Dalla rete degli "Economisti europei per una politica economica alternativa"

Un nuovo modello sociale europeo

Alcune proposte per contrastare le politiche neoliberiste dei governi del Vecchio continente

Come ormai ogni anno, a partire dal 1997, si è riunita nei giorni scorsi a Bruxelles la rete degli “Economisti europei per una politica economica alternativa”: un coordinamento nato per iniziativa di un gruppo di accademici di ispirazione progressista, accomunati dall’esigenza di criticare l’approccio sempre più liberista delle politiche in Europa e dall’obiettivo di sviluppare alternative praticabili su scala europea. La rete ha il suo centro di coordinamento in Germania, nell’università di Brema, ma si è ormai radicata in ogni angolo d’Europa, ed è divenuto un importante centro di elaborazione di livello europeo. Anche su questa rete, nonostante il suo carattere prevalentemente accademico, è arrivato l’urto dei movimenti sociali degli ultimi anni. E l’apertura e la ricerca di un dialogo più stretto con questi movimenti è testimoniato anche dalla decisione assunta dalla rete di partecipare al prossimo Forum sociale europeo. Una settantina i partecipanti al seminario di Bruxelles, tra scienziati, attori politici e organizzazioni della società civile. Obiettivo: l’elaborazione di politiche di piena occupazione e coesione sociale e di un genuino modello sociale europeo alternativo. Come ogni anno, il seminario si tradurrà nella pubblicazione di un Memorandum. Tradizionalmente il memorandum presenta un quadro della situazione macroeconomica in Europa e le linee possibili di una politica economica alternativa. Quest’anno affronta anche il nuovo contesto determinato dalla definizione di un nuovo Trattato costituzionale e dall’allargamento dell’Unione a 10 nuovi membri; e le sfide che questi mutamenti radicali rappresentano per la costruzione europea, ponendo in forme nuove e ancor più stringenti l’esigenza di definire un nuovo modello sociale europeo. In questa direzione, propone anche la definizione di un concetto di “settore pubblico” come base per un modello europeo comune e alternativo all’approccio neoliberista. Uno spazio particolare viene dedicato all’attacco al sistema pensionistico pubblico. Ne presentiamo qui alcune anticipazioni. Per maggiori informazioni si può consultare il sito: www.epoc.uni-bremen.de.

Molti paesi europei sono attualmente sull'orlo della recessione: di conseguenza in molti paesi le entrate fiscali sono diminuite e i deficit pubblici hanno superato il 3%. In quasi la metà dell'Ue i criteri di convergenza stabiliti dal Trattato di Maastricht non sono rispettati e la stessa credibilità del Patto di stabilità e crescita (PSC) è ampiamente compromessa.

La Banca centrale europea (BCE) si è mossa in ritardo, prima negando i problemi, poi esercitando una forte pressione per l'adozione di "riforme strutturali" su pensioni e mercato del lavoro. La stessa fissazione di un tetto inflazionistico rigido al 2% ha ulteriormente limitato la sua azione. In ogni caso l'azione sui tassi ha, isolata, un impatto relativo sul rallentamento economico.

Come è sempre più ampiamente ammesso, il PSC sta esercitando una pressione deflazionistica sull'economia europea. E in assenza di fondamentali cambiamenti nelle politiche macroeconomiche, la situazione rimarrà caratterizzata da stagnazione, tendenze deflazionistiche, aumento della polarizzazione sociale, disoccupazione e crisi degli stati sociali, con il rischio di entrare in una fase di crisi permanente come l'economia giapponese.

La necessità di un nuovo regime macroeconomico

E' perciò sempre più urgente riformulare radicalmente le politiche macroeconomiche per rompere la gabbia deflazionistica entro la quale si sta avvitando l'Ue.

