Presentato dal Consorzio Italiano di Solidarietà un dossier sulla situazione nella regione
Balcani, dopo le bombe all'uranio l'affare della ricostruzione.

Sono passati dieci anni da quando sono cominciati i primi conflitti nei Balcani e solo adesso - con grande ritardo e altrettanta lentezza - si comincia a parlare di ricostruzione e di realizzazione del Patto di Stabilità, varato a Sarajevo nel luglio del 1999 fra i paesi occidentali, quelli dell'Unione Europea e numerose organizzazioni internazionali. A fare il punto della situazione nella regione e sulle risorse e i progetti messi in campo dal Patto di Stabilità è stato Giulio Marcon presidente dell'Ics (il Consorzio italiano di solidarietà), che ieri ha presentato il “Dossier sulla ricostruzione dei Balcani”.

Le guerre, come si sa, non risolvono mai niente, tantomeno nei Balcani dove, dopo dieci anni, i conflitti interetnici sono ancora in corso e dove, nel migliore dei casi, regna l'incertezza e l'instabilità.

Che cosa è stato fatto finora dalla comunità internazionale e dall'Italia per la ricostruzione delle infrastrutture, dell'economia e del tessuto sociale in questi paesi? E' stato fatto poco e quel poco è cominciato male, ha detto in sintesi Giulio Marcon. Dei fondi promessi dal Patto di Stabilità solo il 35% è stato realmente erogato e speso nella ricostruzione.

Per quanto riguarda l'Italia, va notato che la cifra stanziata è effettivamente la più alta di quella degli altri paesi europei (704 miliardi di lire), ma che è decisamente inferiore a quanto speso dal nostro paese nelle operazioni militari nel 1999/2000 (2.329 miliardi di lire).

Inoltre dei progetti finanziati il 75% riguardano solo la ricostruzione di infrastrutture, mentre dei 35 “Quick Start Project”, progetti di rapido avvio, (un rapido avvio dopo ben 18 mesi dalla fine della guerra) ne sono partiti solo 11.

Le imprese intanto stanno aspettando la fine di marzo quando verranno indette le gare di appalto per i Quick Start: sono in ballo complessivamente ben 3.400 miliardi di lire. Una ricostruzione dunque finalizzata solo in nome degli interessi commerciali e del tornaconto dei paesi prima della Nato e poi del Patto.

Che fine hanno fatto gli aspetti della ricostruzione democratica, civile e sociale previsti dal Patto di Stabilità? Proprio per denunciare questa carenza ieri si è autoconvocata una riunione del Tavolo di coordinamento, prevista nel piano di ricostruzione e mai convocata da Franco Bernabè, coordinatore ufficiale che da mesi è scomparso dalla scena della ricostruzione, come ha denunciato Giulio Marcon, che ha anche individuato alcuni punti su cui intervenire con urgenza.

Innanzi tutto è necessario studiare tutti i modi per far tornare i profughi, almeno quelli della Krajna e della Bosnia: per i serbi del Kosovo per ora è un progetto irrealizzabile; investire fondi, idee ed energie per la formazione dei giovani, una sorta di “Erasmus” per i Balcani; intervenire per il recupero dell'ambiente, sia per quanto riguarda l'emergenza uranio impoverito, sia per la devastazione del Danubio, la grande via di comunicazione commerciale e culturale dei Balcani.

Paola Pittei
Roma, 15 febbraio 2001
articolo da "Liberazione", 15 febbraio 2001