Per i capitalisti, il denaro sporco rappresenta quella libertà di circolazione illimitata si cui sognano tutti

I paradisi del capitale

Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono dati l’obiettivo di smantellare le “reti finanziarie terroriste”. Tuttavia, intendono riuscirvi senza naturalmente mettere in discussione la sacrosanta libertà di circolazione del capitale.

I “paradisi fiscali” sono paesi o territori particolari, che non prevedono significativa tassazione dei profitti, delle rendite, delle donazioni e successioni. Godono inoltre dell’assenza di trasparenza, grazie al segreto bancario, che può ad esempio spingersi fino al fatto che un banchiere può non essere obbligato a tenere registri finanziari. Il denaro sporco corrisponde, da parte sua, ad attività in piena espansione: droga, prostituzione, traffici, rapimenti, casinò, slot machines, vendita di armi, mafie varie e crimini di ogni sorta. Le somme interessate sono per loro natura difficili da stimare.

Le valutazioni degli organismi specialistici si collocano tra i 500 e i 1.000 miliardi di dollari, pari al 2-4% circa del Pil mondiale. Cumulandosi, queste cifre rappresentano un patrimonio considerevole e costituiscono una delle principali fonti di fondi per tutta una serie di istituzioni finanziarie, di intermediazione, ditte che trattano titoli, società borsistiche, ecc.

Gli introiti dell’alchimia finanziaria

Il riciclaggio è l’operazione che procura rispettabilità a queste risorse. Esso comprende tre tappe: il denaro sporco effettua un investimento iniziale, quindi i fondi vengono trasferiti, reinvestiti, convertiti finché possono rientrare nei circuiti del denaro “pulito”. La classica forma di riciclaggio passa per piccoli traffici che beneficiano di versamenti in liquido in cambio di merci o prestazioni fittizie. Dal momento che si tratta di produzione di massa, i paradisi fiscali rappresentano ovviamente la porta di ingresso del denaro sporco destinato a circolare in seno a società di copertura che realizzeranno acquisti immobiliari, investimenti finanziari, oppure prestiti garantiti dai fondi precedentemente depositati, ecc. Questa compenetrazione induce il magistrato Jean Maillard a sostenere, su Libération del 4 ottobre sorso, che “non esiste un’economia legale, da una parte, che sarebbe, dall’altra parte, il bersaglio e la vittima innocente di una economia criminale [...] Esiste una sola immensa economia legalcriminosa”. Per i capitalisti, il denaro sporco rappresenta quella libertà di circolazione illimitata si cui sognano tutti. Jean-Marc Sylvestre ha svelato il segreto, una mattina su France-Inter, sostenendo in sostanza che il denaro sporco non è un vero problema quando viene reiniettato nell’economia.

E tutto questo avviene accanto a noi. Non c’è bisogno di recarsi in certe isole tropicali; si può trovare in Europa tutto quel che serve, ad esempio Jersey, Monaco, il Lussemburgo o il Liechtenstein, che sono stati oggetto di relazioni di indagini parlamentari. Naturalmente, questi paesi non ricevono solo denaro proveniente da attività criminali, ma servono per l’evasione fiscale, europea e “pulita”. Annualmente, una cinquantina di miliardi di franchi lasciano ufficialmente la Francia per essere investiti in altri paesi, su conti bancari privati. Si stima che le somme che vanno all’estero clandestinamente siano sicuramente tre o quattro volte superiori. Un quarto dei francesi che dispongono di un discreto patrimonio avrebbero aperto all’estero un conto in banca, per cui vi sarebbero dai 200.000 ai 300.000 di questi contribuenti poco repubblicani, che si potrebbero anche definire criminali in colletto bianco. Supponiamo che ognuno di essi collochi all’estero mediamente un milione l’anno, ed ecco ritrovati i 250 miliardi di franchi cui i sindacati delle imposte valutano ammonti la frode fiscale in Francia.

