L'Afghanistan non era il vero obbiettivo

La guerra infinita

Ormai non possono esserci dubbi (noi ne abbiamo mai avuti). Si tratta di una guerra che non finira’ neppure con l’eventuale uccisione di Bin Laden. L’Afghanistan non era il vero obiettivo, era un pretesto per cominciare da qualche parte.

Dopo  aver distrutto quel poco che rimaneva in quello sventurato paese, ridotto senza nessuna sua colpa per ventitre’ anni a un  campo di battaglia tra Russia e Usa (ma anche oggetto di varie interferenze di Iran, Cina, Pakistan e Arabia Saudita), la guerra continua. L’obiettivo ovviamente non e’ questa o quella materia prima dell’Afghanistan (ne ha pochissime, a parte il papavero da oppio), e neppure l’oleodotto alla cui progettazione avevano partecipato diversi esponenti dell’amministrazione statunitense. Se avessero avuto solo quello scopo, potevano raggiungerlo in molti altri modi. Il vero obiettivo e’ consolidare la dominazione imperialista su un mondo in sfacelo, ma che e’ inquieto e presenta da qualche anno non pochi sintomi di risveglio.

Lo scopo prevalente della guerra (non l’unico, naturalmente) e’ di presidiare militarmente la vasta zona da cui proviene l'80% del petrolio mondiale, per fronteggiare l’eventualita’ di un’esplosione del Pakistan o dell’Arabia Saudita, paesi i cui retrogradi governanti sono alleati “dell’Occidente”, ma le cui popolazioni – non a caso mai consultate – sono insofferenti e tra le quali non poche volte si sono manifestate tendenze alla ribellione.

La guerra, tuttavia, aumenta e non riduce questo pericolo, che potrebbe accrescersi se si lascera’ il boia Sharon libero di fare come Bush, additando un nemico e massacrando con questo pretesto popolazioni inermi.

Finora l’inconsistenza e la subalternita’ all’imperialismo delle direzioni politiche del mondo arabo (compresa quella dell’OLP) hanno lasciato spazio alla prepotenza di Israele e degli USA, ma al prezzo di generare frustrazioni e disperazione, che potrebbero raggiungere settori militari come, fatte le debite proporzioni, e’ gia’ avvenuto nelle forze di sicurezza dell’Autorita’ palestinesi, che rispondono sempre meno agli ordini di Arafat.

Che accadra’ se il processo si estendera’ ad altri paesi arabi o islamici, e alle stesse popolazioni dell’Asia ex sovietica, i cui governanti sono squallidi burocrati riciclati rieletti come sempre col 99% dei voti, ma di cui si ignora di quanto reale consenso godano?

La stessa Russia, che ha dato un vergognoso avallo alla brigantesca “guerra contro il terrorismo” per avere le mani libere contro lo sventurato e indomabile popolo della Cecenia, e’ minata da profonde contraddizioni. Che accadrebbe se ci fosse uno scatto di dignita’ dopo un decennio di saccheggio delle sue risorse naturali, e di conseguenza una svolta politica antioccidentale (non “comunista”, non illudiamoci) che partisse dall’esercito, frustrato e umiliato?

Anche la Cina, che ha aderito alla “crociata” per ragioni analoghe a quelle del governo russo (proseguire senza proteste di altri paesi la repressione dei popoli del Tibet e soprattutto di quelli del Sinkjang, che sono islamici e dello stesso ceppo etnico di quelli del vicino Kazakistan). Ma l’intesa con gli Stati Uniti e’ fragile come ogni matrimonio di interesse, e la crescita economica di quell’enorme paese (che certo noi comunisti non consideriamo un successo, accompagnata com’e’ da terribili sacrifici per la maggior parte dei cinesi e dall’arricchimento di pochi) desta preoccupazioni nei capitalisti occidentali, che vedono nella Cina un pericoloso concorrente.

L’assetto che le potenze occidentali stanno tentando di dare all’Afghanistan e’ scandaloso: una vera spartizione tra briganti, nessuna protezione per le donne di cui i sostenitori della guerra si dicevano paladini (come in Iraq non ci fu protezione per i curdi, era solo il pretesto per massacrare il paese anche dopo il ritiro delle truppe dal Kuweit…).

L’ONU, come ha fatto sempre, ha delegato la questione a paesi “interessati” da sempre all’Afghanistan, a partire dalla Turchia (bell’esempio di democrazia e di rispetto delle minoranze), che dovrebbe capeggiare le forze di occupazione militare, mentre la Germania dovrebbe presiedere alla ricostruzione. Si tratta, si e’ detto, di un paese con  antiche relazioni con l’Afghanistan. E’ vero.