Obiettivo centrale devono diventare politiche di crescita dell'occupazione; e le politiche fiscali e monetarie devono essere concepite come strumenti. Le politiche di bilancio devono essere perciò liberate dagli artificiali vincoli imposti dal PSC; e tra gli obiettivi della BCE vanno inseriti lo sviluppo e la piena occupazione (come è per la Federal reserve negli Usa).

Occorre inoltre rompere la logica che pretende di imporre in modo uniforme un unico schema di politica economica. Servono allo stesso tempo maggiore autonomia e maggiore cooperazione e coordinamento tra i diversi paesi e tra politica monetaria e politiche fiscali nazionali.

Il coordinamento va finalizzato alla creazione di alti livelli di attività economica. E nelle linee-guida di politica economica dei governi europei devono essere incluse esplicitamente la politica monetaria e gli effetti delle politiche condotte dagli altri paesi, per valorizzare le sinergie conseguibili attraverso un maggiore coordinamento.

E' anche necessario intraprendere un cammino di ri-regolamentazione dei mercati finanziari.

Nessuna soluzione durevole è comunque possibile senza la creazione di un bilancio federale che abbia i mezzi per stabilizzare la crescita a livello europeo e per politiche strutturali. La proposta è di portarlo al 5% del PNL (attualmente è all'1,27) e di finanziarlo attraverso l'introduzione di nuove tasse a livello europeo: una tassa sui redditi, sulle rendite e sui profitti aziendali (contro la competizione fiscale); una tassa sulle transazioni finanziarie (contro l'instabilità finanziaria); una tassa sulle emissioni di C02 (per proteggere l'ambiente).

L'attacco al modello europeo. Un quadro allarmante

In Europa, da oltre un decennio, l'attacco neoliberista sta minando le conquiste politiche, economiche e sociali del periodo successivo alla seconda guerra mondiale.

I risultati in termini economici e sociali sono stati stagnazione e aumento delle disuguaglianze. Sono riapparse miserie come povertà infantile, lavoratori poveri e trappole della povertà; mentre speculazioni finanziarie, riduzioni delle tasse sui redditi alti e stock options hanno arricchito fasce ristrette della popolazione (i redditi dei top manager in venti anni sono passati da 50:1 a 500:1 in rapporto ai minimi salariali).

I governi socialdemocratici non hanno contrastato questa tendenza, ma si sono concentrati esclusivamente su politiche subalterne di attivazione del mercato del lavoro. L'erosione degli stati sociali è stata universale.

In questa situazione aumenta la pressione delle forze di destra per un completo smantellamento del modello sociale europeo.

Al contempo l'Europa è sottoposta alla sfida lanciata dalle nuove politiche dell'amministrazione Usa che puntano alla rottura di ogni forma di multilateralismo e alla divisione dell'Europa.

Entro il prossimo anno, il Trattato costituzionale e l'allargamento a 10 nuovi membri cambieranno radicalmente la struttura dell'Unione. La questione è se saranno l'opportunità di sviluppare un originale modello sociale ed economico europeo, attraente e alternativo, o se rafforzeranno l'attuale tendenza neoliberista; e se rafforzeranno l'unità o approfondiranno le divisioni all'interno dell'Ue.

La risposta del memorandum è che la bozza di costituzione preparata dalla Convenzione mantiene il deficit democratico nell'Unione europea e sigilla nelle sue parti principali l'agenda neoliberista; e che l'Unione non è preparata a gestire in forme progressive l'allargamento ai nuovi membri.

La necessità di un modello alternativo

In questo quadro, crescono le critiche e le resistenze. Tuttavia per superare la crisi economica e morale prodotta da due decenni di neoliberismo è necessario un quadro complessivo di riferimento, che aiuti le proteste e i movimenti ad avere un impatto cumulativo. A tutt'oggi manca una vera alternativa. Il memorandum propone la strada di una critica radicale ai processi di privatizzazione, da concepirsi come premessa necessaria alla difesa di alcune caratteristiche storiche del modello sociale europeo; e la ricostruzione di una nuova democratica sfera pubblica come fondamento della rivitalizzazione di tale modello.

