Cerchiamo di rispondere ai molti perchè della guerra in Afghanistan

LA CROCIATA D'OCCIDENTE VERSO LA SUA BREVE VITTORIA

Perché il rapido crollo talebano?

Il rapido crollo del dominio talebano su gran parte dell'Afghanistan ha colto tutti di sorpresa, protagonisti compresi. La sproporzione di forze sul terreno strettamente militare non basta a spiegarne il collasso. Certo, la formidabile tecnologia bellica a disposizione degli USA, unita ad una particolare arretratezza del regime afghano, hanno reso possibile una sconfitta sorprendentemente veloce: l'isolamento delle truppe talebane a Kunduz sta lì a testimoniarlo. C'è però un fattore squisitamente politico che spiega la dinamica: il regime talebano aveva una base sociale debolissima, e nonostante il discorso fondamentalista (che suppone un disegno di unificazione nazionale dei popoli di religione musulmana) nei fatti esso ha rappresentato una sola etnia, per quanto maggioritaria (in termini relativi), quella pashtun. L'identità islamica era la forma ideologica che aveva preso l'alleanza delle diverse etnie nella lotta contro i sovietici negli anni ottanta, ma questa forma si era frantumata quando la necessità che l'aveva alimentata si esaurì al momento del ritiro sovietico.
La devastazione operata dal dominio sovietico ha provocato, tra l'altro, un arretramento delle forme statali autoctone. Quando lo stato sparisce risorgono spontaneamente le forme di organizzazione sociale che storicamente, nella storia umana, l'hanno preceduto: il clan come unità elementare, poi la tribù, poi l'etnia. Crollato lo stato cioè, sono i rapporti di parentela e di alleanza familiare che regolano la vita sociale, e sulla base dei quali si costruiscono i livelli superiori: la tribù come unione di più clan familiari, con un clan dominante, l'etnia come alleanza di più tribù. La società afghana non è tribale, ma è tornata tribale, per effetto dell'ingerenza straniera. La stessa cosa è accaduta, negli anni novanta, anche in Somalia e Albania. Solo quando il surplus sociale, cioè la ricchezza prodotta da una certa società, raggiunge un certo livello si rende necessaria una diversa organizzazione, lo stato appunto, che si erge sui clan e le tribù. Ma quando la povertà dilaga, sono i rapporti familiari ad offrire un minimo di rete di protezione agli individui.
I talebani hanno goduto di un certo consenso sociale al momento della loro conquista del potere. Prescindendo dall'appartenenza clanica, infatti, hanno offerto la possibilità di ricostituire un qualche modo una struttura sociale complessa, lo stato appunto, che le varie fazioni in lotta dei mujaheddin non riuscivano a garantire, proprio perché basate su appartenenze tribali e/o claniche. Ma il fattore antimoderno della loro ideologia ha impedito un riavvio dell'accumulazione di surplus, la società è rimasta povera, il loro consenso è andato scemando, e hanno dovuto progressivamente ripiegare essi stessi sull'appartenenza etnica, quella pashtun, da dove gran parte di loro proveniva. È proprio nei territori non pashtun dove essi sono più rapidamente crollati, mentre resistono a Kandahar, dove la loro etnia è dominante. Le tribù pashtun hanno atteso sino all'ultimo prima di muoversi contro di essi, e l'hanno fatto solo per non vedere la propria etnia trascinata nella sconfitta dalla disfatta talebana.
Vi è inoltre una seconda ragione che spiega il crollo del regime. I talebani sono parte della più vasta ed eterogenea corrente politica fondamentalista. Questa corrente rappresenta, come abbiamo altre volte spiegato, una particolare forma di nazionalismo che mira alla unificazione sul terreno dell'identità nazionale dei popoli di religione musulmana. Si tratta dell'elemento che rende attraente questi gruppi alle masse arabe e non solo. Ma si tratta solo di una parte del loro progetto politico. Parte integrante è anche la promessa di dominio totale dei maschi sulle donne, e degli adulti sui giovani. Ma questa parte del "programma", viene pienamente alla luce solo una volta al potere. Non è un caso che in Iran, altro Paese dove questa corrente ha preso il potere, i due soggetti sociali che alimentano l'opposizione al regime siano le donne e i giovani. Non è un caso che in Afghanistan l'unica organizzazione politica non a base etnica o tribale, sia una organizzazione di donne.
Speriamo che ciò porti le masse arabe e più in generale islamiche a riflettere sull'inadeguatezza della corrente politica fondamentalista a combattere l'imperialismo americano e i suoi alleati. È una corrente che restringe le alleanze sociali invece di allargarle (perché combatte il discorso di classe, ed emargina le donne e i giovani), e che adotta una tattica, quella terrorista, che compatta al suo interno l'Occidente, invece di alimentarne le contraddizioni.

Perché gli USA non costruiscono basi permanenti in Afghanistan?

