Un commento ai risultati elettorali del 3 novembre 2002

TURCHIA ALLA RICERCA DELLA PERDUTA STABILITA'

"Ci siamo suicidati": il commento del Primo ministro uscente, Bülent Ecevit, potrebbe benissimo riassumere la situazione all'indomani delle elezioni anticipate del 3 novembre. Quel giorno tutti i partiti presenti in parlamento, nel loro complesso, sia di maggioranza sia di opposizione, sono stati estromessi dal verdetto delle urne, in elezioni che, pure, avevano convocato proprio loro con due anni di anticipo, in tutta fretta, senza una vera discussione e in tono da spacconi, come cavalieri di altri tempi che si sfidino a singolar tenzone

Sconfessione della classe politica

Bulent EcevitEcevit sosteneva che il suo partito sarebbe riuscito ad avere la meglio se le elezioni si fossero svolte normalmente, dimostrando di non avere capito in sostanza che cosa gli stesse capitando. La cecita' politica di uno dei veterani tra i ledere tradizionali e' di per se' una dimostrazione patente del totale fallimento della classe politica turca. Come spiegare infatti diversamente che un partito che aveva vinto le elezioni nel 199 con il 22% si ritrova all'1,2%, perdendo piu' di 6 milioni di elettori nel giro di tre anni, mentre il secondo partner della sua coalizione scende dal 18% all'8,7% e il terzo dal 13% al 5%, e quindi perdendo tutti e tre insieme circa 12 milioni di elettori? Si puo' certamente richiamare il fatto che questa coalizione tripartita, perlomeno "eterogenea", tra una "sinistra" popilista e nazionalista (DSP), l'estrema destra nazionalista (MHP) e una destra liberista "filoeuropea", si trovava al posto di comando al momento della grave crisi economica del febbraio 2001, che aveva provocato il calo del 30% del PIL turco. Si puo' anche richiamare il fatto che aggrappandosi disperatamente al potere, questo Primo ministro parkinsoniano, precocemente invecchiato e seminfermo, aveva accelerato la propria fine provocando una scissione nel suo partito la primavera scorsa, perdendo meta' del gruppo parlamentare. che i due suoi soci al potere litigavano continuamente su tutto. che il governo non dirigeva piu' niente, perche' il feroce programma di austerita' dettato dal FMI gli aveva messo il coltello alla gola, ecc., ecc.
Come stupirsi quindi che tutto questo abbia portato a un tracollo politico del genere?.

Tansu CillerSi'. Ma allora come spiegare che i due principali partiti d'opposizione, il SP di Erbakan (il vecchio leader islamista tradizionale) e il DYP della signora Çiller (destra conservatrice, agraria e mafiosa), che avevano ottenuto rispettivamente il 15% e il 12% dei suffragi nel 1999, abbiano perso anche loro quasi 5 milioni di voti, complessivamente, ottenendo soltanto il 2,5% e il 9,5% il 3 novembre scorso? Come spiegare anche che il "Partito giovane" (GP), uno pseudopartito messo insieme due mesi prima delle elezioni da Cem Uzan, un "giovane proprietario di holding" alla testa di un impero di media e telecomunicazioni, insomma una specie di "Berlusconi turco" abbia ottenuto piu' del 7% dei voti per una lista elettorale composta esclusivamente di dirigenti e impiegati delle imprese Uzan, il tutto con un discorso populista-nazionalista, la cui demagogia semplicistica "antitrust" e "antimperialista" potrebbe lasciare sognante piu' di un' organizzazione estremista in crisi di ispirazione?

"Totale rigetto" dei partiti tradizionali

Se non ci si sofferma su questo "totale rigetto" della classe politica uscente, sarebbe del tutto illusorio cercare di capire e spiegare il successo dell'AKP di Tayyip Erdogan. (Partito della Giustizia e dello Sviluppo. La sigla del partito ha anche un senso politico in se', dal momento che i dirigenti la pronunciano "AK Partito" (e non A.K.P), perche' "ak" in turco significa sia "bianco" (quindi "pulito", "non corrotto"), sia "chiaro" (cioe' l'inverso di "oscuro", mentre i laici li accusano di essere "oscurantisti").

Tutte le analisi astratte che si possono fare sulla "natura di questo partito" e qualsiasi elucubrazione sulle sue "reali intenzioni" e su quel che fara' il suo governo rischiano di girare a vuoto se non le si riporta nel quadro del processo politico in atto.

Innanzitutto, sarebbe utile ricordare la crisi cronica e l'instabilita' del sistema politico turco dalla fine degli anni Ottanta (dominati dall'ANAP di Turgut Özal). Quanto al decennio successivo, esso e' stato contrassegnato dalle rivalita' e dalle dispute tra capi dei partiti tradizionali, divisi in quattro squadre rivali: l'ANAP e il DYP a destra, il CHP e il DSP a sinistra. La progressiva erosione di questi partiti, che si paralizzavano a vicenda, ha consentito la crescita del movimento islamista tradizionale raccolto intorno a Erbakan, poi dell'estrema destra nazionalista del MHP. Negli ultimi 15 anni, tutti questi partiti si sono variamente succeduti al potere, dando vita a coalizioni sbilenche ed eteroclite, clientelari, populiste e corrotte. Tutto questo ha portato all'esplosione sempre piu' marcata del mondo politico, con ulteriori scissioni, totale perdita di credibilita' dei leader e dei partiti, spoliticizzazione crescente, predominioa della burocrazia (specie militare) sulla gestione degli affari piu' importanti, sperperi, sprechi e saccheggi vergognosi, con la conseguenza che si e' ingenerato al tempo stesso un cupo pessimismo in tutti gli strati e le classi sociali (borghesia inclusa), ma anche una profonda frustrazione e una rabbia nei confronti sia dell'apparato statale (specie dopo il terremoto del 1999) sia contro i politici, che hanno raggiunto l' apice al momento della crisi economica del 2001.

