Economia, dopo il passato europeo, il presente americano, ci aspetta un futuro asiatico?

Se il futuro parlerà cinese

Le preoccupazioni occidentali espresse da diversi articoli della stampa finanziaria internazionale

In questi ultimi tempi i pronostici sulle prospettive economiche a breve termine sembrano meno frequenti: forse sono state le costanti correzioni, quasi sempre al ribasso, a suggerire una maggiore cautela. Cerchiamo di tracciare sinteticamente un quadro complessivo.

Per partire dall'Europa, ormai sepolta l'ipotesi che la Ue potesse fungere da forza motrice di un effettivo rilancio, le valutazioni più sobrie, per esempio, quelle del Centro di ricerca di politica economica di Londra, parlano, se non di recessione (per definire la quale il Centro usa criteri più ampi di quelli più usuali di due successivi trimestri o quadrimestri di contrazione del Pil) di una "pausa prolungata", cioè di un ristagno che si protrae. In alcuni paesi non è azzardato usare il termine recessione: vale soprattutto per la Germania, mentre la Francia, che, tra l'altro, dopo altri colpi subiti, deve fare i conti con la crisi del gruppo Alstom, a lungo all'avanguardia nelle innovazioni, è in rottura con i parametri del Patto di stabilità. Dal Giappone, invece, vengono i segnali, forse, più incoraggianti da un decennio a questa parte. Ma tra aprile e giugno la crescita non è andata oltre l'1%, dal 1997 l'economia nel suo complesso ha subito una contrazione e, più in generale, non è venuta meno l'incertezza per il futuro. Persiste una contraddizione sul piano monetario: l'economia mondiale avrebbe bisogno di uno yen più forte, mentre vale il contrario per ll'economia giapponese.

L'incognita Usa

Sulle tendenze alla ripresa negli Stati Uniti molto si è scritto, a volte con tonalità ottimistiche. Ma non si è perso di vista che continua a crescere un indebitamento già di grandi dimensioni (i debiti delle famiglie, delle imprese e delle società finanziarie messi insieme sarebbero tre volte il Pil, mentre il debito estero corrisponderebbe a un quarto del Pil). Una relazione bipartita del Comitato per lo sviluppo economico esprime il timore che il decennio che si è aperto sia, dal punto di vista fiscale, «il più irresponsabile nella storia della nazione». Al tempo stesso si constata che la disoccupazione si accentua piuttosto che diminuire (oltre il 6%, stando ai criteri in vigore), con un aumento di circa un terzo dei disoccupati di lunga durata. Negli ultimi tre anni, nell'industria manifatturiera, sono andati perduti circa tre milioni di posti di lavoro, cioè un sesto del totale, e le prospettive non sono rosee neppure per i servizi: si prevede un trasferimento all'estero di tre milionitrecentomila posti di lavoro nell'arco di quindici anni. Stando al New York Times, nel 2002 i poveri sono aumentati di un milionesettecentomila, raggiungendo i 34 milioniseicentomila (per oltre un terzo bambini). In questo contesto era inevitabile che il dollaro si indebolisse e The Economist avanza l'ipotesi di una contrazione del 50%, con un rapporto di 1 a 2 con l'euro e e di 1 a 60 con lo yen. Queste tendenze hanno, tra l'altro, già indotto la Russia a prospettare il ricorso all'euro per il commercio del petrolio.

Il Financial Times non ha esitato a intitolare un articolo "Fondare la ripresa dell'America è un gioco molto pericoloso". L'autore dell'articolo, Martin Wolf, prospetta tre alternative: un riaggiustamento rinviato, che potrebbe comportare un rapido aumento della domanda interna, ma con una ulteriore dilatazione del deficit, sino a superare il 6% del Pil; un riaggiustamento brutale e immediato, che comporterebbe il rischio di una caduta del dollaro, e un riaggiustamento morbido, connesso a un considerevole aumento della domanda nelle economie più importanti, comprese quelle asiatiche al di fuori del Giappone. La terza soluzione sarebbe la preferibile, ma, ahimé, è troppo presto per dire se sia realizzabile.

Per completare il quadro, mentre l'Argentina, al di là di una parziale ripresa, è sempre di fronte a enormi difficoltà, il Brasile è sull'orlo di una recessione: la previsione di crescita, già assai modesta, 1,5%, è stata corretta al ribasso, 0,6%.