Abbiamo già parlato del diffuso economicismo che imperversa nella sinistra nostrana. Un economicismo inframezzato da assunti presi a prestito dalla "scienza" reazionaria della geopolitica. Secondo tale interpretazione la guerra sarebbe una "scusa" da parte degli USA per impossessarsi dei futuri oleodotti afghani. Questa tesi l'abbiamo già contestata e non vi dedicheremo più nemmeno una riga. Ci preme sottolineare però come i sostenitori di questo tipo di interpretazioni non si preoccupino mai di cercare nella realtà i dati fattuali in grado di confermare o smentire le proprie tesi. La guerra del Kosovo ad esempio veniva spiegata dagli stessi individui con la pretesa necessità da parte USA (o tedesca) di liberare un "corridoio" che sarebbe stato di straordinaria importanza strategica: da tale corridoio a due anni di distanza non passa nessuno, ma la cosa non turba i nostri geopolitici di sinistra.
Allo stesso modo oggi gli stessi personaggi non traggono alcuna conclusione dal fatto che gli USA, in maniera del tutto plateale, mostrino il più totale disinteresse alla creazione di basi permanenti in Afghanistan e scoraggino gli europei dal costituire una forza di pace permanente nella regione. Il perché ce lo spiegano tutti i giorni Rumsfeld e Powell: non hanno alcuna intenzione di diventare facili bersagli dei "fanatici" della regione, ciò che vogliono è la distruzione di Al Qaeda. Nell'area gli USA dispongono di basi (Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, ecc.) ma si tratta appunto di Paesi che agli Usa sono necessari per il petrolio, Paesi ai quali a loro volta fa comodo la protezione USA per prevenire rivolte o invasioni di vicini. Gli USA vogliono sul serio ciò che affermano di volere: distruggere la corrente antiamericana del fondamentalismo islamico, anche se nel fare ciò inevitabilmente si allargano e si approfondiscono i conflitti. E contro di esso applicano la stessa determinazione utilizzata negli anni sessanta e settanta nei confronti della sinistra latinoamericana, pure perseguitata in quanto corrente politica che metteva in discussione gli interessi strategici USA.
Con una fondamentale differenza. Mentre la sinistra latinoamericana pur collocandosi anche sul piano nazionale si manteneva soprattutto sul piano di classe, il fondamentalismo islamico si muove esclusivamente sul piano nazionale. Ed è qui che risiede la debolezza della risposta occidentale alla sfida fondamentalista e il carattere breve della sua vittoria. Ciò che alimenta il fondamentalismo è un fuoco che questa guerra è destinato ad alimentare: la frustrazione di masse che siedono su grandi ricchezze, ma delle quali godono solo l'Occidente e i corrotti regimi locali. Del resto il fondamentalismo è spesso sostenuto in chiave antisraeliana, antindiana e anticomunista da Pakistan ed Arabia Saudita, stretti alleati degli USA, ma con propri specifici interessi nazionali. Dato che però dietro ad Israele ci sono gli USA, alcune schegge di questo sostegno finiscono per colpire gli stessi USA. Sconfitta Al Qaeda, sorgeranno altre correnti politiche nazionaliste, in maniera instancabile, perché questa guerra ha reso ancora più evidente e dolorosa per le masse islamiche l'identità del loro principale avversario. E con ciò gli USA saranno costretti ad allargare i confini della propria azione, sino a compromettere sempre di più la sovranità di quei popoli e delle sue stesse alleanze, in un circolo vizioso dal quale uscire sarà ben difficile.

Perché l'Europa non ha un "ruolo autonomo"?