Basta dare un'occhiata ai risultati delle ultime 5 elezioni politiche per rendersi conto di uno sviluppo del genere. 5 partiti diversi hanno vinto queste elezioni, con ogni volta un partito diverso in seconda posizione. 1987: primo ANAP (36%) e secondo CHP (25%); 1991: DIP (27%) e ANAP (24%); 1995: RP (21%) e alla pari (19%) DYP e ANAP; 1999: 22% e 18% per il tandem vincente DSP/MHP; 2002: AKP (34%) e CHP (19%). Dietro quest'apparente mancanza di coerenza si nasconde malgrado tutto una logica implacabile: "punire" i partiti al potere e sostituirli con ogni alternativa possibile e immaginabile.

Elementi di novita'

Pur rientrando in questa logica di "punizione/sostituzione", le elezioni del 3 novembre introducono in ogni caso un radicale cambiamento perlomeno in quattro sfere decisive, il che implica che questo nuova distribuzione dei suffragi potrebbe risultare il segno di una svolta radicale per il prossimo decennio.

  1. Fino alle ultime elezioni, infatti, l'equilibrio classico tra un 30-35% complessivo per la sinistra e un 65-70% per la destra sembrava essersi mantenuto, dando l'impressione (magari a torto, peraltro) che i vecchi schemi e le vecchie fedelta' politiche non avessero conosciuto grandi sviluppi di fondo. Oggi, il totale dei voti dei partiti di sinistra nel loro insieme raggiunge appena il 23%. In altri termini, il CHP di Baykal recupera solo a meta' dei 6,3 milioni di elettori persi dal DSP di Ecevit. Questo potrebbe essere il riflesso dei profondi mutamenti sociali dell'ultimo ventennio.
  2. Fino al 2002, il risultato dei due primi partiti era in calo costante rispetto a quello dei vincitori delle elezioni precedenti, segnando un voto di sfiducia e di reazione piu' che non di adesione e di fiducia nei nuovi partiti. Oggi, se il risultato del CHP puo' essere analizzato in questo quadro (malgrado un progresso dell'11% ha un risultato inferiore a quello del DSP nel 1999), non altrettanto vale per l'AKP di Erdogan, che ottiene non solo il voto piu' alto che abbia mai ottenuto un partito qualsiasi dal 1987, ma anche un risultato che va ben oltre il record assoluto della famiglia da cui e' emerso. Si tratta quindi, questa volta, di un voto di "fiducia e di speranza", anche se non ancora di "adesione" vera e propria.
  3. Dal 1987, nessun partito era riuscito a ottenere la maggioranza assoluta e a governare da solo. E' ora il caso dell'AKP, che puo' quasi disporre della maggioranza dei due terzi che gli consente di potere eventualmente cambiare la Costituzione (tramite l'appoggio di 4 dei 9 deputati indipendenti, tutti di varia destra). Si tratta di una vera e propria "rivoluzione" in seno al mondo politico turco, e questo spiega il grido di gioia della borghesia e dei media, entusiasti di avere questa occasione per ritrovare finalmente la stabilita' persa dopo la morte di Özal.
  4. Per la prima volta, oltre la meta' dell'elettorato non e' rappresentato in parlamento: a causa dello sbarramento nazionale del 10%, solo l'AKP e il CHP hanno eletti, con il 54% in due (+ l'1% degli eletti indipendenti). Il 45% degli elettori sono percio' ufficialmente esclusi dal gioco parlamentare. Se pero' si tiene conto del saggio di astensionismo record (21%) e del 2% delle schede bianche e nulle, i 17 milioni di elettori dell' AKP e del CHP rappresentano solo il 41% dei 41,4 milioni di elettori aventi diritto al voto. Con un terzo dei suffragi espresso (e appena un quarto dei voti degli iscritti alle liste), l'AKP dispone in parlamento di una maggioranza sproporzionata che raggiunge i due terzi.

In questo momento l'AKP approfitta di uno "stato di grazia" ed ha l'appoggio sorprendentemente unanime dell'opinione pubblica e dei media. Anche il CHP si mostra conciliante, per non rovinare la luna di miele (appena perturbata dalle lamentele di un'esigua minoranza di "kemalisti laicizzanti", la cui credibilita' e' indebolita dalla loro ridicola arroganza e dal loro autoritarismo antidemocratico). Ma la situazione potrebbe rapidamente mutare di segno di fronte a una minima crisi economica o politica, o anche al piu' piccolo slittamento "islamista" dell'AKP. Insomma, cio' che oggi ne fa la forza, cioe' la completa egemonia in parlamento in un paese asssetato di stabilita' politica e di riforme, potrebbe benissimo trasformarsi domani nella sua principale debolezza e approdare a una completa rimessa in discussione della sua legittimita' democratica

L'AKP di fronte a un'occasione storica

Data questa serie di elementi, oggi l'AKP ha l'occasione storica di installarsi stabilmente al centro della vita politica turca. Riuscire o fallire dipende soltanto da lui.

