L'attacco all'Iraq fa saltare l'equilibrio nato dalla seconda guerra mondiale

Che ne sarà dell'Europa?

Francia e Germania rinsaldano l'alleanza,
Blair rimane prigioniero degli Usa,
Berlusconi resta nella terra di nessuno.
La socialdemocrazia pensa alla riscossa e punta sul movimento per la pace.
Che però...

La prima pagina del The Sun di sabato scorso è un programma di guerra, con la faccia di Chirac accanto a quella di Saddam Hussein e con questo sommario: «Uno è un politico corrotto, nemico della pace e una minaccia dell'ordine internazionale. L'altro è Saddam Hussein». Tanto per rincarare la dose, il quotidiano di proprietà di Rupert Murdoch - tra i grandi elettori di Tony Blair - pubblica nelle pagine interne una sequenza fotografica in cui il volto del presidente francese, a cui piano piano crescono baffi e capelli, si trasfigura in quello del dittatore iracheno. La citazione è piuttosto indicativa dello stato dei rapporti internazionali e della tensione che attraversa la "vecchia Europa".

Comunque vada a finire la guerra all'Iraq ha già raggiunto un risultato: la rottura del già fragile equilibrio europeo e la fine dello schema sancito dalla seconda guerra mondiale. Dopo questa crisi, ammesso che si possa parlare di un dopo, l'Unione europea avrà molti cocci da ricomporre, anche perché, contestualmente, i vari schieramenti hanno approfittato della crisi per consolidarsi in vista di un "dopo" che in qualche modo andrà governato.

La "vecchia"...

L'asse franco-tedesco si è riposizionato come l'unico baricentro credibile di una possibile unità europea. Dopo aver guidato la formazione della moneta unica e aver gestito il massacrante patto di Maastricht, Parigi e Berlino hanno gettato - già lo scorso gennaio in occasione del 40° anniversario del trattato di amicizia tra i due popoli - le basi per un'intesa ancora più duratura, soprattutto sul fronte istituzionale. E' franco tedesca, infatti, l'unica proposta di "architettura istituzionale" finora avanzata alla Convenzione di Giscard d'Estaing - la doppia presidenza europea, Unione più Commissione - così come è loro l'iniziativa in seno ai sei paesi fondatori dell'Unione (Francia, Germania, Italia e Benelux) a cui, faticosamente, cerca di rimanere agganciato il ministro degli Esteri italiano, Frattini.

Il fronte comune all'Onu, i ripetuti vertici, il rapporto ostentato con la Russia, la plateale contestazione della leadeship Usa, non costituiscono solo il tentativo di evitare una guerra "antieuropea", ma anche la prefigurazione di un equilibrio futuro, di un asse di contenimento all'offensiva nordamericana e alla sua evidente pretesa di guidare l'equilibrio internazionale.

... e la "nuova" Europa

Sul fronte opposto le cose sono più complicate. Quello che fino a qualche mese fa costituiva l'asse alternativo a Francia e Germania, cioè Gran Bretagna, Spagna e Italia, sta subendo in queste settimane e in questi giorni numerosi contraccolpi. Se Aznar può vantare il risultato di essere stato ammesso nel "gotha" della politica internazionale (anche se al prezzo di una possibile sconfitta interna), sia Blair che Berlusconi hanno pressoché fallito la loro operazione. Il premier italiano, infatti, si era dato lo stesso obiettivo di Aznar, ma la forza della mobilitazione antiguerra e il ruolo della Chiesa lo hanno costretto a una "terra di nessuno" rimanendo tagliato fuori dal gioco politico internazionale. Per Blair, invece, si tratta di una sconfitta ancora più profonda. Chi conosce il premier inglese sa che il suo obiettivo storico è sempre stato quello di mantenere un rapporto privilegiato con gli Usa e, allo stesso tempo, di portare la Gran Bretagna dentro l'Unione monetaria europea, con lo scopo di diventarne un possibile leader in chiave filoamericana. Una scommessa, difficile, ma possibile -- in fondo, l'essenza della Terza via - che oggi sembra essersi volatilizzata. Un'Europa "filoUsa", infatti, dovrebbe passare per la sconfitta di Chirac e Schroeder, che invece vengono rafforzati dalla crisi (e dalla "vittoria" conseguita nel Consiglio di sicurezza) mentre sono gli stessi rapporti di Blair con gli Usa ad essersi incrinati. Ovviamente, Gb e Spagna utilizzeranno al massimo la loro alleanza con Bush per "regolare" i conti dopo la fine della guerra, ma la contesa rimane aperta.

L'ambizione socialista

E nella contesa c'è tutto il futuro e il destino di questa Unione europea, lenta ma inesorabile nel proprio divenire: stare dentro la globalizzazione capitalista garantendo i propri specifici interessi - che restano tantissimi, soprattutto in Francia e Germania - oppure accodarsi all'egemonia nordamericana. I "propri" interessi, oggi sono ben rappresentati dall'evoluzione della moneta unica che si va affermando sempre più come moneta di riferimento internazionale e che preoccupa non poco un dollaro in cerca di capitali per finanziare il debito Usa. Sul Corriere della Sera di ieri, Geminello Alvi scrive che comunque gli Stati Uniti restano «al centro del mondo», ma questa tesi non è la stessa di studiosi come Wallerstein che teorizzano, invece, il lento decadere dell'economia Usa compensato da un'iniziativa politico-militare senza precedenti.

In questa contesa c'è anche il ruolo della socialdemocrazia euopea. E' evidente che in Spagna o in Italia (in Francia l'ex "gauche plurielle" è stata cancellata dall'iniziativa di Chirac) i partiti dell'Internazionale socialista e il centrosinistra in generale, pensano di tornare al potere anche grazie alla forza del movimento per la pace. L'obiettivo si fonda sia sulla loro collocazione all'opposizione (cosa avrebbero fatto al governo?), ma anche sulla già sperimentata alleanza con quei settori della borghesia europea che privilegiano l'autonomia del Vecchio continente rispetto agli Usa (come nel caso del centrosinistra italiano, compreso lo stesso presidente della Repubblica, Ciampi).

Questa posizione, che vede la socialdemocrazia schierata nello stesso campo del movimento antiguerra, se ha un'utilità innegabile dal punto di vista della guerra all'Iraq, presenta però anche diverse insidie. Di fronte alla guerra nordamericana, le pressioni per accelerare il cammino dalla "vecchia" alla "nuova" Europa aumenteranno a dismisura, dove per nuova Europa si intende la retorica del Patto di Stabilità e l'idea della Convenzione come Carta costitutiva di un nuovo ordine liberista.

Si spiegano in questo senso i reiterati tentativi, ad esempio da parte dei Ds italiani, di espungere dal movimento per la pace qualsiasi riferimento antiliberista, quando invece è chiaro che il movimento nasce dentro la storia del movimento antiglobalizzazione e che la sua aspirazione di pace si accompagna alla domanda di una nuova civiltà e di un nuovo, possibile, mondo. Dalla richiesta di pace, quindi, dalla forza di questo movimento può derivare oggi una richiesta inderogabile: quella per un'altra Europa, sociale, democratica, antiguerra. Un'Europa alternativa all'ordine unilaterale degli Usa, differente da quella liberista di Chirac e che potrebbe identificarsi, nell'immediato, in una proposta emblematica: inserire nella Costituzione europea «il rifiuto della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali».

Salvatore Cannavò
Roma, 18 marzo 2003
da "Liberazione"