Con la nuova amminstrazione Bush tornano al potere volti noti e vecchi amici della “famiglia” texana. Tutti di provata fede conservatrice e con pedigree da dirigenti d'industria.
... Linda Chavez, John Ashcroft, Donald Rumsfeld, Dick Cheney, Colin Powell, Condoleezza Rice, Paul O'Neil, Norman Mineta...a volte ritornano...

A volte ritornano, e non sempre sotto mentite spoglie.

E' il caso del team scelto dal neopresidente americano George W. Bush per guidare gli Stati Uniti nel terzo millennio, un pool di uomini e donne che sembra ripescato dalla galleria dei ricordi delle ultime tre amministrazioni repubblicane, oltre che dall'album privato degli amici di famiglia della dinastia Bush.

Il giovane George “dabliù” Bush ha riflettuto a fondo durante questi mesi di incertezza e disputa legale con Gore, ha valutato una rosa di potenziali candidati ampia e rappresentativa di tutte le anime del Grand Old Party (Gop) tornato al potere dopo il purgatorio dell'era Clinton, ha calibrato i profili e il peso politico di ognuno, poi ha tratto il dado.

Il risultato è un'amministrazione speculare agli equilibri interni del partito conservatore, ma con l'ago della bilancia che precipita verso destra alla faccia dei proclami da imbonitore sul «presidente di tutta la nazione».

E così, mentre Linda Chavez ha già stabilito un record facendosi licenziare da ministra del Lavoro prima ancora si assumere l'incarico (causa una governante non regolarizzata), quando la settimana prossima Congresso e Senato dovranno dare il definitivo via libera alla “squadra” di Bush la votazione si annuncia tutt'latro che scontata, in particolare su alcuni nomi “caldi” pescati da Bush nel calderone dell'ultra destra cristiana.

La difficoltà maggiore per Bush non sarà tanto al Congresso, dove i repubblicani erano e restano la maggioranza, ma al Senato diviso esattamente in due, e pure se un eventuale voto in parità avvantaggia il neopresidente (in quanto senza maggioranza spetta al presidente dell'assemblea - un repubblicano - il voto decisivo) qualcuno potrebbe preparare una fronda a sorpresa, e in ogni modo un'accettazione di stretta misura non depone certo a favore di un Bush già salito al potere dopo il voto più contestato nella storia Usa.

Il nome “bollente” è quello dell'ex ministro della Giustizia del Missouri John Ashcroft; un ultraconservatore scelto da Bush per il delicato ruolo di Attorney General, ministro della Giustizia, un uomo che dovrebbe fare da garante per tutti i cittadini ma che vanta un pedigree da far rabbrividire anche i moderati del Gop.

La carriera di John Ashcroft comincia da lontano, quando era ministro della Giustizia del Missouri, epoca il cui il nostro uomo adoprava tutte le sue risorse fisiche e intellettuali per impedire la desegregazione razziale delle scuole di St. Louis.

All'epoca Ashcroft si faceva fotografare senza troppi imbarazzi in compagnia di esponenti prestigiosi del Ku Klux Klan e, pure se alla fine non riuscì ad impedire ai neri l'entrata nelle scuole dei bianchi, Ashcroft passò alla storia con il meritevole risultato di essere riuscito a non far mai nominare giudici neri alle Corti d'appello federali. Qualche tempo dopo, circa venti anni fa, lo ritroviamo.

Rumoreggiava negli infuocati congressi repubblicani del 1978, tempi difficili per il Gop reduce dalla modestissima leadership di Gerald Ford.

Erano i primi anni in cui l'establishment repubblicano di Ford e George Bush padre affrontavano l'aggressività dei gruppi evangelici, e Ashcroft tornò nel Missouri con due risultati in tasca. Era diventato il paladino dei gruppi cristiano-conservatori e aveva contribuito a spedire alla Casa Bianca un uomo che parlava di “morale, patria e famiglia”, un uomo che avrebbe cancellato in due mandati ogni traccia degli eretici anni '60 e '70: ex attore, ex governatore della California, Ronal Reagan riuscì a far convogliare su di sé il gradimento dell'ala liberista e degli ultrà cristiani.

Alla Convention repubblicana del 1998, nel South Carolina, John Ashcroft è già un capo formato, reduce da un'agguerrita competizione per la leadership dei gruppi cristiani dell'America profonda, stracciando in sequenza Pat Buchanan, Dan Quayle e Gary Bauer.

Per suggellare il suo cammino Ashcroft si presentò sul palco agitando due fotografie a mo' di icona: nell'una vi era ritratto il sonogramma di un feto, dnell'altra una fotografia del suo nipote appena nato. «Se la Corte suprema avesse visto questa fotografia 25 anni fa avrebbe deciso di dire si ai potenziali assassini di mio nipote?» chiese infervorato: «No - si rispose da solo - noi non permetteremo più la possibilità di uccidere i bambini non nati».

Sull'aborto Ashcroft ha fatto vagliare al Congresso la sua proposta di estenderne il divieto anche nei casi di violenza sessuale e per i minori, ufficializzando il suo rapporto preferenziale con il divino affermando che «Dio siederà alla mia destra nel giorno della nomina».

Naturalmente il “difensore della vita” Ashcroft sulla pena di morte pensa che più se ne mandano al creatore e meglio è, mentre si oppone fieramente ad ogni norma di restrizione sul porto d'armi. John Ashcroft diventerà Attorney General.

Ma nel grande circo repubblicano resuscitato dal volto rassicurante di Bush troviamo altre storie interessanti, soprattutto per il connubio tra affari e politica e tra politica e “amici dei Bush”. Come quella del vicepresidente Dick Cheney, che nell'intervallo di tempo trascorso nell'amministrazione presidenziale (è stato capo dello staff del presidente Ford e dopo dieci anni segretario alla Difesa di George Bush padre) ha tutelato, valendosi di tutte le sue prestigiose conoscenze, gli interessi della multinazionale del petrolio Halliburton.

Oppure la saga di Paul O'Neil, fresco segretario al Tesoro, che una volta scaduto l'incarico che occupava con Ford nell'Office of Management and Budget è andato a dirigere la Alcoa, monumentale produttore di alluminio e al centro di una valanga di dispute legali per inquinamento e norme di sicurezza nel lavoro.

E che dire del generalissimo Colin Powell, primo nero ad occupare la poltrona di segretario di Stato, da tutti ammirato mentre illustrava con tanto di gesso e lavagna i bombardamenti contro l'Iraq durante la guerra del Golfo.

Un altro “volto nuovo” è quello del segretario alla difesa Donald Rumsfeld, che ripeterà un'esperienza fatta negli anni di Ford, ma possibilmente senza dimenticare gli insegnamenti appresi nell'intervallo tra le due cariche, anni durante i quali si era trasfomrato in manager della Searle & Company, gigante della farmaceutica.

Il tutto in un quadro a malapena temperato dalla gioventù (e dal colore della pelle) della consigliera per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice, che aveva a lungo lavorato nel Team di Bush il vecchio e che è indicata come “La” protetta di Brent Scowcroft, famigerato consigliere per la Sicurezza Nazionale di ultradestra durante il regno di Bush padre.

L'eccezione che conferma la regola è stata data dalle scelta di Bush di includere un “democratico” nel suo staff. L'unico tratto “progressista” del nuovo segretario a Trasporti, il democratico Norman Mineta già segretario al Commercio sotto Clinton, sono gli occhi a mandorla, novità assoluta. Nell'Amministrazione Usa, dove a volte ritornano.

Ivan Bonfanti
12 gennaio 2001