto sull'esempio di quanto fatto in Francia e in Germania a suo tempo con la Renault e la Volkswagen, sulla cui utilità, dice testualmente il leader di Rifondazione, è stata sollevata obiezione "da più governi, non solo di sinistra''. Circa l'atteggiamento da assumere verso la proprietà della Fiat Bertinotti è ambiguo, non chiarisce cosa fare.

Redazione
Firenze, 17 ottobre 2002
da "Il Bolscevico" organo del PMLI