Nel maggio 2001, l'amministrazione Bush rese noto il suo piano
energetico nazionale.
Esso reclamava una maggiore diversificazione delle
risorse petrolifere americane, spostandosi dalla volatilità politica del
Golfo Persico verso la più amichevole Africa Sub Sahariana - in particolare
l'area del Golfo di Guinea.
L'arco che va dalla Costa d'Avorio nel
nordovest, fino alla costa occidentale del Sud Africa al sud, racchiude
depositi - per la maggior parte offshore - valutati intorno ai 20-30
miliardi di barili.
L'Africa occidentale provvede già alla copertura di
circa il 12% delle importazioni statunitensi di petrolio greggio, e il
National Intelligence Council americano prevede che, entro il 2015, questa
quota salirà al 25%.
L'interesse nei confronti del petrolio africano è ulteriormente
aumentato con la guerra guidata dagli Usa contro l'Iraq, in seguito ai
recenti scioperi dei lavoratori del petrolio venezuelani e alla luce dalla
potenziale instabilità politica dell'Arabia Saudita - fenomeni che
complessivamente sottolineano la vulnerabilità di un'America il cui vorace
appetito per il petrolio cresce costantemente.
Lo sviluppo petrolifero in
Africa occidentale offre molte attrattive, affermano gli esperti.
Le riserve
sono abbondanti, la qualità è alta e le rotte commerciali verso l'America
sono generalmente più brevi rispetto ad altre regioni.
L'Istituto per gli Studi Strategici e Politici Avanzati (Institute for
Advanced Strategic and Political Studies - IASPS), un gruppo di studio
conservatore con sede a Washington e Geresulamme, è stato in prima linea
nella ricerca sull'importanza strategica per l'America del petrolio
dell'Africa occidentale.
Nel gennaio dello scorso anno, lo IASPS ha
organizzato un simposio ad Houston, Texas, a cui hanno partecipato
rappresentanti del governo e dell'industria petrolifera.
Nel corso del
simposio è emersa la posizione di un influente gruppo di lavoro, denominato
Gruppo di Iniziativa per il Petrolio Africano (African Oil Policy Initiative
Group - AOPIG), co-presieduto dai ricercatori dello IASPS Barry Schutz e
Paul Michael Wihbey, principale artefice dell'attenzione del governo
americano nei confronti del petrolio dell'Africa occidentale.
Secondo il
documento diffuso alla conclusione del simposio dal AOPIG: "Il petrolio
africano non è un fine, ma un mezzo utile tanto alla maggiore sicurezza
energetica statunitense, quanto allo sviluppo più rapido dell'economia
africana".
Mentre la missione del AOPIG può suonare come nobile, il suo
significato risulta vuoto di fronte al disonorevole comportamento americano
al Summit Mondiale per lo Sviluppo Sostenibile tenutosi a Johannesburg lo
scorso anno, al quale Colin Powell partecipò per appena ventiquattro ore.
La
sincerità dell'impegno del governo americano per lo sviluppo del continente
deve essere valutata alla luce di questo disinteresse.
Anche i progetti petroliferi possono difficilmente essere visti come
esempio di un positivo sviluppo in Africa.
La Nigeria, il maggior produttore
ed esportatore di petrolio africano, esporta petrolio per milioni di dollari
all'anno: oltre 300 miliardi di dollari sono stati estratti dal delta del
Niger negli ultimi quarant'anni, e la popolazione vive in condizioni di
terribele povertà.
Secondo le Nazioni Unite, il 70% della popolazione
nigeriana vive con meno di un dollaro al giorno, e il quinto più povero
della popolazione riceve appena il 4% della ricchezza nazionale.
La
percentuale di persone che vivono in condizioni di povertà è più che
duplicata dal 1980, nonostante il governo raccolga una cifra stimata in 14
miliardi di dollari dalla vendita del petrolio, secondo i Servizi di
Assistenza Cattolici.
L'impoverimento delle nazioni ricche di petrolio del Medio Oriente e
dell'Africa Occidentale rappresentano un chiaro monito del fatto che i soldi
del petrolio non finiscono laddove ce ne sarebbe maggior bisogno - qualcosa
che i proponenti dello sviluppo africano dovrebbero tenere a mente quando
decidessero di saltare nel letto con i dirigenti petroliferi americani.
Non
è una coincidenza che di nazione in nazione le inaspettate fortune derivanti
dal petrolio siano state indebitamente occupate o gestite in maniera
inadeguata, la spesa pubblica vertiginosamente cresciuta a livelli
insostenibili, le industrie morte una dopo l'altra, i conflitti civili
cresciuti e la povertà aggravatasi.