Nato tre anni fa come scissione del partito islamista classico, l'AKP si presenta ora come un partito "conservatore-democratico", un partito "moderno" e gestore abile del capitalismo mondializzato, ma con riferimenti conservatori musulmani. I fondatori dell'AKP vogliono insomma diventare una sorta di partito "musulman-democratico" della Turchia, sul modello dei partiti cristiano-democratici dell'Europa occidentale. Se e' evidente che una analogia del genere ha dei limiti, e' altrettanto evidente che oggettivamente l'AKP non puo' essere assolutamente definito un partito islamista classico e meno ancora integralista.

Si tratta di un partito con base borghese, fortemente radicato nella media borghesia conservatrice musulmana dell'Anatolia Centrale, che in precedenza rappresentava la clientela classica del movimento islamista, ma che ormai aspira ad allargare i propri orizzonti. Con il sostegno attuale della grande borghesia laica di Istanbul, l'Akp sta di nuovo riunificando il complesso degli strati della borghesia turca, divisi dalla fine degli anni Sessanta.

Grazie alle attuali sua apertura europea e duttilita' ideologica, l'AKP sembrerebbe attrarre anche, oltre all'intellighentsia conservatrice, alcuni intellettuali liberali spinti a farla finita con il conservatorismo paternalistico e autoritario del kemalismo.

Supplendo alle carenze della sinistra, l'AKP si presenta anche come "il partito dei poveri e dei diseredati", che portera' finalmente la "giustizia" , onesto, affidabile e non corrotto. Ha saputo cosi' conquistarsi un appoggio popolare molto vasto, che va dagli strati emarginati delle periferie delle grandi citta' come Istanbul fino a quelli dei contadini poveri dell'Anatolia, passando per una parte dei kurdi della parte orientale del paese. In breve, si tratta di grande partito di massa interclassista in gestaazione, con tutti i vantaggi (massiccia forza) e le fragilita' (lacerazioni interne) che questo comporta.

L'AKP si basa su un'ossatura di quadri politici che militano insieme da quasi 35 anni e che hanno gli stessi referenti politici: Erdogan, Gül e i loro amici appartengono quasi tutti alla stessa generazione (quella dei cinquantenni) e hanno cominciato a militare insieme alla fine degli anni Sessanta nelle organizzazioni giovanili del partito islamista di Erbakan, hanno fatto le stesse esperienze, condiviso gli stessi effimeri successi, le stesse sconfitte, ma hanno anche una comune esperienza di "gestione degli affari", sia al livello dei principali comuni del paese (tra cui Istanbul, un'enorme citta' di 10 milioni di abitanti), sia a quello del governo (al momento della coalizione Erbakan-Çiller, tra il 1995 e il 1997).

La loro rottura con la vecchia guardia islamica di Erbakan non e' soltanto una polemica generazionale, ma e' legata a questa esperienza del potere.

Erdogan e i suoi amici hanno ricavato appieno gli insegnamenti dell' insuccesso del loro capo storico e del suo governo di coalizione di fronte all'esercito e all'opinione pubblica nel 1995-1997. Oggi, per giunta, l'AKP non si limita a un nucleo di vecchi "innovatori islamisti moderati": il partito raccoglie a vasto raggio ed e' riuscito a conquistare una serie di quadri importanti della destra tradizionale.

Il suo rapido nonche' massiccio successo ne fa un partito ancora eterogeneo, in piena gestazione e costruzione.

Ma per vincere la scommessa ha di fronte a se' un vero e proprio viale politico e dispone di non trascurabili margini di manovra, ben piu' importanti comunque di quelli dei suoi predecessori dell'ultimo decennio: i suoi principali rivali politici, partiti e dirigenti tradizionali di destra, sono entrati in una crisi profonda, , sono screditati, divisi e soprattutto tagliati fuori dal gioco politico, mentre la sinistra attraversa anch'essa una crisi monumentale, di cui non sembra aver colto ancora tutta la catastrofica portata

Fallimenti a sinistra

Effettivamente, e' sintomatico vedere che ne' la sinistra socialdemocratica ne' l'estrema sinistra sono state in grado di intercettare uno malcontento popolare cosi enorme e di condurre una vera e propria battaglia per riuscire a rappresentare l'alternativa sia alle forze nazionaliste al potere sia all' AKP.

Il 19% del CHP non deve creare illusioni.

La direzione di destra di questo partito e' sempre stata piu' preoccupata di rassicurare la borghesia che di essere portavoce delle rivendicazioni sociali.

Se in futuro si limitera' a questo, senza attaccare l'AKP se non su questioni formali di laicismo e continuando ad apparire come un'appendice della burocrazia illuminata e dei militari, non ha alcuna speranza di potere approfittare delle debolezze del governo ed e' l'estrema destra nazionalista che rischia di ridiventare l'alternativa all'AKP agli occhi delle masse popolari.