Distruggere il mito delle privatizzazioni

Un'ondata di privatizzazioni ha interessato negli anni 90 l'intero pianeta. L'Ue ha contribuito per circa la metà del loro valore globale. Le privatizzazioni hanno interessato tutti i settori: quelli industriali prima del ‘90; i servizi di pubblica utilità (trasporti, aerolinee, ferrovie, trasporti locali, telecomunicazioni) e le istituzioni finanziarie negli anni 90. Attualmente stanno investendo servizi sanitari ed educazione e persino le risorse naturali comuni.

Sulla base dell'esperienza tutti gli argomenti utilizzati per giustificare le privatizzazione sono stati falsificati. Hanno promesso efficienza, migliore qualità dei servizi a prezzi più bassi, meno burocrazia e più concorrenza. Hanno prodotto: una rapida concentrazione, alte barriere all'ingresso di nuovi concorrenti, accordi di cartello, mancanza di trasparenza e perdita di controllo pubblico su settori strategici, erosione di servizi essenziali nelle aree periferiche, perdita di posti e deterioramento delle condizioni di lavoro.

Persino la stessa solidità delle imprese è stata minata dall'irrazionale ondata di fusioni e acquisizioni, che ha creato un pesante fardello di indebitamento, aggravato dal recente crollo azionario.

Costruire una nuova democratica sfera pubblica

L'Ue sta equiparando sempre più pubblico e privato. Ciò preclude ogni nuovo disegno istituzionale necessario al perseguimento di scopi pubblici e dimostra che, contro le aspirazioni proclamate, ha in realtà intrapreso un cammino verso un mondo unificato.

Per difendere e ricostruire un modello sociale europeo, il memorandum ritiene centrale l'apertura di un dibattito pubblico europeo sui concetti di privato-pubblico e sui rapporti mercato-stato-società civile. In questo quadro è considerato fondamentale arrivare a una chiara definizione del concetto di "pubblico interesse": un concetto base della scienza economica e del modello sociale europeo, recentemente stravolto in un Libro verde della Commissione. Come base, il memorandum propone quattro elementi comuni nella tradizione europea, che la distinguono dal modello Usa: l'esistenza di un'ampia sfera pubblica; la connessione della proprietà privata ad obblighi sociali; un contratto sociale che rende redistribuzione del reddito e della ricchezza responsabilità sociali che conducono a diritti formali degli individui verso la società e lo stato; il peso maggiore dello stato.

Queste distinzioni sono giudicate ancora vitali, purché si combinino con una ricerca capace di sperimentare metodi democratici e trasparenti per gestire e controllare imprese pubbliche ed erogare servizi pubblici.

L'attacco al sistema di sicurezza sociale

Uno dei più importanti pilastri del modello sociale europeo è l'esistenza di una rete pubblica di sicurezza sociale. Il cuore di questa rete sono i sistemi previdenziali, sanitari e un'assicurazione contro la disoccupazione. Vari modelli di welfare state sono stati classificati in Europa (mediterraneo, liberale, conservatore-corporativista, socialdemocratico). Tuttavia tutti hanno in comune: una struttura relativamente egualitaria e il loro finanziamento sulla base del principio redistributivo, basato cioè su entrate pubbliche (tasse o contributi) dello stesso periodo e non su precedenti risparmi individuali.

Questo sistema è stato sottoposto a un pesante attacco durante l'ultimo decennio. La pressione è particolarmente evidente e efficace sui sistemi pensionistici, ma interessa anche le politiche verso la disoccupazione (con il passaggio da un sistema di welfare a uno di workfare) e la tendenza a privatizzare crescenti elementi del sistema sanitario. Il rapporto si concentra tuttavia particolarmente sull'attacco al sistema pensionistico.