"Non abbiamo un solo esempio di
risultati positivi prodotti nel lungo termine dal petrolio nei paesi in via
di sviluppo", afferma lo scienziato politico della Stanford University Terry
Lynn Karl.
L'Africa non rappresenta certo l'eccezione alla regola.
Il progetto africano più ambizioso nella prospettiva dello sviluppo,
un oleodotto di 1040 Km, per un costo di 4,3 miliardi di dollari, tra Ciad e
Camerun, è stato criticato per rappresentare un danno agli interessi dei
poveri.
Questo progetto, che fornirà un guadagno valutato in 4,6 miliardi di
dollari per il gigante petrolifero Americano Exxon, è stato attaccato da
gruppi ambientalisti e impegnati nelle tematiche dei diritti umani.
L'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu ha affermato: "Il progetto
Ciad-Camerun non è il tipo di aiuto di cui abbiamo bisogno o che abbiamo
richiesto.
In una condizione di assenza di cornici legali riconosciute e del
rispetto dei diritti umani e delle garanzie di protezione ambientale, la
decisione di finanziare lo sviluppo petrolifero su larga scala sta
distruggendo l'ambiente e noi stessi".
Alcuni esperti ritengono che il miglior metodo per migliorare le
condizioni è quello di obbligare le compagnie petrolifere a riferire
pubblicamente i pagamenti effettuati verso i governi ospitanti nei territori
in cui essi si apprestano ad operare.
Senza quella informazione, è
praticamente impossibile per i cittadini ritenere i propri leader
responsabili della fuga in conti offshore dei pagamenti derivanti dal
petrolio.
Alla luce dell'importanza strategica dell'Africa occidentale per
il continente intero, in quanto alleato tattico del Presidente Mbeki, in
special modo nella New Partnership for Africa's Development (Nepad) dalla
quale molto della prosperità del continente dipende, tale trasparenza
diventa vitale.
La possibilità di una accresciuta responsabilità da parte delle
compagnie petrolifere è destinato a rimanere un obiettivo irraggiungibile,
sfortunatamente.
"La politica petrolifera dell'amministrazione Bush per
quanto riguarda l'Africa ha la tendenza a mostrarsi riluttante nel fare
pressione nei confronti delle compagnie statunitensi affinché rivelino
pubblicamente i loro pagamenti", afferma l'economista americano George
Ayuttey, specialista dello sviluppo africano.
"Ma le dinamiche politiche
mondiali sono cambiate così profondamente che non si possono semplicemente
chiudere gli occhi di fronte agli accordi che intercorrono tra le compagnie
africane e i regimi africani corrotti", aggiunge.
Sfortunatamente, il regime
americano lo ha già fatto, e le compagnie petrolifere sono riuscite a minare
ogni forma di potenziamento e sviluppo nei paesi in cui operano.
Negli anni Novanta, il governo nigeriano giustiziò Ken Saro-Wiwa,
leader della popolazione Ogoni, insieme a sette altri attivisti.
Il fratello
di Saro-Wiwa rivelò che la Shell Oil, che controlla il 50% delle operazioni
petrolifere nel delta del Niger, si offrì di bloccare i lavori se Ken
Saro-Wiwa avesse accettato di arrestare le proteste della popolazione Ogoni
nei confronti della Shell.
Le testimonianze provenienti dalla regione
raccontano di legioni delle compagnie petrolifere, Shell e Chevron, che
ingaggiano mercenari o soldati per assassinare oppositori politici o
attiviti locali.
Molte azioni di protesta nel delta del Niger sono state guidate da
donne, le quali hanno ottenuto alcuni successi nello strappare concessioni
dalle compagnie petrolifere.
Nel luglio del 2002, in seguito ad una serie di
occupazioni da parte di donne di etnia Ijaw, la Chevron ha promesso di
costruire scuole e assumere manodopera locale.
Una occupazione simile
all'inizio di agosto venne fatta per invitare la Chevron a fermare le
emissioni di gas (causa di gravi inquinamenti dell'aria nella regione).
I
manifestanti sono stati attaccati dalla polizia e da soldati richiamati
dalla Chevron, alcuni sono stati uccisi.
La formazione di George W. Bush come dirigente petrolifero può, in
parte, spiegare il suo atteggiamento indifferente di fronte agli effetti
dannosi dei progetti petroliferi sulle comunità indigene, sull'ambiente e
sulle possibilità di sviluppo.
A dispetto delle critiche nei confronti dei
regimi repressivi del Medio Oriente, la sua ricerca di più sicure fonti di
petrolio lo sta conducendo alla soglia di alcuni dei più turbolenti e
repressivi regimi del mondo - un fatto che il governo americano non
considera problematico.
