Kosovo: la contropulizia.
E' nel «dopoguerra» che il Kosovo si è svuotato di serbi:
200 mila sono fuggiti dalla provincia, con rom e goranci

Un protettorato militare

L'irrisolto conflitto etnico, a cinque anni dalla fine della guerra «umanitaria»

Che il Kosovo fosse come una prateria secca, arsa e pronta all'incendio non era difficile immaginarlo, nonostante l'ostinato silenzio dei media italiani che considerano ormai definitivamente chiusa la «guerra umanitaria» del 1999, la «guerra buona». Che l'incendio della prateria dovesse cominciare a divampare proprio nella città divisa di Kosovska Mitrovica neanche. E, infatti, così è accaduto. Il Kosovo, libro dimenticato, torna ad aprirsi. E la pagina che ci mostra è sempre la stessa. Un protettorato internazionale Nato, sotto egida e amministrazione Onu, che non funziona; un'economia che non decolla dopo cinque anni di investimenti falliti; una finzione come quella del Tmk, la polizia interna kosovara formata unicamente da albanesi - nella quale è stato trasferito per intero il gruppo dei guerriglieri dell'Uck - artefice solo di vendette e regolamenti di conti; una pacificazione tra le due etnie ormai ferma da tempo alla protezione armata delle enclave serbe diventate solo delle miserande riserve indiane; l'incapacità a ricreare delle vere istituzioni rappresentative di un tessuto etnico composito.

Che anche sul piano più strettamente legato alla vita quotidiana il fuoco stesse covando sotto la cenere non era un mistero: una pirotecnica kermesse di tritolo sotto i monasteri e le chiese ortodosse ormai ridotti a cumuli di macerie, alla faccia del patrimonio artistico e culturale che gli stessi hanno rappresentato per secoli. Una lotta politica in seno alla comunità albanese sempre più somigliante a una faida tra cosche. Ultimo episodio l'attentato della settimana scorsa all'abitazione del leader storico degli albanesi, Ibrahim Rugova. Un ossessivo stillicidio di morti tra le file degli esponenti moderati della stessa comunità ad opera dell'estremismo fascistoide della ex guerriglia che cerca così di riequilibrare le scelte elettorali degli anni passati.

Qualcuno ha osservato che la violenza dell'ufficialmente mai disciolto Uck ha di fatto quasi azzerato le municipalità albanesi. Dove c'era un sindaco filo-Rugova è stato sufficiente eliminarlo fisicamente per amministrare quel comune con la protervia e l'intimidazione. E poi i traffici, sempre più imponenti e sempre gestiti dalla stessa classe politica proveniente dalle file della guerriglia. Il tutto con la più ampia tolleranza, per non dire protezione, delle autorità internazionali, timorose da un lato che il Kosovo torni ad esplodere e dall'altro incapaci di rimettere ordine nella provincia. Le stesse autorità che sembrano accontentarsi dei primi timidi arresti - ordinati dal Tribunale penale internazionale dell'Aja - degli elementi dell'Uck (per ora solo di seconda fila) che hanno commesso crimini di guerra (e di dopoguerra).

Ed è nel dopoguerra che il Kosovo si è svuotato di serbi. 200 mila fuggiti dalla provincia è la cifra ufficiale. E quelli che sono rimasti praticamente costretti a vivere guardati a vista dai militari della Kfor. E lo stillicidio di vittime riguarda anche loro. Case bruciate, intimidazioni continue ed episodi disgustosi come quello avvenuto lo scorso agosto nell'enclave serba di Gorazdevac: due bambini fucilati mentre stavano facendo il bagno in un fiume.

Ora che sono cominciati i primi timidi colloqui tra albanesi moderati e serbi il clima torna a riaccendersi come non mai. Chi rifiuta la canonizzazione e pretende l'indipendenza ha ora tutto l'interesse a gettare nuovamente il Kosovo nel caos. Punta sull'impotenza della comunità internazionale che gli ha lasciato mano libera in tutti questi anni. Conta su chi ancora crede che quella guerra, la guerra del `99, sia stata una «giusta» e «umanitaria».

Sandro Provvisionato
Roma, 18 marzo 2004
da "Il Manifesto