Ufuk UrasQuanto all'estrema sinistra, e' semplicemente fallita, cedendo ancora una volta ai suoi vecchi demoni settari. Il bilancio che ricava il compagno Ufuk Uras, presidente dell'ÖDP, dalla sconfitta del suo partito e' severo quanto lucido e motivato. Paralizzato da tre anni dalle polemiche interne di uomini d'apparato autoritari, demoralizzato dalle divisioni e da dibattiti sganciati dalla realta', l'ÖDP alla fine e' esploso in vari pezzi settari e gruppuscolari, perdendo la sua credibilita' e forza d'attrazione, deludendo la speranza suscitata dal suo iniziale progetto pluralista. Un rinnovamento radicale e' dunque indispensabile. Ma chi lo fara', visto che la maggior parte dei dirigenti che hanno portato i tanti gruppi dell'estrema sinistra turca alla terza sconfitta consecutiva in 35 anni (questa volta senza neanche la scusa della repressione!) sono ancora in carica e non sembrano neppure consapevoli della gravita' della situazione, e preferiscono vivacchiare alla testa dei loro gruppetti, con l'aureola delle loro leggende di "patriarchi marxisti" e di ex combattenti

Macerie del neoliberismo

In queste condizioni di vuoto politico sia a sinistra sia a destra, se l'AKP riuscisse anche solo minimamente a migliorare la situazione in un settore qualsiasi che tocchi comunque la popolazione, potrebbe anche avanzare ancora notevolmente in voti alle prossime elezioni, guadagnando tanto a destra che a sinistra. Insomma, anche senza fare miracoli, gli basterebbe non fare errori troppo grossi, non "deludere immediatamente", non fallire subito come tutti i suoi predecessori, per ergersi a principale partito di massa della destra turca, come il Partito democratico(di Menderes, Primo ministro rovesciato dal colpo di Stato del 1960 e impiccato nel 1962) degli anni Cinquanta e il Partito della giustizia (AP di Demirel, rovesciato prima dal colpo di Stato del 1971, poi definitivamente sciolto dopo quello del 1980) degli anni Sessanta (entrambi con il 50% dei voti) a anche l'ANAP degli anni Ottanta (45% dei voti).

Il paese ha conosciuto una tale catastrofe economica appena un anno e mezzo fa, che il minimo miglioramento degli indici che stanno ora al livello piu' basso, il minimo balsamo sociale sulle piaghe aperte e purulente degli strati piu' poveri della societa', anche se si trattasse di qualche misera briciola, apparirebbero in se' come un "miracolo" e verrebbero accolti con riconoscenza dai piu' diseredati. Del resto, essendo gia' stato ingurgitato all'epoca della squadra uscente il grosso dell'amara pozione del FMI, i commentatori preannunciano un "meno peggio" che sara' visto inevitabilmente come un "leggero meglio" accreditato alla nuova squadra di governo. Non e' neppure escluso che, in confronto agli "ultra-neoliberisti" uscenti, il governo dell'AKP sia il piu' "sociale" degli ultimi vent'anni.

Lo sperpero burocratico, la corruzione e le rapine hanno recato enormi danni alle finanze pubbliche; la disorganizzazione dell'apparato statale ha raggiunto un livello inimmaginabile di disgregazione e inefficienza croniche; i quadri della pubblica amministrazione sono stati letteralmente schiacciati e demoralizzati dai metodi feudali e di parte delle coalizioni instabili che si sono succedute. Ogni minima nomina passava per difficili mercanteggiamenti tra i partiti della coalizione. I "poveri uomini d'affari" erano spesso costretti a triplicare i loro bilanci per le mance, perche' bisognava "oliare" gli ingranaggi burocratici in tre ministeri o amministrazioni distinte. per non parlare della perdita di tempo e del numero incalcolabile di pratiche urgenti in giacenza, tenute in "ostaggio".

Basterebbe allora una semplice "gestione meno cattiva" degli affari correnti, un semplice "miglioramento dell'efficienza amministrativa" perche' questo apparisse una vera rivoluzione. Questo potrebbe anche consentire di ricavare qualche economia di bilancio a modico prezzo, e sarebbe per i tempi che corrono una cosa non trascurabile: la quasi totalita' degli introiti fiscali ora servono solo a coprire gli interessi del debito (interno ed estero) e a pagare i salari di fame dei funzionari, senza che il potere politico abbia il minimo margine di manovra per condurre una qualche politica sociale o effettuare il minimo investimento.

L'AKP riuscira' a fare questo? Almeno per un periodo? Ce lo diranno i prossimi mesi. In ogni caso, i dirigenti sembrano consapevoli del problema (e delle possibilita' che si offrono loro) e dimostrano la volonta' di affrontarlo. Avranno capacita' e intelligenza politica? Sarebbe interessante citare a questo punto gli intenti avanzati dal nuovo Primo ministro "islamista retrogrado", Abdullah Gül, sul quotidiano Hürriyet (25 novembre 2002): "Quando ho assunto l'incarico, ero stupito di vedere in che stato fossero le cose. Persino la sede del nostro partito e' piu' moderna dell' ufficio del Primo ministro.vi ho appena fatto installare il primo computer." . E' vero che Ecevit, il predecessore "laico, modernista e progressista" ci teneva assolutamente a battersi da solo corrispondenza e discorsi con la vecchia macchina da scrivere meccanica

Programma di modernizzazione della borghesia

Il nuovo governo ha del resto annunciato un ampio programma di riforme democratiche e antiburocratiche, nonche' di ristrutturazioni economiche e sociali, allo scopo di adeguare la Turchia alle "norme dell'UE", per avviare quanto prima i negoziati per l'adesione. L'insieme di questo progetto di ristrutturazione globale altro non e' se non il programma di modernizzazione predisposto dalla grande borghesia e di cui questa reclama insistentemente l 'attuazione da un bel pezzo. L'AKP avra' carta bianca e tutto l'appoggio necessario del padronato se vi si dedichera' effettivamente, come promette.