Dal lato delle imprese, la prassi dei prezzi di trasferimento è largamente diffusa e difficile da distinguere, come la speculazione, da una gestione efficiente. Il sistema consiste nel fissare prezzi arbitrari tra le varie filiali di una multinazionale, così da ridurre l’imposta complessiva versata. In effetti, è preferibile effettuare prestiti laddove l’imposta sulle società è elevata, e localizzare i profitti nei paesi meno rigorosi. Tutti questi esempi dimostrano il livello di compenetrazione tra lecito e illecito nel funzionamento dell’attuale capitalismo.

Per altro verso, dal momento che è pur necessario che la concorrenza accetti qualche regola, il G7 ha dato vita nel 1989 al GAFI (Gruppo di azione finanziaria sul riciclaggio dei capitali), che si è dedicato a fare l’inventario dei paradisi fiscali. La battaglia, però, non deve andare contro la flessibilità del capitale; è l’argomento sviluppato dagli Stati Uniti alla Conferenza organizzata dall’OCSE lo scorso maggio. L’attuale Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Paul O’Neill, si dichiarava “turbato dalla deduzione implicita che saggi di tassazione bassi siano per loro natura sospetti”. Si ergeva così a difensore della libertà di ciascun paese “di organizzare come vuole il proprio sistema fiscale”. In altri termini, gli Stati Uniti hanno scientemente sabotato il primo tentativo di sanzionare la prassi dei paradisi fiscali, ormai precisati e individuati in modo abbastanza generalizzato e relativamente rigoroso.

Questa è anche la posizione di Berlusconi. Ricordiamo le sue recenti dichiarazioni sulla “civiltà occidentale” che sarebbe superiore all’altra, per il proprio attaccamento alla libertà. A pochi giorni di distanza, si è capito meglio quale ne fosse la sua interpretazione, quando ha depositato un progetto di legge sulla cooperazione giudiziaria internazionale. Anziché facilitarla, il progetto moltiplica gli ostacoli allo scambio di commissioni rogatorie tra paesi ed ha soprattutto lo scopo di mettere Berlusconi al riparo da indagini sui suoi affari privati.

Gli strumenti per sradicare il riciclaggio

Gli ostacoli a una lotta vera e propria contro il denaro sporco non sono dunque tecnici. I magistrati che hanno sottoscritto l’appello di Ginevra del 1996 sono tornati a scrivere (Le Monde, 10 maggio 2001). Essi traggono le conseguenze da Révélation$, il libro di Ernest Backes e Denis Robert, che dimostra come le camere di compensazione (Clearstream, Euroclear, Swift) utilizzino procedure informatiche che potrebbero consentire di effettuare un controllo esaustivo. Tutte le transazioni, anche quelle più oscure, vengono infatti registrate in una specie di grosso registro informatico (dopotutto, anche i delinquenti hanno bisogno di garanzie). La proposta dei magistrati, ripresa da Attac (vedi Scheda allegata), consiste nel raggruppare in un unico organismo le camere di compensazione, una delle quali (Clearstream, con sede in Lussemburgo) è oggetto di una procedura per riciclaggio. I magistrati chiedono inoltre che non si riconosca più valore giuridico ad atti registrati da o tramite società off shore. Questa misura avrebbe potuto venire introdotta in Francia nella legge sulle “nuove regolamentazioni”, ma i dispositivi di questa non si spingono molto in là. Quanto al Parlamento europeo, vota raccomandazioni in cui prevale regolarmente la preoccupazione del rispetto delle regole della concorrenza bancaria.