Gia’ nel 1914 il gen. Moltke, l’industriale dell’acciaio Thyssen e l’ambasciatore a Istambul von Wagenheim avevano inviato emissari a Kabul per convincere l’emiro Habibullah a schierarsi contro l’Inghilterra. Non ci riuscirono, ma dopo la guerra ingegneri tedeschi costruirono palazzi per l’emiro e le prime ferrovie. Durante la seconda guerra mondiale Zahir (proprio il vecchio ripescato in esilio a Roma in questi giorni) aveva mantenuto ottimi rapporti con la Germania nazista, che gli prometteva aiuto per riconquistare i territori abitati da afghani incorporati dalla Gran Bretagna nell’India e che oggi fanno parte del Pakistan (per questo il Pakistan oggi ingoia male un ritorno di Zahir alla testa dell’Afghanistan).

Un bel ritorno al passato! Questa guerra, e’ la prima del XXI secolo (anche se e’ cominciata piu’ di dieci anni fa…) ma assomiglia tanto a quelle del periodo “classico” dell’imperialismo, precedente alla Prima Guerra Mondiale.  

E l’Italia? Che ci fa l’Italia da quelle parti con la sua flotta? Ne avevamo denunciato da molti anni l’inequivocabile potenziamento con la costruzione della portaerei Garibaldi (arma tipicamente non difensiva, specie per un paese con la conformazione geografica del nostro paese). A che servirebbe la flotta se si trattasse veramente di controllare un paese come l’Afghanistan, un paese di montagne alte fino a 6500 metri, e senza sbocco al mare? E’ la prova che il governo (e i suoi complici della finta opposizione di centro sinistra) hanno mentito agli italiani.

Percio’ questa guerra, parte non nuova di una serie di guerre proiettate fin dal 1990 alla riconquista del mondo da parte dell’imperialismo occidentale dopo il crollo dell’URSS (che nella fase del suo declino dell’antimperialismo era un modesto e insufficiente surrogato), continuera’. Non sappiamo dove, ma continuera’, tanto piu’ che serve, in ciascun paese belligerante a restringere ulteriormente gli spazi democratici, a cancellare diritti acquisiti, a criminalizzare il dissenso.

Questa guerra ha provocato nella sinistra una rottura paragonabile a quella del 1914: chi la ha votata, non si e’ sbagliato, ha mentito abbellendola di motivazioni “umanitarie”, ma in realta’ ha scelto di dare un appoggio pieno al nostro imperialismo. E dato che questa guerra non e’ un episodio momentaneo, d’ora in poi per i comunisti sara’ difficile, se non impossibile, collaborare con chi la appoggia. Per questo non si possono proiettare nel mondo in guerra le alleanze (pur difficili) con il centrosinistra praticate anche dopo la rottura col governo Prodi. Occorre costruire un nuovo schieramento, a partire dai movimenti. Sempre riproponendo l’unita’ d’azione con chi e’ disponibile, ma senza confonderci con chi difende la guerra.

Altrimenti accadra’ che il PRC paghera’ per le alleanze elettorali ambigue, e perdera’ la sua capacita’ di attrazione rispetto a quel cinquanta per cento di italiani contrari alla guerra. E’ gia’ accaduto in Sicilia, e soprattutto nel Molise, dove e’ aumentato l’astensionismo, perche’ una parte di quelli che avevano lottato con noi hanno avuto paura di votarci, per timore che contribuissimo a rafforzare uno schieramento gia’ screditato prima della guerra, e poi diventato assolutamente respingente. E siamo aumentati solo di  un modestissimo 0,5%, mentre avevamo raccolto nelle piazze strati larghissimi di oppositori, che alla fine non sono stati convinti dalla nostra posizione, netta sulla guerra ma ambigua in alleanze amministrative con gli stessi fautori della guerra (la campagna elettorale era stata chiusa da Rutelli!).

La guerra infinita ci impone anche questa riflessione: la possibilita’ di crescere straordinariamente e quindi di influire sulle contraddizioni di quanto rimane di sinistra nel centrosinistra, e’ legata alla capacita’ di non farsi trascinare in una routine, in una gestione amministrativa di piccolo cabotaggio, ma di osare proporre una vera alternativa alla deriva guerrafondaia che sta portando il centrosinistra a confondersi sempre piu’ con il tripudio nazionalista e lo sventolare di bandiere di Berlusconi e dei suoi pregiudicati.

Antonio Moscato
Lecce, 4 dicembre 2001