Innumerevoli e insospettabili commentatori hanno sottolineato come in occasione di questa guerra l'Europa abbia dimostrato tutta la sua inadeguatezza. Di fronte alla determinazione USA, il Regno Unito ha seguito a ruota ritagliandosi un ruolo di avanguardia militarista in Europa, Francia e Germania si sono adeguate cercando di tagliare fuori il resto d'Europa. Spesso questa dinamica è stata interpretata come "sudditanza" agli USA. In realtà l'Europa (e il Giappone) ha delegato l'aspetto militare della propria potenza agli USA, ricavandone da ciò vantaggi e svantaggi, di cui altre volte abbiamo parlato. Qui diciamo solo che uno stato strutturalmente votato alla guerra non si improvvisa in qualche decennio, perché intere generazioni vanno educate e plasmate a questa particolare formazione economico-sociale. Solo un piccolo esempio di ciò che vogliamo dire: le bandiere USA sono spuntate da ogni dove già 24 ore dopo gli attentati alle Torri Gemelle e senza alcun ordine governativo; da noi Ciampi si può sgolare sin quando vuole, ma il tricolore in ogni casa non lo vedrà nemmeno tra vent'anni.
Altri preferiscono parlare di una sorta di unificazione dei vari imperialismi sotto l'egida delle multinazionali (la teoria negriana dell'Impero). È un fatto che i vari imperialismi siano oggi, più che in qualsiasi periodo precedente, uniti. Se guardiamo la nostra storia in una prospettiva plurisecolare non è difficile accorgersi che la gran parte delle guerre sono state guerre interimperialiste. Da sessant'anni a questa parte, invece, le grandi potenze imperialiste non si combattono più tra loro. Questa convivenza forzata è il frutto di eventi storici e della necessità di contrapporsi al blocco sovietico, ma oggi il suo segno è chiaro: è quello di una alleanza contro il resto del mondo. Questo "resto del mondo" ha confini variabili. Sono ad esempio abbastanza evidenti gli sforzi della Russia per fuoriuscirne ed essere considerata Occidente. L'adesione gorbacioviana alla guerra del Golfo aveva questa valenza profonda, del tutto simile a quella che spinge oggi Putin a braccetto con Bush. Gli stessi occidentali mostrano su questo punto una "indecisione strategica" di cui la Russia cerca di approfittare. Possiamo immaginare che se si inasprirà in futuro lo scontro tra Occidente e resto del mondo, la Russia avrà grosse possibilità di essere ammessa nella fortezza dorata. India e Cina si trovano invece oggi dalla parte degli USA per ragioni congiunturali: sia l'una che l'altra combattono contro popoli la cui ansia di autodeterminazione ha preso la forma della guerra di religione.
Nei periodi di pace internazionale riemergono i conflitti tra i vari imperialismi, come quelli che dividevano USA e Europa prima dell'11 settembre. Per questo riteniamo errato parlare di Impero, come un Occidente unificato. O per lo meno è una definizione prematura. L'unità attuale dell'Occidente è una alleanza forzata dalle schegge di aggressione che vengono dal resto del mondo. Certo, aumentando il divario tra queste due parti del pianeta, l'alleanza è destinata a divenire strutturale. Solo allora però potremo parlare di Impero.
Gli assalti che vengono contro l'Occidente dal resto del mondo possono anche non prendere le forme da noi desiderate, e la forma del fondamentalismo islamico certo è quella che ci piace meno. Ma non possiamo ignorare, per la sua forma particolarmente ripugnante, la causa che l'ha originata e che risiede nel dominio rapace dell'Occidente sul mondo.
La causa è però nascosta alla visuale delle masse occidentali. Non possiamo negare il successo dell'operazione di identificazione popolare in una sorta di guerra di civiltà. Eppure mai come in questo momento, la connotazione positiva che siamo soliti attribuire al termine civiltà mostra tutta la sua inconsistenza. Pensiamo solo, ad esempio, alla famosa "divisione dei poteri" (giudiziario, esecutivo e legislativo) che dovrebbe caratterizzare le società liberali. La crisi ha messo a nudo la vera essenza dello stato liberale: l'esecutivo, concentrato nei casi più estremi nelle mani di un solo individuo. Gli imperi, alla fin dei conti, sono sempre stati diretti e amministrati da una ripida piramide, in cima alla quale stava, per l'appunto, un imperatore o un condottiero. Questo perché gli imperi si reggono sulla guerra. Oggi, in occasione della crisi aperta l'11 settembre, parlamenti e apparati giudiziari si sono rapidamente dissolti, con una velocità inaudita. Ecco che appare l'impensabile: l'istituzione di tribunali segreti militari senza appello (USA), l'ipotesi di concedere ai servizi segreti licenza di reato salvo l'omicidio (dunque inclusi il rapimento, le sevizie e lo stupro, deduciamo) come in Italia, l'internamento senza processo. La rigorosa censura sui mezzi d'informazione che sono riusciti persino a far credere che gli agenti USA non stavano intorno al carcere di Mazar i-Sharif per dirigere il massacro dei prigionieri ma per scongiurarlo, dimostra anche la fragilità della libertà più decantata dell'Occidente: quella di stampa. Queste libertà di cui noi comunisti non ci siamo mai stancati comunque di denunciare la formalità, dimostrano la loro debolezza anche sul piano strettamente formale. Si dirà: si tratta dell'eccezionalità del momento. È il contrario. Se guardiamo la storia dell'Occidente in una prospettiva plurisecolare non può sfuggirci che, invece, i periodi di regno della democrazia formale sono stati l'eccezione e non la regola. Del resto se pensiamo che l'Italia è entrata in guerra cinque volte in dieci anni (Golfo, Somalia, Albania, Kosovo, Afghanistan), possiamo comprendere come la guerra vada costituendosi in una regola del nostro convivere con il resto del mondo.
Eppure i sazi cittadini del nostro Occidente, non si accorgono di queste guerre, che vanno ad aggiungersi a quella quotidiana della fame e dell'indigenza che colpisce milioni di persone in tutto il Sud del mondo. Chiusi nella propria fortezza, le cui altissime mura essi immaginano inviolabili, questi sempre meno numerosi cittadini ascoltano distratti e solo vagamente inquieti i cannoni che colpiscono gli altri. Alla fine del 2001 non sappiamo ancora bene quale dovrebbe essere il compito principale dei comunisti, ma sospettiamo fortemente che esso abbia a che vedere con l'abbattimento di quelle mura.

Redazione di Reds
Milano, 31 dicembre 2001
da Reds