Anziché intervenire decisamente sull’intera partita, in realtà si sta facendo di tutto per affrontare a parte le reti finanziarie terroristiche, come se si potessero isolare. La repressione selettiva condotta in funzione degli elenchi stilati dalla CIA sfugge a qualsiasi controllo giuridico, condanna i “partner” degli Stati Uniti a svolgere un ruolo di ausiliari del giudice. Accanto a questo c’è un altro rischio, quello di cogliere il pretesto della lotta al terrorismo per attaccare seriamente le libertà politiche. Ad esempio, il mandato di arresto europeo, che sostituisce le procedure di estradizione, è una misura liberticida, per dirla con Evelyne Sire-Marin, presidente del Sindacato della magistratura, che lancia questi avvertimenti su Libération del 2 ottobre: “Ormai, con la scusa della lotta al terrorismo, i manifestanti, gli stranieri e chi si oppone all’ordine neoliberista dovranno solo comportarsi bene!”.

Per saperne di più

Jean Maillard, Le marché fait sa loi, Ed. Mille et une nuits

Denis Robert, Ernest Backers, Révélation$, Ed. Les Arènes]

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Scheda 1

Posizione di ATTAC

Attac non ha aspettato l’11 settembre per affrontare la lotta ai paradisi fiscali (Monaco, dicembre 2000; Jersey, giugno 2001; Lussemburgo, 6 ottobre scorso), e questo per un ovvio motivo: la loro esistenza era uno degli argomenti, sicuramente il più cinico, per spiegare che la “tassa Tobin” era impossibile. Attac appoggia le manifestazioni antiguerra del 6-11 ottobre e ha precisato la propria posizione in un comunicato del 4 ottobre scorso.

Per quanto riguarda le misure prese dagli Stati Uniti, Attac “chiede che tali misure, peraltro troppo limitate, non si riferiscano solo ai finanzieri del terrorismo, ma valgano per tutti coloro che vivono di traffici (droghe, armi, esseri umani, animali, ecc.), di rackets, di frodi, corruzione, ecc. I guasti forse sono meno clamorosi, ma non meno intollerabili: messa in discussione dei bilanci pubblici, difficoltà finanziarie ed economiche per tanti Stati, miseria per intere popolazioni, arretramento dei valori democratici, ecc. Ogni limitazione di tali misure costituirebbe il sintomo che i governi intervengono ipocritamente, come del resto fa il governo francese il quale, per bocca di Fabius, ha appena annunciato la creazione di una cellula antiriciclaggio  limitata al denaro del terrorismo, quando gli strumenti che già ci sono (ad esempio Tracfin e i Poli economici e finanziari) non sono stati dotati delle risorse umane e materiali indispensabili per la lotta alla criminalità finanziaria. [...]

Attac chiede perciò che si prendano misure concrete per:

Scheda2

Dove si trovano i paradisi fiscali?

Gli elenchi ufficiali sono instabili e incompleti. Preferiamo fornire l’elenco stabilito da Jean Maillard nel suo libro Un monde sans loi (Stock, 1998):

Antille: Bermuda, Bahamas, isole Turks e Caicos, Repubblica Dominicana, Isole Vergini britanniche e statunitensi, Saint Kitts e Nevis, Anguilla, Antigua e Barbuda, Montserrat, Barbados, St Vincent e Grenadine, Cayman, Giamaica, Aruba, Antille olandesi, Grenada.

America latina: Belize, El Salvador, Costa Rica, Panama.

America del Sud: Uruguay, Paraguay.

Africa: Gambia, Liberia.

Atlantico: Capoverde, Sant’Elena, Madera.

Pacifico: Polinesia francese, Isole Pitcairn, Isole Cook, Arcipelago Tonga, Figi, Vanuatu, Samoa occidentali, Nauru, Isole Marshall.

Asia: Labuan, Filippine, Hainan, Hong Kong, Singapore, Afghanistan, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Oman, Libano.

Oceano Indiano: Maldive, Seychelles, Mauritius.

Europa: Dublino, Jersey, Alderney, Sark, Andorra, Gibilterra, Ceuta, Isola di Man, Lussemburgo, Svizzera, Liechtenstein, Monaco, Vaticano, Malta, Cipro.

Michel Husson
?, novembre 2001
da "Bandiera Rossa News"