È possibile che dietro l'offensiva del terrore e gli altisonanti appelli
alla Guerra santa di Osama Bin Laden, da un lato, e dietro la guerra contro il
terrorismo e i non meno vibranti appelli alla solidarietà internazionale di
Bush, dall'altro, ci siano degli interessi petroliferi?
È la tesi ardita, ma tutt'altro che solitaria, di Abdallah al Emadi,
editorialista del quotidiano Arrayah del Qatar: «Oggi l'America si appresta a
mettere le mani su una regione che non è meno importante del Golfo. E' la
regione del Mar Caspio e del Caucaso, molto ricca di greggio e di gas.
Se riuscirà a controllare questa regione, così come è il caso del Golfo,
l'America si garantirà il mantenimento della leadership mondiale».
Ormai non è più un mistero che l'ascesa al potere dei Taliban fu possibile
grazie al sodalizio tra il Pakistan, Bin Laden e gli Stati Uniti nel nome
dell'oro nero e del contenimento dell'Iran degli ayatollah.
Fu l'allora presidente americano Clinton a chiedere all'Arabia Saudita di
unirsi nell'alleanza proTaliban.
Una alleanza sancita dalla nascita di un consorzio internazionale con alla
testa la società petrolifera americana Unocal e di cui facevano parte imprese
italiane, inglesi, norvegesi, olandesi, francesi e belghe, per la costruzione
di un gasdotto che dal Turkmenistan, attraversando l'Afghanistan, sfociasse in
Pakistan.
Il consorzio comprendeva la società saudita Delta Oil, quella pakistana
Crescent Group e la russa Gazprom.
Il costo stimato del progetto era di 4,5 miliardi di dollari, un investimento
di tale portata che non si sarebbe potuto fare in assenza di solide garanzie
di stabilità, requisito che mancava all'Afghanistan.
Lo stesso ex re Zahir Shah ha così spiegato la decisione di dar vita ai
Taliban: «Il progetto non si poteva realizzare perché in Afghanistan c'era
la guerra civile. Fu così che l'America si mise d'accordo con il governo
pakistano di Benazir Bhutto per creare una nuova forza politica e militare in
grado di imporre la sicurezza in Afghanistan, i Taliban appunto».
L'uomo incaricato di tessere le fila del progetto era Robin Raphel,
sottosegretario al dipartimento di Stato americano. Non stupisce che subito
dopo la presa di Kabul, Washington era sembrata pronta a riconoscere il nuovo
regime dei Taliban e il dipartimento di Stato aveva espresso l'auspicio che i
Taliban «restaurassero rapidamente l'ordine e la sicurezza».
Ma le cose andarono diversamente e due anni dopo la Unocal decise di ritirarsi
dal consorzio. Nello stesso periodo, siamo nel giugno 1998, Bin Laden tirò
fuori tutto il suo furore rivoluzionario e fondò il «Fronte internazionale
islamico per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati» il cui obiettivo
dichiarato è la cacciata degli americani dalla Penisola arabica e dal Golfo
nel cui sottosuolo giacciono i due terzi delle riserve petrolifere mondiali.
Probabilmente gli storici ricorderanno che i tragici fatti che hanno
insanguinato l'America e che si stanno abbattendo sull'Afghanistan erano
motivati dalla contesa tra l'America e Bin Laden per il controllo del
petrolio. Ma ciò che si può sostenere da subito è che l'America paga il
prezzo della miopia politica che l'ha portata in primo tempo a creare il
personaggio Bin Laden e le decine di migliaia di mujahiddin afgani e, dopo, a
far nascere i Taliban.
Sono proprio queste creature volute dall'America ad essersi trasformate nel
peggior nemico dell'America.