Naturalmente, un "migliore gestione amministrativa" non sara' sufficiente a risolvere seriamente tutti i problemi economici e sociali di un paese dell' ampiezza della Turchia. La storia recente dimostra che non ci sara' da contare troppo neppure sugli aiuti europei per superare le difficolta' del processo di adeguamento. Chiaramente, l'UE fara' per la Turchia ancora meno di quello che sta facendo per inserire i paesi dell'Europa Centro-Orientale: e questo non solo per ragioni di "taglio economico", di congiuntura mondiale e di volonta' imperialista, ma anche per profondo razzismo antiturco e ostracismo antimusulmano della classe politica europea (Vedrine, Schnidt e Delors non meno di VGE e Kohl), per non parlare dell'ostilita' o dell' indifferenza (nel migliore dei casi) dell'opinione pubblica, o della cerchia intellettuale della sinistra europea (si legga al riguardo Max Gallo!), poco incline alla simpatia per la sorte di questi paese "oppressore dei kurdi/massacratore degli americani/dittatura militare/ormai diventato quasi integralista.e del resto cosi' complicato, cosi' diverso e difficile da capire.". Eppure, la borghesia turca continua a puntare tutto sull' inserimento europeo. E' vero che non ha molte altre scelte allo stato attuale del mondo e della sua area geografica, visto che i due terzi del commercio turco si effettuano con l'UE, con l'unione doganale che rimonta al 1995.

Tramite le riforme, la borghesia turca spera di potere attrarre gli investimenti del capitale internazionale: facciamo notare che il tasso di capitale straniero nell'economia turca e' sorprendentemente debole per un paese industrializzato delle dimensioni della Turchia. Sicuramente, l' arcaismo dello Stato turco, la relativa debolezza della sua infrastruttura, il protezionismo in vigore fino alla fine degli anni Ottanta e l'instabilita ' politica degli anni Novanta sono la causa originaria di questa diffidenza del padronato europeo ed e' questo che il padronato turco intende cambiare tramite il suo progetto di riforme per l'inserimento europeo. Si ritiene ormai abbastanza forte (senza poter competere con il capitale europeo) da associarsi almeno ad esso a condizioni non troppo disastrose, disposto a cedergli con le privatizzazioni l'imponente apparato industriale del settore pubblico turco e a smantellare quel poco che resta, desueto e obsoleto, delle conquiste sociali dello 2stato-provvidenza". La borghesia aveva bisogno di un personale politico affidabile, devoto, munito di legittimazione popolare e di una base elettorale abbastanza forte per non dover arretrare di fronte a ogni minimo problema. L'AKP e' candidato a questo ruolo, sembra andar bene alla borghesia, che ha deciso di assumerlo in prova.

Non c'e' quindi da stupirsi, al contrario, se malgrado la su a immagine o il suo passato "islamista", l'AKP si sia fissato come priorita' il problema dell'inserimento europeo, promettendo innanzitutto di risolvere finalmente il problema di Cipro, nel quadro del progetto presentato dall'ONU, di risolvere alcuni problemi di "democratizzazione" e "smilitarizzazione" rimasti in sospeso da anni. La cocente sconfitta elettorale del nazionalismo di sinistra e di destra (DSP + MHP), sommata alla pressione della borghesia, creano un clima favorevole alle riforme, ma e' ancora presto per vedere fino a che punto si spingera' l'AKP.

Verso un islamismo adeguato alle "leggi del mercato"?

L'AKP e' atteso al varco anche sullo spinoso problema della laicita'. Per essere credibile su questo, non gli basta infatti inserire nelle sue liste elettorali 11 donne senza foulard ne' chador (una di esse e' diventata ministro del Turismo, mentre non c'era nessuna donna nel primo gabinetto di Ecevit!), ne' di offrire colazioni nei locali del partito a chi non pratica il digiuno durante il ramadan, e neppure offrire alcolici alla tavola del Primo ministro. Neppure il fatto che Erdogan abbia accolto l'invito a pranzo di Berlusconi in pieno ramadan e' bastato a togliere ogni dubbio, perche' la sua "trasformazione democratica" e' troppo recente e troppo celere per non apparire un po' sospetta.

Cosi' stando le cose, se l'ardente "rivoluzionario internazionalista" Cohn-Benditt ha potuto diventare un altrettanto ardente difensore del capitalismo mondializzato, se fervidi pensatori delle rivoluzione mondiale hanno potuto diventare posati senatori socialdemocratici e se un tenebroso militante ex-lambertista ha potuto diventare Primo ministro socialista di uno dei paesi del G7. perche' non riconoscere a Erdogan e soci la stessa capacita' di adeguamento alle "leggi del mercato" e ai vantaggi del potere? Cetrto non c'e' da aspettarsi che la direzione dell'AKP commetta a breve termine errori clamorosi o provocazioni grossolane nel campo della laicita'.

