Pressioni psicologiche sul luogo di lavoro. Parlano Curtò (Ospedale San Gerardo di Monza) e Villa (CGIL): al sindacato diverse denunce.
"Mobbing, ogni settimana ci si presenta un caso"

Un fenomeno in crescita costante, lo rivelano le cifre.
Una persona a settimana si rivolge all'ufficio Cgil - Brianza per «denunciare» le pressioni psicologiche subite sul luogo di lavoro. Le stesse che portano alla semplice emarginazione, alla diffusione di maldicenze, all'assegnazione di compiti dequalificanti sino alle ritorsioni sulle possibilità di carriera.

Stiamo in sostanza parlando di «mobbing» termine inglese che significa aggredire un membro del gruppo sino a farlo uscire dal gruppo stesso; un abuso di potere sul posto di lavoro che causa nell'aggredito sentimenti di disperazione. umiliazione, vulnerabilità e stress.
Tanto da richiedere l'aiuto medico, psicologico e psichico.
Dal marzo 2000, gli uffici Politiche sociali di Cgil e Cisl - Brianza hanno iniziato a raccogliere testimonianze di operai, piccoli e grandi imprenditori, capi reparto, dirigenti (donne nella stragrande maggioranza) che iniziano un vero e proprio percorso.

«Lo stesso parte dalla denuncia della situazione occorsa sul luogo di lavoro - spiega Danilo Villa della Cgil Brianza - per arrivare alla conciliazione, nei casi meno gravi, o al risarcimento per vie legali».

In questo percorso, prendono parte diversi fattori (medici e legali). Aspetti esplorati nel corso di un interessante seminario promosso dal Cis (Centro studi d'impresa) svoltosi martedì. Sul tavolo l'esperienza e la professionalità di qualificati relatori: Antonino Borgese, consulente della gestione e risorse umane LB&Co, Natale Curtò, primario della divisione di neurologia dell'ospedale San Gerardo di Monza, Renato Gilioli, direttore del centro sul disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro dì Milano, Daniela Pajardi, ricercatore in psicologia del lavoro presso le università di Urbino e Cattolica di Milano e l'avvocato Angelo Zambelli, esperto del diritto del lavoro.

A rilevare che il fenomeno sia in preoccupante aumento, ma inversamente poco conosciuto, si aggiunge la conferma dei dati registrati alla Clinica del lavoro di Milano, negli ultimi tre anni.

«L'affluenza di pazienti è notevole - ha spiegato Gilioli - da noi si rivolgono dopo essere stati dal medico di famiglia e ogni giorno, per ipotesi di mobbing, si presentano 10 persone. Dal 1998 ad oggi abbiamo affrontato ben due mila casi».

La maggior parte delle persone erano soggette a «mobbing verticale», ovvero esercitato da parte dei vertici aziendali.
«Nasce soprattutto quando si è di fronte a fusioni aziendali - spiega - che portano a esuberi. La vittima viene messa in un angolo, privata degli strumenti di lavoro e svalutata». «Lo stress, il disagio ed il malessere che si possono creare durante l'attività lavorativa sono fenomeni frequenti - ha aggiunto Curtò ma su questo sottofondo possono innestarsi intimidazione psicologica e fisica, fattori causali del mobbing. Spesso si arriva ad uno scontro continuo, anche per i motivi più futili, tra gli stessi colleghi di lavoro («mobbing orizzontale») e le persone colpite hanno risentimenti psichici derivanti proprio dall'incapacità di affrontare la situazione lavorativa».

All'ospedale di Monza, presso i reparti di psichiatria e neurologia sono in aumento le persone (donne soprattutto) che accusano problemi connessi a situazioni lavorative difficili.
«Serve una strategia di prevenzione - ha sottolineato (Curtò -con norme che devono essere condivise da tutti e alle quali bisogna attenersi».
Elisabetta Pioltelli
Monza, 24 febbraio 2001
Da "Il Cittadino" - n° 8/2001