Si dirà che la tendenza è positiva nella Federazione russa, che, dopo un aumento del Pil tra il 10 e il 4,3% dal 2000 al 2002, potrebbe realizzare un +6% nell'anno in corso. Ma l'attuale situazione non deve far dimenticare in quale modo, con quali contraddizioni, sia stata introdotta nel paese una "economia di mercato", in cui, tra l'altro, dodici grandi gruppi controllano il 60% dell'economia, e, soprattutto, che il Pil non ha superato il 70% di quello della vecchia Urss, che 35 milioni di persone dispongono di un reddito inferiore a un dollaro al giorno e 70 milioni non hanno tratto alcune beneficio dalle cosiddette riforme. D'altra parte, le lotte senza esclusione di colpi tra i rappresentanti dell'oligarchia economica e i loro conflitti con il potere semi-autocratico di Putin sembrano entrati, per riprendere un'espressione del Financial Times, in una «nuova fase di scosse telluriche».

Tre ipotetici scenari

In un suo ampio inserto The Economist (20 settembre), per dare un'idea delle sfide dell'economia mondiale, abbozza tre ipotetici scenari da oggi all'autunno 2007.

  1. I ministri delle finanze delle maggiori potenze, convocati a Washington, devono fronteggiare una situazione in cui una perdita di 50 miliardi di dollari di derivati da parte della Fannie Mae, il gigante delle ipoteche, provoca l'abbandono dei valori statunitensi da parte degli stranieri e il dollaro perde il 40% del suo valore, mentre molte grandi banche sono sull'orlo del fallimento;
  2. Il deficit commerciale Usa raggiunge 800 miliardi di dollari, circa il 7% del Pil: il congresso è colto da una frenesia protezionista e viene proposta dai democratici un'imposizione tariffaria del 25% su tutte le importazioni;
  3. Dopo sei anni di misera crescita l'economia è in larga misura annientata, l'attenzione si rivolge all'Europa, di cui aumentano produttività e investimenti, mentre la Cina continua a essere l'economia più prospera e il Giappone a ricuperare terreno.

Beninteso, avverte il settimanale, si tratta di voli di fantasia economica, che, però, forniscono due indicazioni: è sempre più rischioso puntare per una ripresa solo sulla macchina americana e, superare la situazione di un mondo basato su una sola macchina sarà inevitabilmente penoso. Un crollo del dollaro - si ribadisce - e una recessione globale non sono le sole prospettive fosche; egualmente preoccupante, e molto più probabile, se continua il deficit degli Usa, è un'ascesa del protezionismo. E la situazione è tanto più difficile in quanto «i politici odierni hanno ben poco la sensazione della confusione in cui si trova l'economia mondiale».

La prospettiva asiatica

Di fronte alla difficoltà di fornire soluzioni o suggerimenti non solo a breve ma anche a medio termine, emergono progetti e si prospettano evoluzioni a più lungo termine. E' di pochi giorni fa la firma da parte di dieci paesi dell'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) di un accordo per dare vita nel 2020 a un mercato comune di 500 milioni di persone, teso anche a controbilanciare l'influenza crescente della Cina e dell'India (approfittando dell'occasione è stata stabilita una collaborazione nella lotta contro il terrorismo). L'Asean progetta egualmente un accordo di libero scambio con la Cina, che, se realizzato, riguardebbe un miliardo e 800milioni di asiatici. Commento del presidente sudcoreano: «Se uniamo le nostre forze, l'Asia orientale potrà divenire il motore dell'economia mondiale e il XXI secolo l'era dell'Asia orientale».

La Cina meriterebbe un discorso a parte. La sua costante crescita e il suo crescente peso nell'economia mondiale sono una constatazione di tutti commentatori: alcuni si avventurano addirittura in pronostici sull'anno in cui supererà gli Stati Uniti come prodotto interno lordo (a quanto ne sappiamo, non ancora come reddito per abitante!). Il metodo adottato, più che discutibile, è quello delle proiezioni astratte, prescindendo dalle dinamiche socio-politiche. Certo, su quest'ultimo terreno le previsioni sono ancora più azzardate. Resta che le stesse fonti ufficiali non nascondono le preoccupazioni per un potenziale produttivo già in esubero, almeno in alcuni settori, rispetto alla domanda solvibile, per gli acuti squilibri regionali e, soprattutto tra città e campagne, per una disoccupazione urbana che avrebbe raggiunto i 30 milioni, per una popolazione itinerante di circa 150 milioni creata dall'esodo rurale e per le sorti di altri 200 milioni di contadini via via che si faranno sentire le conseguenze dell'adesione all'Omc.

Questi elementi di riflessione non hanno impedito al Financial Times di scrivere in un grosso titolo: «L'Europa è stata il passato, gli Stati Uniti sono il presente e l'Asia a dominio cinese sarà il futuro dell'economia globale», precisando: «I grandi interrogativi sono quando e quanto gradualmente».

Ai posteri l'ardua sentenza…

Livio Maitan
Roma, 12 ottobre 2003
da "Liberazione"