Ne va del successo dell'insieme del progetto. Non bisogna neppure aspettarsi entro breve una tensione fra il governo e "l'esercito garante dei principi kemalisti e della laicita'". Anche se l'esercito diffida di Erdogan e fara' di tutto per non perdere la propria influenza politica diretta e i suoi vantaggi di casta burocratica privilegiata e "illuminata", e' oggi troppo legato alla grande borghesia per contrastarne troppo apertamente i progetti (OYAK, la holding che gestisce i fondi pensione dell'esercito, e' oggi uno dei piu' potenti gruppi capitalistici del paese!). A meno quindi di uno scivolone incontrollato da una parte o dall'altra, o di un effettivo disaccordo su concreti problemi di politica estera o di politica militare, l 'esercito non avra' voglia di dare l'impressione di non rispettare il verdetto delle urne.

D'altro canto, non va dimenticato che il laicismo in Turchia e' un laicismo giacobino, un po' alla francese. Ed e' soprattutto questo modello troppo "rigido" che l'AKP pretende di discutere, non il principio di laicismo in se '. Non dispera percio' di convincere prima o poi l'esercito e la grande borghesia a instaurare un laicismo "alla tedesca" o "all'inglese", un regime cioe' molto conservatore sul piano morale, in cui alla religione si dia maggior rilievo nello spazio pubblico, con un accresciuto controllo delle comunita' religiose sul loro gregge.

Oggi dunque l'ossessione vera non e' un "pericolo di integralismo" a breve termine, ma che questo partito si insedi durevolmente al potere come uno stabile polo borghese e filoimperialista. In altri termini, quello di avere un ordine morale e un migliore incanalamento delle masse entro un quadro di democrazia parlamentare, a maggior gloria del capitalismo globalizzato: un capitalismo dal volto sorridente sotto un vezzoso I Christian Dior, masse devote, sfruttate e felici di esserlo. e whisky a gogo nei nights-clubs per gli altri.: la nuova "sintesi turca", il sogno del "borghese moderno"! Il guaio e' che, allo stato attuale delle cose, si e' ben lontani dalla certezza che il socialismo possa realmente diventare a breve termine l' alternativa a questo progetto di stabilizzazione borghese e di inserimento europeo. Uno sconquasso e un arretramento economico catastrofici, l'ascesa di un movimento di massa apertamente fascista o integralista, oppure l' emergere di una dittatura militare piuttosto feroce e di una guerra civile caotica sembrano essere eventualita' piu' serie.

Ragione di piu' per affrettarsi a costruire un vero e proprio polo di attrazione credibile a sinistra, realmente democratico e ancorato alla vita reale, piu' attento a progetti alternativi concreti che a discorsi astratti di un'epoca ormai andata. Come il compagno Ufuk mette bene in risalto: "La sinistra e' in una fase di transizione. O si rinnova o si pietrifica.

Bisogna avere il coraggio di dire cha l'errore e' soprattutto nostro e non del popolo. Alla fin fine, e' una buona cosa che le lezioni imparate a memoria dalla sinistra siano fallite. (.) Oggi pero', il compito piu' rivoluzionario e' fare a pezzi le lezioni imparate a memoria e mettersi al centro della vita stessa. Se la sinistra ormai e' entrata in coma, non e' chi l'ha messa in queste condizioni che puo' tirarla fuori. Bisogna lasciare posto ai giovani".


Documentazione

Dichiarazione di Ufuk Uras (presidente dimissionario dell'ÖDP

«Le generazioni e le identita' politiche di prima del 1980 hanno cessato di essere le forze motrici della politica in Turchia» - dichiarazione di Ufuk Uras (Presidente dell'ÖDP (Partito della liberta' e della solidarieta'), con questa dichiarazione alla stampa ha annunciato le dimissioni dal suo incarico.

«I risultati elettorali ci mostrano in effetti quali compiti spettino alla sinistra: grosso modo, la politica, che vuol dire la sinistra, che vuol dire organizzare la vita. Ora, noi ci troviamo di fronte a una sinistra che pretende di essere portavoce della vita, ma che non esiste neanche lei. La sinistra ha il compito di organizzare i disoccupati, i diseredati e i lavoratori ed e' una lavoro che finora non e' riuscita a fare.

L'AKP confeziona un talismano per presentarlo alle masse come un rimedio. Ma il talismano di Erdogan e' quello stesso che ci ha fatto ammalare: reca il segno del FMI. La gente ha votato per l'AKP per dispetto e rabbia contro i partiti del centro e contro le forze centrifughe. Sono convinto che questa situazione strutturale potra' aprire la strada alla sinistra nella fase che viene. Purche' essa possa avere il coraggio di guardarsi allo specchio. E' chiaro che non siamo riusciti a ridare alla gente sufficiente fiducia. Ha preferito fare come se non ci fossimo.

Bisogna smetterla di nascondersi dietro pretesti e costruire una coscienza collettiva. Bisogna abbandonare il linguaggio e la cultura della sinistra, diciamo cosi' "tribunizia" consistente nel portare la coscienza dall' esterno, pretendendo di dire che cosa si deve fare e facendolo calare dall' alto. Al posto di questo, occorrerebbe creare la tribuna degli strati oppressi e sfruttati. Abbiamo visto bene come una politica sganciata dalla realta' sociale fosse condannata a putrefarsi. Bisogna che ci rendiamo conto che la rimonta politica ci sara' solo attraverso la ripresa della dinamica politica delle organizzazioni sociali.