Gli analisti e gli attivisti legati ai fenomeni petroliferi temono che l'amministrazione Bush possa ripetere gli errori del passato, quando gli Usa tollerarono pratiche condannabili da parte dei governi di paesi produttori per procedere nella loro Guerra Fredda e proteggere i loro interessi di sicurezza energetica.
I potenziali scenari di conflitto includono anche la Guinea
Equatoriale, il terzo produttore continentale dopo Nigeria e Angola.
A
seguito della scoperta delle riserve petrolifere lungo l'esile costa nel
1994, gli Usa riaprirono la loro ambasciata.
L'amministrazione Bush ha
sviluppato strette relazioni con il dittatore di questo paese, Brigadiere
Generale Teodoro Obiang - un uom oche il libro dei fatti della Cia descive
come un "leader spietato".
Un altro scenario caldo è l'Angola, dove il petrolio ha finanziato tre
decenni di guerra civile e dove miliardi di petroldollari sono depositati in
conti offshore.
Altri produttori di petrolio africano con documentati
episodi di corruzione governativa, frodi elettorali, scorrettezze nella
gestione finanziaria e abusi nei confronti dei diritti umani sono il Ciad,
il Camerun e la Repubblica Democratica del Congo.
Il principale attore sul teatro della produzione petrolifera
dell'Africa occidentale è la Nigeria, governata da dittature militari per
buona parte della sua esistenza dalla conquista dell'indipendenza.
Negli
anni Novanta il brutale dittatore Sani Abacha ha presieduto un regime di
estrema brutalità e corruzione.
Non c'è bisogno di dirlo, la richiesta di
investimenti in petrolio ebbe ben pochi problemi con la dittatura militare
nigeriana, fin tanto che il petrolio continuava a sgorgare.
L'attuale governo del Presidente Olusegun Obasanjo (la cui recente
ri-elezione è stata oggetto di accuse di frodi elettorali) ha mostrato una
grande volontà nel seguire le direttive di Washington circa gli affari nella
regione.
Sebbene Obasanjo sia un civile, va ricordato che egli ha governato
i paese come ditattore miliatre negli anni Settanta, con un regime
caratterizzato dalla violenza e dalla corruzione.
Tutto questo sembra quasi
comico quando si noti che Edward Royce, Presidente del Sottocomitato
Africano, ha affermato, durante il simposio di Huston dell'anno scorso, che
"È molto difficile immaginare un Saddam Hussein in Africa".
Oltre a supportare i brutali regimi dell'Africa occidentale, l'impegno
militare americano è destinato anche ad aumentare - apparentemente per
"permettere che la marina e le forze armate statunitensi riescano più
agevolmente a difendere gli interessi americani e degli alleati nell'Africa
Occidentale".
Dopo la sollecitazione di guerre per procura per tutta la
regione e il sostegno di sanguinose dittature per oltre venticinque anni,
l'Africa ha veramente bisogno di ulteriori interferenze militari americane?
Sembra, così, che gli Africani abbiano poca possibilità di scelta
nella questione.
Secondo i resoconti, l'amministrazione Bush ha già dato il
via libera al Military Professional Resources, Inc. - una compagnia privata
guidata da precedenti capi militari statunitensi, per addestrare la forza di
sicurezza della Guinea che sarà incaricata di difendere le installazioni
petrolifere offshore.
Nell'ottobre del 2002, un generale statunitense, Carlton Fulford, fece
visita a San Tomè e Principe, le isole a metà strada tra Nigeria e Angola,
per discutere della possibilità di stabilire una base militare in quelle
zone.
Gli Americani cominceranno ad interferire nella politica interna ed
estera di paesi fornitori di petrolio.
Dato che Washington ha già definito
"problematica" la stretta relazione tra molti leader dell'Africa occidentale
e il libico Gheddafi, questo è molto probabile.
Mentre il governo americano ha raffigurato il commercio petrolifero in
Africa occidentale come un'impresa vicendevolmente vantaggiosa, l'esperienza
nel Medio Oriente e nell'Africa occidentale mostra come la ricchezza finisca
regolarmente nelle mani delle compagnie petrolifere e dei regimi corrotti -
non in quelle delle persone dalla cui terra il petrolio viene estratto.
Dopo
secoli di oblio coloniale e di sfruttamento, le popolazioni africane non
possono vedere la loro terra violata e saccheggiata da un nuovo potere
coloniale.
Il Presidente sudafricano Thabo Mbeki si è appellato ad un
"Rinascimento Africano", ma lo sviluppo portato dal commercio del petrolio
ha come risultato la regressione, non la rinascita.
Documento originale: When Uncle Sam Comes Calling in Africa