Il nuovo disordine mondiale
Il giorno in cui l'America è divenuta vulnerabile

New York città martire.
Questa città, la più cosmopolita del mondo, questo sogno urbano che fu anche una speranza di libertà per tutti i rifugiati e per tutte le vittime del mondo durante dei secoli, accoglie oggi, nei suoi uffici, nelle sue strade, numerosi stranieri.
E' una parte di quella popolazione che è stata massacrata da dei “bombardamenti” terroristi. Eppure New York non è la prima città martire.

La prima megalopoli moderna colpita

Tutte le guerre moderne si sono infatti accanite contro le città. Ma mai una megalopoli moderna, con le sue reti, i suoi trasporti, i suoi grattacieli, le sue strade, a freddo, fuori da ogni dichiarazione di guerra, aveva conosciuto un tale accanimento omicida. Gli strateghi di questa offensiva di morte hanno colpito il fondo di Manhattan, il cuore della finanza mondiale, Wall Street, nello stesso mondo con cui attaccavano l'edificio più sicuro del mondo, la fortezza militare a priori più controllata, il Pentagono a Washington, anche lui devastato da un altro aereo suicida carico di kerosene.
Wall Street colpita a New York, il Pentagono a Washington, il pianeta è stato in parte paralizzato da una reazione a catena, i trasporti aerei immobilizzati, le comunicazioni disturbate, le grandi Borse destabilizzate e l'economia mondiale sottomessa a un incertezza di più.

La fantascienza è stata meno realistica

Gli scrittori e i cineasti dell'apocalisse, da New York 1999 a Mars Attack, hanno immaginato degli scenari in cui New York e Washington subivano assalti simili. Ma restavano dei racconti mitici, delle paure messe in scena e poi proiettate proprio per scongiurarle meglio. Quando queste minacce si producono veramente e gli attentati e le vittime sono reali, quando oltrepassano tutto ciò che era fino adesso immaginabile, l'inquietudine e la paura diventano contagiose.
Una tale operazione sembrava impossibile.

Questa doppio lucchetto è saltato, le protezioni non hanno tenuto, perché l'insieme della catena di sicurezza è andato in tilt, dall'impotenza dei servizi segreti e dell'Fbi sino all'assenza di reazione rapida dell'aviazione americana, mentre l'operazione è durata più di un'ora.
Tecnicamente i terroristi sono riusciti a passare tutti i filtri. Erano aiutati dalla freddezza assoluta del loro obbiettivo: il massacro di decine di migliaia di civili americani. Centinaia di militanti, di terroristi, i kamikaze come i sopravvissuti, hanno condiviso questo obbiettivo fanatico.

Varcata una barriera psicologica

Fino ad ora erano stati colpiti solamente gli interessi economici, diplomatici, a volte militari dell'America.
Una soglia psicologica è stata varcata: l'odio totale, assoluto.
Allora, che differenza c'è tra aerei suicidi e bombe atomiche artigianali, armi biologiche o bombe chimiche? Nessuna quando l'obbiettivo è il massacro di civili.
Nello shock planetario provocato dall'attentato, tutti i cittadini delle grandi megalopoli, non solamente occidentali, ormai sanno che questa eventualità che pareva romanzesca è diventata semplicemente possibile, come un elemento che costituisce il nostro orizzonte.
Tanto più che il terrorismo a sempre bisogno, “per fare spettacolo mediatico”, di sovraccaricare mortalmente gli obbiettivi; ricerca senza tregua e con tutti mezzi di stupire l'opinione mondiale.
Una Hiroshima terrorista su una capitale è ormai possibile.
Questo è il messaggio dell'11 settembre 2001: l'America è vulnerabile e ogni colpo è permesso per distruggere l'America. Il peggio deve ancora arrivare.

Un nuovo disordine mondiale

Questa offensiva terrorista, il suo successo “tecnico”, omicida, mediatico e planetario, costituisce un evento maggiore, un cambiamento strategico fondamentale, che suggella il passaggio verso un nuovo mondo dominato dal nuovo disordine mondiale, per antifrase con il ritornello che accompagnava il crollo del sistema comunista: “il nuovo ordine mondiale”.
I terroristi hanno riportato una vittoria terribile e imposto agli Usa una sconfitta da incubo che supereranno come hanno già superato tutti i grandi traumi della loro storia, ma non si sa come, né in quale stato ne usciranno.

Pearl Harbour: un paragone improprio

Si evoca Pearl Harbour nel dicembre 1941, che mise fine all'isolazionismo americano e precipitò gli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, così come l'ondata di kamikaze che ha preceduto la sconfitta finale.
I kamikaze giapponesi hanno ucciso “solo” 2304 marines e civili. Gli attentati dell'11 settembre faranno senza dubbio decine di migliaia di morti, forse una cifra vicina a quella dei morti americani in Vietnam. In entrambe i casi il nemico era conosciuto, identificato, rivendicato.
L'anonimato dei terroristi, anche se temporaneo, rafforza la percezione mondiale dell'impotenza dei governi e dei servizi di sicurezza e mantiene l'opinione in stato di shock.
Questa insicurezza non è il più piccolo tra i successi dei terroristi.

Ed ora?

Certo, gli Stati Uniti bruciano dalla voglia di rispondere. Ma anche in questo caso sarebbero limitati dalle relazioni pericolose che gli hanno uniti ai movimenti islamici dalla guerra di Afghanistan contro i sovietici e dall'uso del fanatismo religioso per destabilizzare tutte le repubbliche mussulmane dell'ex Urss.
Sembra inverosimile che gli Stati uniti si accaniscano contro il loro alleato, Arabia Saudita che ha comunque covato l'insieme del movimento dell'islamismo radicale. Strategicamente sarà difficile scatenare una guerra totale in Afghanistan o in Iraq: bisognerà non soltanto stabilire la prova dell'implicazione di questi regimi, ma queste guerre sono impossibili dal punto di vista militare.
Vediamo male la fanteria americana prendere Kabul e ci sembra ancora più fantasioso riprendere la guerra in Iraq, come Bush padre e lo stesso Colin Powel l'avevano lasciata.
Questa offensiva terrorista è una dichiarazione di guerra. Il seguito logico sarebbe la guerra totale. E gli Stati Uniti non faranno questa guerra contro un nemico che gli sfuggirebbe e che, almeno in parte, dispone di centinaia se non di migliaia di kamikaze pronti a morire per distruggere gli Usa o Israele.

L'isolazionismo americano incarnato in Bush è la prima vittima

L'equazione è tanto più complessa che gli Stati Uniti di Bush incarnerebbero la tentazione dell'isolazionismo. L'America sognava di poter sfuggire al disordine mondiale abbandonando il mondo alle sue difficoltà.
Questo isolazionismo è la prima vittima politica dell'offensiva terrorista: ora gli toccherà mischiarsi con il mondo, con le sue ingiustizie e i suoi orrori.
E la maniera forte, la politica del missile da crociera non sarà sufficiente: gli americani avranno bisogno di una politica che rompa le armi dell'islamismo e che soprattutto s'impegni pienamente nel disinnesco delle bombe ad orologeria costituite dai conflitti in Medio Oriente.
La mondializzazione fa dibattito. Purtroppo in numerosi ambienti è si è già realizzata, come lo prova questo attentato mondiale. Anche i conflitti locali finiscono per rovesciarsi sulla potenza americana: se ieri erano difficilmente circoscritti, oggi i conflitti si globalizzano.

Serge July
Parigi, 12 settembre 2001
da "Libération"