Siamo di fronte al compito di costruire un'alternativa di sinistra, un asse di sinistra, un polo di attrazione di sinistra. Non serve a niente dire: "Il popolo non ci ha capito". La gente, nelle elezioni, si trova sempre di fronte a una scelta tra peste e colera e sceglie quello che le sembra il minor male e poi si ammala per questa scelta. Oggi, le generazioni di prima del 1980 e le identita' politiche che risalgono a quel periodo hanno cessato di essere le forze motrici della politica. Le formule dei partiti/ombrello che raccolgono tutti non hanno piu' senso. Bisogna ormai sostenere decisamente una politica che sia inequivocabilmente a favore delle liberta'.

La sinistra e' in una fase di transizione. O si rinnova o si pietrifica.

Bisogna avere il coraggio di dire cha l'errore e' soprattutto nostro e non del popolo. Alla fin fine, e' una buona cosa che le lezioni imparate a memoria dalla sinistra siano fallite. A chi vuole ancora mettersi a fare recitare a memoria queste lezioni io auguro buona fortuna. Oggi pero', il compito piu' rivoluzionario e' fare a pezzi le lezioni imparate a memoria e mettersi al centro della vita stessa. Se la sinistra ormai e' entrata in coma, non e' chi l'ha messa in queste condizioni che puo' tirarla fuori.

Bisogna lasciare posto ai giovani. Bisogna anche rinnovare l'ÖDP da cima a fondo. Ritengo che la simpatia personale che mi si dimostra cominci a diventare pero' anche un ostacolo. Per questo ho deciso di chiudere l' ombrello e di andare in pensione»

Lieve progresso dei nazionalisti kurdi

I nazionalisti kurdi si sono presentati con la sigla del DEHAP, che e' un partito "sostitutivo", in caso di scioglimento da parte della Corte costituzionale del Partito della democrazia popolare (HADEP, presieduto da Murat Bozlak). Le liste del DEHAP si presentavano come un "blocco", una alleanza all'ultimo minuto tra due piccole formazioni di estrema sinistra: l 'EMP (stalinista, ex filoalbanese) e il SDP (scissione recente dell'ÖDP intorno all'ex Kurtulus); il blocco era appoggiato dall'esterno da un altro gruppuscolo che ha rotto con l'ÖDP.

Il risultato del DEHAP (6,2% e 2 milioni di voti circa) rappresenta un reale progresso rispetto al 4,7% e 1,5 milioni di voti dell'HADEP nel 1999. Ma questo lieve progresso resta ben al di sotto del 10% che serve per essere rappresentati in parlamento. e comunque ben al di qua delle attese alimentate dai dirigenti nazionalisti kurdi, che pretendevano di andare oltre il 10% e "di essere addirittura in grado di arrivare al potere", come proclamava imprudentemente il presidente, Murat Bozlak. La distribuzione regionale dei voti del DEHAP conferma in effetti la debole avanzata dei nazionalisti kurdi al di la' dei loro feudi tradizionali della regione kurda (sud-est).

Il DEHAP ottiene certo risultati eccellenti nelle citta' in cui detiene i comuni gia' dal 1999, specie: a Jiyarbakir, dove avanza del 10%, ottenendo il 56%; 47% a barman; 46% a Sirnak: 45% a Hakkari; 40% a Van. Ma il risultato e' meno buono nelle citta' kurde piu' conservatrici come Urfa (19%) o Bingöl (22%), dove si lascia superara dall'AKP. A Gaziantep, la principale citta' industriale della regione, si piazza soltanto al terzo posto con l'8%, a notevole distanza dall'AKP (40%) e dal CHP (19%). In alcune citta' della costa come Adana e Mersin, con una fortissima emigrazione kurda di fresca data, il DEHAP ottiene un risultato intorno al 9%, superiore alla sua media nazionale, e tuttavia si tratta di un debole progresso (+2%) rispetto al 1999.

Nelle zone industriali della parte occidentale del paese, in cui pure esistono uno storico radicamento kurdo e una recente immigrazione, si colloca ancora una volta molto in basso, ottenendo ad esempio solo il 4% a Izmir e a Kocaeli. A Istanbul, dove "almeno" un quarto della popolazione (10 milioni di abitanti) sarebbe di origine kurda (e quindi la citta' del paese con il maggior numero di kurdi), il DEHAP, con i suoi 287.000 voti (4%) resta ben lontano dal milione di suffragi preannunciati dalla direzione, e avanza solo dello 0,6% rispetto al 1999. Ad Ankara, la capitale, il DEHAP raggiunge appena il 2%. Ovunque, altrove, la sua presenza resta pressoche' insignificante (sotto il 2%).

Eppure il contesto politico appariva di per se' piu' favorevole che mai a una piu' forte presenza elettorale: fine dei combattimenti nelle zone kurde ormai da tre anni, clima di distensione e di liberalizzazione sui principali "argomenti caldi" del problema kurdo (soppressione della pena di morte, primi passi per l'autorizzazione dell'insegnamento della lingua kurda e la diffusione di programmi televisivi in kurdo, ecc.), accesso ai media (televisione compresa), nessuna repressione a quel che sappiamo della campagna elettorale del DEHAP (come ammettono gli stessi dirigenti e dimostrano i comizi elettorali con varie centinaia di migliaia di persone a Istanbul e a Jiyarbakir), l'appoggio delle amministrazioni comunali della zona kurda da 3 anni in mano all'HADEP), rigetto delle politiche del governo e massiccio voto di protesta contro i partiti tradizionali in tutta la Turchia, ecc. Ma e' appunto sul piano politico che si sono manifestate soprattutto le debolezze ormai croniche della direzione del movimento nazionale kurdo.