La campagna globale sulle pensioni

L'inizio dell'offensiva sui sistemi previdenziali risale al 1994, con la pubblicazione del famoso rapporto della Banca Mondiale (BM) "Allontanare la crisi dell'invecchiamento". Da allora è iniziata una campagna globale, che ha spinto verso la privatizzazione dei sistemi previdenziali. Lo schema universale è il "modello a tre pilastri", proposto dalla BM per arginare la c. d. "bomba demografica": ridimensionamento del sistema pubblico redistributivo (1° pilastro) e sviluppo di un sistema complementare privato obbligatorio (2° pilastro) o volontario (3° pilastro).

La nuova ortodossia è stata imposta prima in America Latina, poi ai paesi candidati all'ingresso dell'Ue. E adesso anche nell'Ue.

Per esercitare una pressione in questa direzione, non avendo formali competenze rispetto ai sistemi di sicurezza sociale, che rimangono sotto il dominio della sovranità degli stati membri (una restrizione riaffermata anche nella bozza di Trattato costituzionale), l'Ue si è persino inventata nel 2001 un nuovo strumento: il "metodo aperto di coordinamento". Su questa base sta cercando di imporre: allungamento dell'età pensionabile, revisione degli schemi per conteggiare l'ammontare delle pensioni, ridimensionamento del sistema pubblico, sviluppo dei sistemi pensionistici privati.

La falsificazione degli argomenti

Il memorandum dedica una parte rilevante alla critica radicale di queste linee di riforma. Il principale argomento, quello demografico, portato al loro sostegno - argomenta il memorandum - è falso sotto due aspetti. In primo luogo, i problemi attuali dipendono in realtà da disoccupazione, bassi salari e mutamenti nella distribuzione del reddito a svantaggio dei lavoratori, i cui redditi sono la base del finanziamento dei sistemi; e non da mutamenti demografici. E futuri problemi potrebbero esserci se si assume un aumento nullo o molto basso della produttività; il che è irrealistico. Viceversa costanti aumenti della produttività possono garantire crescenti redditi reali sia per i lavoratori che per i pensionati, anche in caso di un mutamento nella struttura demografica.

In ogni caso, sostiene il memorandum non sussiste nessuna base razionale per sostenere la necessità di un passaggio dai sistemi pubblici redistributivi ai sistemi privati basati sui mercati finanziari. I sistemi pubblici sono infatti più efficienti, molto meno costosi e relativamente sani; e i cambiamenti futuri prevedibili non sono più drammatici di altri cambiamenti verificatisi nei decenni passati. I sistemi privati, viceversa, aumenteranno le disuguaglianze e romperanno la solidarietà sociale; in più hanno alti costi, povere performance e aumenteranno i rischi per i futuri pensionati dovuti all'instabilità dei sistemi finanziari, molto più accentuata rispetto ai cicli economici reali.

Cosa fare

L'attuale campagna per la "riforma" dei sistemi pensionistici, conclude il memorandum, non risolve, ma aggrava i problemi. E piuttosto che la "bomba demografica" o la "crisi dei sistemi pubblici", dietro questa campagna si nascondono in realtà gli interessi dei gestori di fondi, delle istituzioni finanziarie e delle grandi imprese.

Ogni resistenza contraria di conseguenza deve essere sostenuta.

Per garantire stabilità e sostenibilità dei sistemi previdenziali, la strada maestra indicata è invece quella di rafforzare la base produttiva attraverso una politica di piena occupazione, alti salari e aumento stabile dell'offerta di lavoro. Mentre per modernizzare e consolidare le basi equitative del sistema vengono indicate due ulteriori strade: l'inclusione di tutte le forme di reddito in uno schema di contribuzione di un sistema pensionistico universale e, per far fronte alla crescente irregolarità dei percorsi lavorativi, un relativo disaccoppiamento dei regimi pensionistici dai redditi individuali.

Marco Berlinguer
Bruxelles, 7 ottobre 2003
da "Liberazione"