Queste debolezze sono state clamorose senza dubbio proprio sul terreno della strategia politica e delle alleanze elettorali. Proclamando l'intenzione di entrare questa volta in parlamento superando lo sbarramento del 10% la direzione dell'HDEP si e' dapprima buttata a ricercare l'alleanza "giusta", che potesse superare il 10% garantendogli cosi' il maggior numero possibile di seggi pescando su un'area larga, senza preoccuparsi troppo della precisa appartenenza politica politico dell'eventuale partner: socialdemocrazia di destra o di sinistra, destra liberista e addirittura islamista pura e dura.

Se l'obiettivo era "stare a ogni costo in parlamento", nulla impediva all' HADEP di presentare una serie di candidati indipendenti nei suoi bastioni regionali, con altissime probabilita' di farne eleggere quasi una ventina, grazie alla sua schiacciante egemonia in alcune citta' ( i 9 deputati indipendenti di varie destre sono stati eletti in citta' della regione kurda). Ma l'HADEP ha poi cambiato improvvisamente cambiato rotta, dando quasi l'impressione, questa volta, che non considerava piu' che la sua presenza in parlamento fosse opportuna, data l'attuale congiuntura politica nazionale e internazionale.

In effetti, con le elezioni l'HADEP aveva agli inizi promosso un processo di fusione con il SHP (una delle frange principali della socialdemocrazia turca, che ha lasciato di recente il CHP), per non apparire piu' come un partito "etnico" e "regionale". Poi, rinunciando al progetto, ha avviato una serie di contatti per realizzare un'alleanza elettorale organica con il CHP, quindi con l'ANAP e alla fine con gli islamisti tradizionali del SP di Erbakan. Le trattative per una lista comune con gli islamisti alla fine sono fallite per polemiche sul numero dei seggi da dividere.

Il DEHAP si e' allora dichiarato a favore di un "blocco di sinistra" con il SHP e l' ÖDP. Anche qui, trattative molto spinte, susseguitesi nei corridoi (senza la minima trasparenza da entrambe le parti sugli stessi obiettivi politici del progetto di alleanza), alla fine sono abortite all'ultimo momento dell'ultimo giorno prima della scadenza ufficiale della consegna delle liste. Quanto al "blocco sostitutivo" HADEP + Emep + SDP, messo insieme all'ultimo momento e sempre attraverso una procedura politica completamente oscura, il minimo che si possa dire e' che mancava di "chiarezza politica": ad esempio, mentre Murat Bozlak si pronunciava a favore dell'intervento americano in Iraq e dell'ingresso della Turchia nell' EU, i suoi compagni di squadra dell'estrema sinistra turca fustigavano la "guerra imperialista" e si opponevano ferocemente all'UE! In un articolo pubblicato nel quotidiano Radikal (24 novembre 2002) e presentato dall'autore come "uno sguardo dall'interno a fini analitici e non di denigrazione", Faik Bulut, celebre ricercatore e scrittore di origine kurda, lamenta che il DEHAP "si sia limitato semplicemente a martellare sull 'identita' kurda, senza sviluppare il minimo progetto concreto di soluzione e senza farsi portavoce delle rivendicazioni socio-economiche della popolazione", con un'enfasi regionalistica, anche nelle grandi citta' della parte ovest del paese.

Bulut segnala che e' in corso un dibattito interno in seno al movimento kurdo per ricavare un bilancio dall'insuccesso elettorale e precisa che in una serie di riunioni interne, dalla base al vertice, l'accento viene posto soprattutto sulla necessita' di rinunciare "al discorso etnico e al nazionalismo originario (kurdi) che non portano da nessuna parte" e di dare vita a "un nuovo programma e a nuovi quadri per trasformarsi in un partito dell'intera Turchia", per essere in grado "di affrontare tutti i problemi cronici del paese, inclusa la questione kurda, unicamente sulla base di progetti concreti".

Ricordando che l'atteggiamento dell'HADEP e' il prodotto socio-politico di una "guerra di bassa intensita'" durata 15 anni all'interno del paese, Faik Bulut ritiene che sia ora che si trasformi. Sottolineando il fatto che "la formazione interna e il reclutamento avvengono esclusivamente in base alla fedelta' al nucleo dirigente centrale", Bulut denuncia inoltre la cronica assenza di democrazia interna, la diffidenza verso gli intellettuali, le manipolazioni grossolane, l'assenza di coerenza politica, gli "interventi sottobanco di alcune forze occulte", nonche' un certo tono di ricatto alla violenza dominante nella dipendenza kurda: "E' chiaro che serve un cambiamento radicale di mentalita' e ideologia. (.) E' evidente che non si possono liberare gli individui e approdare alla democrazia ricorrendo a procedimenti che fanno appello alla lealta', fedelta' e al culto. Se vogliamo creare il nostro paradiso, quello degli uni e degli altri, dobbiamo parlare ai vivi e non ai morti, con la lingua dei vivi e non con quella dei morti".

Yeter Dursun
(Giornalista indipendente di Istanbul)
Istanbul, 25 novembre 2002
riferimento